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    Dol's Magazine
    Home»Donna e lavoro»Donne e arte»Artemisia Gentileschi e il suo tempo
    Donne e arte

    Artemisia Gentileschi e il suo tempo

    Livia CapassoBy Livia Capasso18/12/2016Updated:07/03/2017Nessun commento4 Mins Read
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    artemisia-buona_bassarisoluzione
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    Le due versioni di “Giuditta che decapita Oloferne”, quella agli Uffizi e quella a Capodimonte, sono il fiore all’occhiello della mostra che si tiene a Roma dal 30 novembre 2016 all’8 maggio 2017.
    di Livia Capasso

     Artemisia Gentileschi. Dalla mostra di Toponomastica femminile Donne e lavoro (sezione artiste)
    Artemisia Gentileschi. Dalla mostra di Toponomastica femminile Donne e lavoro (sezione artiste)

    Dal 30 novembre 2016 all’8 maggio 2017 a Roma nelle sale di Palazzo Braschi con il patrocinio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, è aperta la mostra Artemisia Gentileschi e il suo tempo, che ripercorre le tappe dell’ascesa di questa icona del talento femminile dalla sua città natale, Roma, dove si è formata, a Firenze, a Venezia, a Londra, città che hanno visto l’ascesa della sua carriera, fino a Napoli, dove visse l’ultimo periodo della sua vita.

     

    Artemisia Gentileschi / Артемизия Джентилеск
    Artemisia Gentileschi / Артемизия Джентилески (1593-1653) – Autoritratto come suonatrice di liuto / Автопортрет в образе лютнистки (1615-1617)

    Si tratta di trenta opere autografe di Artemisia, grandi capolavori, provenienti dalla Galleria degli Uffizi di Firenze, dal Museo di Capodimonte di Napoli, dalle Collezioni Comunali d’Arte e da quelle della Pinacoteca Nazionale di Bologna, dall’Art Museum di Saint Louis, dal Museo di Belle Arti di Budapest, dalle Raccolte d’arte del Sovrano Militare Ordine di Malta, dal Fondo Schwartz del Wadsworth Atheneum Museum of Art di Hartford, dall’UniCredit Art Collection, dal Museo Nazionale del Prado di Madrid, dal Metropolitan Museum of Art di New York, dal Fondo Clarence Brown del Museum of Art di Toledo, dalla Galleria G. Sarti di Parigi. Ma molte sono anche opere avute in prestito da collezioni private e quindi meno conosciute al grande pubblico.
    Le due versioni di “Giuditta che decapita Oloferne”, quella agli Uffizi e quella a Capodimonte, sono il fiore all’occhiello di questa mostra. Ancora ricordiamo le parole con cui lo storico Roberto Longhi descrive tutta la sua meraviglia a proposito di questo quadro:
    “Chi penserebbe che sopra un lenzuolo studiato di candori e ombre degne d’un Vermeer, dovesse avvenire un macello così brutale ed efferato. Vien voglia di dire – ma questa è la donna terribile! Una donna ha dipinto tutto questo? …… ciò che sorprende è l’impassibilità di chi ha dipinto tutto questo …non vi pare che l’unico moto di Giuditta sia

    Ponte Artemisia Gentileschi. Roma, villa Pmphili
    Ponte Artemisia Gentileschi. Roma, villa Pmphili

    quello di scostarsi al possibile perché il sangue non le brutti il completo novissimo di seta gialla?”
    La versione fiorentina, rispetto alla precedente napoletana, è più grande di svariati centimetri; la scena viene proposta da un punto più distante, ed essendo più ampia permette di cogliere più particolari, come ad esempio le gambe della vittima. Poi sono diversi i colori delle vesti: mentre nel quadro napoletano le due donne sono vestite di blu (Giuditta) e di rosso (l’ancella), qui Giuditta indossa un vestito giallo, e l’ancella un modesto vestito bianco. Merita attenzione anche il rosso scuro della coperta in cui è avvolto Oloferne. L’espressione di Giuditta è decisa e appare più furiosa, mentre sta tagliando la gola al generale nemico.
    Ancora possiamo ammirare Susanna e i vecchioni, mentre si fa il bagno sotto lo sguardo di due vecchi lussuriosi, o Giaele e Sisara, dove una deliziosa fanciulla, vestita con un elegante abito di seta gialla e con i capelli ramati raccolti in una ricercata acconciatura. – sta per ficcare un chiodo nel cranio di un ignaro generale cananeo; una Cleopatra morente; una sensuale Danae; o Corisca, che scappa dal satiro, mettendosi dei capelli posticci; o Ester, che dopo un digiuno di tre giorni si presenta al re persiano per svelare un complotto contro il popolo di Israele.
    Obiettivo di questa mostra è stato quello di mostrare l’arte di Artemisia all’interno del clima culturale in cui si è formata, mettendola a confronto con gli artisti suoi contemporanei, da cui è stata influenzata, così come ha assorbito dagli antichi maestri, e come ha saputo adeguare il suo talento alle volontà dei committenti. Insomma un’Artemisia non solo caravaggesca, come finora si è ritenuto! In tutto un centinaio di opere, oltre a quelle di Artemisia, si possono ammirare lavori del padre Orazio, di Francesco Furini, Simon Vouet, Giovanni Baglione, Jusepe de Ribera, Francesco Guarino, Massimo Stanzione, Bernardo Cavallino.
    Artemisia Lomi Gentileschi (Roma, 1593 – Napoli, 1653) è stata una straordinaria artista, oltre che donna indipendente e impegnata a perseguire la propria affermazione contro i pregiudizi del suo tempo. Imparò a leggere e a scrivere molto presto, così come a suonare il liuto; superò violenze familiari e seppe venir fuori da difficoltà economiche; cambiò città, cambiò case, fu promotrice di se stessa, richiesta dai più colti ambienti culturali del tempo e dai grandi d’Europa.

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    Livia Capasso

    Livia CAPASSO, laureata con lode alla “Federico II” di Napoli in Lettere con indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte in vari Licei, dal Nord al Sud del paese. Attualmente risiede a Roma, e coltiva molteplici interessi, coniugando la passione per la Storia dell’arte alle rivendicazioni femministe. Cofondatrice dell’associazione “Toponomastica femminile”, partecipa a progetti didattici per diffondere una cultura di parità tra le giovani generazioni, scrive articoli per testate giornalistiche sulle donne a cui i comuni italiani hanno dedicato o dovrebbero dedicare strade, interviene come relatrice a convegni, organizza mostre sul tema della memoria femminile. Presiede la giuria del Concorso nazionale “Sulle vie della parità”. Mantiene rapporti con le Istituzioni per rivendicare una parità di diritti anche nella odonomastica cittadina. Per piattaforme elearning ha preparato un corso completo di Storia dell’arte e varie lezioni sull’arte di genere. Ha scritto e pubblicato due romanzi, Fotoricordo per una smemorata, in parte autobiografico, e “Donne in trincea”, una raccolta di racconti che hanno per protagoniste donne, eroine del quotidiano.

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    Caterina Della Torre

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    Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo roman Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo romanzo, L’arte della gioia, uscito dopo la sua morte (nel 1996 a 72 anni) e solo grazie alla dedizione del marito, Angelo Pellegrino. Il libro vide la luce nel 1998 presso Stampa Alternativa (e poi nel 2008 da Einaudi). Tollerata dai salotti intellettuali del tempo, dove era entrata grazie alla sua lunga relazione con il regista Citto Maselli, Goliarda Sapienza fu sempre insofferente nei confronti del mondo intellettuale e borghese. Attrice, scrittrice, donna libera, più irregolare che anticonformista, chissà cosa penserebbe dell’interesse che sta suscitando in questo periodo non solo la sua opera ma anche la sua vita.

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Lo studio delle lingue straniere alimenta la curiosità e stimola la voglia di apprendere in molte discipline anche ben diverse, soprattutto se sostenute da una capacità imprenditoriale. Questo lo dimostra la storia qui di seguito riportata di Marialuisa Portaluppi da noi intervistata.
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