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    Home»Pari opportunità»Parità di genere»La spettatrice»Il lungo percorso delle donne nelle fiction
    La spettatrice

    Il lungo percorso delle donne nelle fiction

    Daniela AstreaBy Daniela Astrea03/05/2017Updated:03/05/2017Nessun commento8 Mins Read
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    Il lungo percorso delle donne nelle fiction
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    È finita ieri sera la fiction di Rai 1 dal titolo “Di padre in figlia” che prometteva, sin dagli articoli sui giornali, di mostrarci una storia differente. Una storia di riscatto femminile.

    Animata da buone intenzioni, ho seguito le quattro puntate e posso scriverne con sincerità, ampliando anche il discorso a qualche prodotto andato in onda tra inverno e primavera.

    Gli indizi di qualche cambiamento nei ruoli affidati alle donne si erano già potuti notare ne “I bastardi di Pizzofalcone” che a gennaio aveva avuto record di ascolti e di polemiche. Gli stracci erano volati soprattutto in riferimento alle scene di sesso lesbico mandate in onda in prima serata, senza apporre il bollino rosso che vieta la visione ai minori. Mettendo da parte le remore moraliste di qualche telespettatore, avevo recuperato qualche informazione, rivisto alcune parti e constatato che, a dispetto di un cast di maschi e di un protagonista anche esso maschile, c’erano una magistrata molto capace, una esperta di scientifica e una poliziotta (le due donne che avevano una relazione) che mostravano una visuale nettamente differente rispetto ad altre crime story andate in onda in anni recenti in Italia. Era pur sempre una forzatura, però. Non mi piace affatto che passi l’equazione secondo cui se sei una donna e hai fatto carriera, allora – in automatico – sei gay. Mi pare molto scontata la netta opposizione che i genitori perbenisti avevano verso la figlia poliziotta che pur di non farsi scoprire consumava incontri occasionali nei motel. Insomma, qui vedo molto romanzo e poca sostanza. Nella fattispecie: trasferire comportamenti maschili su un personaggio femminile non rende questo personaggio esente da stereotipizzazione.

    Poi c’è stato il successo estremo di “Sorelle”, conclusosi poche settimane fa e anche qui, nemmeno a dirlo, c’è come protagonista una avvocata di successo, chiamata a divenire socia del suo studio che molla tutto per indagare sull’omicidio della sorella e tornare quindi in paese, lasciando Roma e i suoi vantaggi. Un salto indietro nel percorso di emancipazione, verrebbe da dire. Tuttavia, l’elemento nuovo è incarnato dal giovane collega suo sottoposto che poi le sceglierà come compagno. E mi pare che sia in linea con le tendenze di vari spot che mostrano quanto non sia disdicevole avere un amore più giovane. Ci sarebbe da aprire una grande parentesi sempre sull’ageismo, sulle critiche violente nei casi in cui la donna della coppia sia matura e mi basterebbe citare Macron e sua moglie Brigitte sulla quale ho letto cose infamanti che spaziano dall’accusa di pedofilia all’abbandono di tre figli piccoli, passando per un piano ben ordito per coprire il fatto che il giovane aspirante presidente francese sia gay. Nessuno e nessuna che pensi semplicemente che vadano d’accordo. No, se proprio vogliamo difenderla, diciamo che lei ha comunque fascino, il che, in tutta onestà, è sempre un’offesa.

    Ma ritorno alla fiction iniziale e accenno brevemente che essa è ambientata a Bassano del Grappa e narra le vicende di una famiglia, i Franza, che lavora nella distillazione della grappa.

    Il protagonista maschile è il patriarca Giovanni, desideroso di trasmettere l’eredità della sua fabbrica all’unico figlio maschio e totalmente miope verso le altre figlie nonché violento verso la moglie. In particolare spicca la figura di Maria Teresa che seguiremo nel suo sviluppo dagli anni Cinquanta agli Ottanta. Una bambina intelligente, capace di diplomarsi con voti altissimi, studiare all’università e laurearsi in chimica, rientrare poi nella sua cittadina e andare a lavorare per la ditta concorrente del padre. Tutta la storia è pervasa da questo continuo tendere verso la figura del padre che calpesta tutti, conducendo pure il debole figlio maschio al suicidio. Le radici della storia partono dal Brasile, terra in cui i genitori avevano lavorato poco più che bambini e dalla quale erano partiti in tutta fretta (si scoprirà alla fine che la mamma è brasiliana, ha ucciso un uomo che voleva violentarla e che Giovanni le ha fatto cambiare identità costringendola, di fatto, a una prigionia lunga trenta anni) per poi fare fortuna in patria. Le tre figlie femmine sono altrettante figure viste e riviste ma a me è piaciuta anche la madre e spiegherò il motivo.

    La giovane Maria Teresa che, come le sorelle, ha il nome di una regina, viene aiutata economicamente dalla madre a studiare e si laurea tra l’indifferenza del padre e la diffidenza delle sorelle. Elena è la bella delle tre, disinibita sessualmente, resta incinta a sedici anni e capisce troppo tardi che dovrà rinunciare alle sue aspirazioni per un matrimonio riparatore. Scapperà a Milano con il sogno di fare la modella e perderà le figlie per un po’ affidate al marito alcolista pentito. Tornerà a crescere le figlie e persino a vivere con l’uomo che non ha mai amato. Sofia è la figlia gemella di Antonio e finisce in collegio per aver drogato il fratello sul quale il padre ha grosse aspirazioni. La ritroviamo anni dopo, drogata e senza fissa dimora, dedita a furtarelli e giri vari, accolta dalla sorella maggiore nei pochi rientri in paese. Si riprenderà la sua vita dopo il suicidio del fratello e mai smetterà di opporsi al potere paterno. L’unica che studia e che ha la possibilità di avvicinarsi al femminismo è proprio Maria Teresa e ne sarà colpita in negativo. Le coinquiline organizzano addirittura riunioni sotto i suoi occhi ma lei è intenta a studiare e afferma con decisione che per lei l’emancipazione non passa per la libertà sessuale, ma nell’occupare ruoli e posti che prima erano solo maschili. Tuttavia qualcosa di questo scontro/incontro le resta: si trova coinvolta in un picchetto pro-aborto e finisce in commissariato. Suo padre fa controllare la sua verginità dalla levatrice che l’ha messa al mondo e lei, quasi per ripicca, chiede a un amico di fare sesso. È una forma di liberazione, ma il sogno romantico la perseguita. Il primo unico amore diviene suo datore di lavoro, lascia sua moglie per lei e solo alla fine Maria Teresa capirà che non è lui che ama. Sceglierà il suo amico sindacalista e in finale di puntata aspetta una femmina da lui.

    Dicevo della figura di Franca/Maria, la madre assoggettata al patriarca Franza. Mi pare sia lei la figura più bella della storia, specie perché riesce realmente a cambiare vita senza aiuti da parte di uomini. Non ritorna in Brasile dall’uomo che la ama e la attende da sempre ma si separa dall’incredulo Giovanni, andando a lavorare a Milano, presso il negozio di una ex prostituta di cui era divenuta amica. Questa donna le ha anche insegnato a leggere, ha vinto una cospicua somma di denaro in un quiz televisivo e si è creata da sé un futuro dignitoso, riscattandosi dallo stesso Giovanni, suo antico amante. Forse è proprio questa alleanza la più forte della fiction poiché loro due si riconoscono come vittime dello stesso uomo, dal quale però non vogliono dipendere. E ci riusciranno. In particolare è bello che Maria accetterà l’identità di Franca (scelta a suo tempo dal marito) ma diverrà una donna nuova, una che pensa a lei e non accudisce più le figlie.

    Anche liberarsi dal ruolo prestabilito di chioccia e parafulmine è una rivoluzione.

    Infatti le figlie, sotto la spinta di Maria Teresa, rinverdiranno i fasti dell’azienda e lavoreranno tutte lì, col padre che non sa se gioire o essere impacciato per questa avanzata del genio femminile il tutto condensato efficacemente dall’insegna che passa da Franza e Figlio a Sorelle Franza.

    La protagonista silente di tutta la trama è una: la scelta. La possibilità di scegliere di essere quello che si vuole, dono e conquista che nemmeno oggi sono tanto scontati. Basta scorrere le notizie degli ultimi casi di femminicidio, di vessazioni economiche, di mobbing sul lavoro con tanto di dimissioni in bianco in caso di gravidanza. La scelta non significa essere amazzoni senza uomini o rinunciare ai figli per partito preso, queste tematiche continuano a scuotere i gruppi femministi ogni singolo giorno e l’unità di intenti viene distrutta quando le posizioni divengono granitiche e autoescludenti. Mi riferisco a tanti argomenti attuali, ad esempio la gestazione per altri, le sex workers e il fantomatico gender.

    In coda alla puntata sono passate sullo schermo le foto di tante donne: Nilde Jotti, Margherita Hack, Samantha Cristoforetti, Rita Levi-Montalcini, Franca Rame per citare le prime che mi vengono in mente. Beh, il messaggio positivo è forte e chiaro! Le bambine, le giovani donne, le donne mature… tutte possono diventare quello che vogliono.

     

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    Daniela Astrea

    Daniela Astrea - laureata in Filosofia con un tesi in Studi di genere, si occupa da anni di studi femministi in vari campi: cinema, letteratura, arte. Ha organizzato eventi, fatto parte di collettivi, lavorato in un’agenzia pubblicitaria come copywriter, pubblicato saggi e articoli sulla storia delle donne.

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    La solitudine dei non amati, firmato e diretto dal La solitudine dei non amati, firmato e diretto dalla regista norvegese Lilja Ingolfsdottir, nella sua opera prima, con Oddgeir Thune, Kyrre Haugen Sydness, Helga Guren e Marte Magnusdotter Solem .
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La solitudine dei non amati, firmato e diretto dalla regista norvegese Lilja Ingolfsdottir, nella sua opera prima, con Oddgeir Thune, Kyrre Haugen Sydness, Helga Guren e Marte Magnusdotter Solem .
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