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    Home»Donna e lavoro»Donne e arte»Arti visive: e le donne?
    Donne e arte

    Arti visive: e le donne?

    Livia CapassoBy Livia Capasso13/05/2020Updated:13/05/2020Nessun commento5 Mins Read
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    la pittrice-hp
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    Nell’arte, come in tante professioni, le donne non riescono a emergere, non sono visibili. La storia delle artiste donne è rimasta a lungo silente per la difficoltà che hanno incontrato nella produzione e diffusione delle loro opere.

    L’ultima moglie di Max Ernst, Dorothea Tanning, smise di dipingere, delusa, perché come donna incontrava troppe difficoltà e la sua carriera era adombrata dalla fama del marito.
    Eppure era brava, intelligente, aveva talento ed era aperta a ogni sperimentazione che potesse dare vita ai fantasmi del suo inconscio.
    Nell’arte, come in tante professioni, le donne non riescono a emergere, non sono visibili; la storia delle artiste donne è rimasta a lungo silente per la difficoltà che hanno incontrato nella produzione e diffusione delle loro opere.
    la pittriceE come storica dell’arte con una lunga esperienza didattica, posso affermare che le artiste citate nei manuali scolastici sono una sparuta minoranza: la storia dell’arte che noi studiamo è distorta e parziale. Il dato riguarda anche le autrici esposte in musei e gallerie che, secondo una recente stima, sono mediamente appena il 18%; mentre la figura femminile, come soggetto dell’opera d’arte, specie nei nudi, è presente nell’80% delle opere esposte. Tanto che qualche tempo fa un gruppo di artiste femministe americane, che si definivano guerrilla girls, denunciò che le donne entrano nei musei solo nude!

    Nel mondo dell’arte hanno agito per lo più personaggi maschili; non solo gli artisti, ma anche i committenti, i mecenati, i collezionisti sono stati rappresentanti del sesso “forte”, mentre la presenza femminile comincia a farsi notare solo dal ‘400, ‘500 in poi. La prima scrittrice europea di professione che si conosca, copista e miniaturista, antesignana del femminismo, Christine de Pizan, nel suo libro più conosciuto (1405), La Città delle Dame, fa esclamare alla sua protagonista: « Ahimè, mio Dio, perché non mi hai fatto nascere maschio? Tutte le mie capacità sarebbero state al tuo servizio, non mi sbaglierei in nulla e sarei perfetta in tutto, come gli uomini dicono di essere…». Eppure, un secolo e mezzo dopo, qualche dubbio cominciava a comparire, se Giorgio Vasari può affermare: «Poiché le donne sanno benissimo dare alla luce gli uomini, non c’è da meravigliarsi che vogliano poter anche creare, con la stessa facilità degli uomini a partire dalla pittura». Ancora nel 1880 Marie Bashkirtseff lamenta che le donne sono escluse dall’École des beaux-arts di Parigi come da quasi ogni altra istituzione. «Quello di cui abbiamo bisogno è la possibilità di lavorare come gli uomini, senza dovere compiere degli sforzi immani per ottenere ciò che semplicemente hanno gli uomini».

    Bisogna attendere il 1900 perché le donne possano essere ammesse all’École, il 1903 perché siano eleggibili al Prix de Rome, apice della formazione artistica. Ma ormai l’École insegnava solo arte accademica, la vera arte si faceva altrove. Le poche donne la cui memoria ci è arrivata dal passato evocano nei nomi quelli dei loro padri, fratelli, mariti o amanti, alla cui bottega avevano accesso, magari in abiti maschili, ma a loro erano riservati generi secondari, come ritratti e nature morte, non la grande pittura storica o i soggetti biblici. Così come non avevano accesso all’istruzione, non potevano viaggiare, e quindi studiare le opere di grandi artisti né tanto meno i nudi dal vero; solo nel chiuso dei conventi, strano a dirsi, potevano dedicarsi liberamente alla loro attività preferita. Per lo più erano costrette a scegliere la miniatura, il disegno, l’acquerello e il pastello, tecniche a lungo considerate delle arti minori per artisti minori, sulla base del pregiudizio secondo cui leggerezza, finezza, dolcezza, delicatezza e sensibilità sarebbero prerogativa delle mani femminili. E solo le donne geniali riuscivano a trovare un posto in un settore in cui a loro nulla era dovuto e la partita tra maschi e femmine non era giocata ad armi pari. Dal ‘700 in poi, invece, il numero delle donne artiste è più visibile e aumenta considerevolmente, così come aumentano le letterate, le filosofe, in quanto vengono meno tanti divieti; ma è solo dagli anni Sessanta, Settanta del Novecento che le donne consapevolmente hanno rivendicato il loro posto accanto a quello degli uomini e sono entrate in massa nel mondo dell’arte, non solo come artiste, ma anche come critiche e collezioniste. Contemporaneamente tante ricercatrici universitarie cominciarono a sviluppare quelli che oggi chiamiamo “studi di genere”, e nel 1987 Wallace e Wilhelmina Holladay aprirono a Washington Il Museo Nazionale delle Donne nelle Arti (NMWA), il primo museo dedicato esclusivamente alla celebrazione delle conquiste delle donne nelle arti visive. I coniugi Holladay erano collezionisti di opere d’arte: nelle loro ricerche si trovarono di fronte al problema della scarsità di informazioni riguardo alle artiste donne. Decisero allora di dedicare loro un museo che, attraverso la collaborazione con le scuole, offriva nuove opportunità. Oggi non si può più parlare di marginalità per l’arte realizzata dalle donne e, come in altri campi, anche in quello dell’arte le donne hanno ormai raggiunto un pieno riconoscimento. Ma, ancora per essere conosciute, devono lavorare più dei loro colleghi maschi e creare opere sensazionali, ancora fanno più fatica a farsi conoscere, ancora c’è chi si sente dire come complimento che dipinge “come un uomo”.

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    Livia Capasso

    Livia CAPASSO, laureata con lode alla “Federico II” di Napoli in Lettere con indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte in vari Licei, dal Nord al Sud del paese. Attualmente risiede a Roma, e coltiva molteplici interessi, coniugando la passione per la Storia dell’arte alle rivendicazioni femministe. Cofondatrice dell’associazione “Toponomastica femminile”, partecipa a progetti didattici per diffondere una cultura di parità tra le giovani generazioni, scrive articoli per testate giornalistiche sulle donne a cui i comuni italiani hanno dedicato o dovrebbero dedicare strade, interviene come relatrice a convegni, organizza mostre sul tema della memoria femminile. Presiede la giuria del Concorso nazionale “Sulle vie della parità”. Mantiene rapporti con le Istituzioni per rivendicare una parità di diritti anche nella odonomastica cittadina. Per piattaforme elearning ha preparato un corso completo di Storia dell’arte e varie lezioni sull’arte di genere. Ha scritto e pubblicato due romanzi, Fotoricordo per una smemorata, in parte autobiografico, e “Donne in trincea”, una raccolta di racconti che hanno per protagoniste donne, eroine del quotidiano.

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    Caterina Della Torre

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    La solitudine dei non amati, firmato e diretto dal La solitudine dei non amati, firmato e diretto dalla regista norvegese Lilja Ingolfsdottir, nella sua opera prima, con Oddgeir Thune, Kyrre Haugen Sydness, Helga Guren e Marte Magnusdotter Solem .
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La solitudine dei non amati, firmato e diretto dalla regista norvegese Lilja Ingolfsdottir, nella sua opera prima, con Oddgeir Thune, Kyrre Haugen Sydness, Helga Guren e Marte Magnusdotter Solem .
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    Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo roman Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo romanzo, L’arte della gioia, uscito dopo la sua morte (nel 1996 a 72 anni) e solo grazie alla dedizione del marito, Angelo Pellegrino. Il libro vide la luce nel 1998 presso Stampa Alternativa (e poi nel 2008 da Einaudi). Tollerata dai salotti intellettuali del tempo, dove era entrata grazie alla sua lunga relazione con il regista Citto Maselli, Goliarda Sapienza fu sempre insofferente nei confronti del mondo intellettuale e borghese. Attrice, scrittrice, donna libera, più irregolare che anticonformista, chissà cosa penserebbe dell’interesse che sta suscitando in questo periodo non solo la sua opera ma anche la sua vita.

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Lo studio delle lingue straniere alimenta la curiosità e stimola la voglia di apprendere in molte discipline anche ben diverse, soprattutto se sostenute da una capacità imprenditoriale. Questo lo dimostra la storia qui di seguito riportata di Marialuisa Portaluppi da noi intervistata.
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