Dopo il sondaggio sulla Gpa: dialogo con Marina Terragni
“Un passo avanti”. Questo il commento a caldo di Marina Terragni a proposito del sondaggio dell’Istituto Ixè sull’utero in affitto . I cui risultati sono inoppugnabili: il 71% degli italiani, uomini e donne, equamente distribuiti per età, regione e titolo di studio, si oppone alla cosiddetta surrogazione di maternità (sanzionata dalla legislazione vigente, ma pubblicizzata da una campagna mediatica sempre più pervasiva). “Sì, lo ritengo un progresso – conferma Terragni, che da anni si batteva affinché la popolazione italiana fosse direttamente interpellata su un tema così scottante – ma non una sorpresa. Sono sempre stata convinta che soprattutto la maggioranza delle donne fosse contraria all’utero in affitto. La prova? I media mainstream si guardavano bene da qualsivoglia consultazione in materia. Adesso è arrivata, dal basso, una risposta chiara e diretta, dalla quale non si potrà facilmente prescindere”.
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Marina, per te e molte altre l’utero in affitto rappresenta l’”ultima frontiera del patriarcato”. Puoi spiegarti meglio?
La frontiera è sempre quella: l’invidia per la procreatività femminile, da Aristotele ai giorni nostri. Un’invidia fondativa, che oggi trova una risposta nel business delle tecnologie riproduttive, in attesa dell’utero artificiale: la schiavizzazione delle donne è solo un passaggio.
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Sono le coppie eterosessuali ad accedere con maggior frequenza alla maternità surrogata. Buona parte dell’opinione pubblica, per esempio, è venuta a conoscenza del fenomeno dopo la tragedia del piccolo Gammy ..
Infatti. Qui non si tratta di discutere su presunti diritti degli adulti – etero, gay, bisex ecc. – a diventare genitori. Si tratta di tutelare quelli dei bambini (e delle donne povere e sfruttate). O, comunque, di considerare la surrogazione per ciò che è: un contratto in denaro, non un “dono”. Senza contare i rischi per la salute, di cui mi occuperò in uno dei prossimi studi. Ma determinati gruppi, attivi soprattutto sul web, hanno strettamente legato la surrogata ai diritti civili, bollando chi si oppone alla prima come necessariamente discriminatore, retrogrado e omofobo. Anche nel caso di femministe con cui si sono condivise tante battaglie. E alcune si lasciano inchiodare a quest’apparente logica, si fanno imbrogliare dal politicamente corretto, hanno paura di confliggere con gli utenti gay, s’aggrappano a un’idea di autodeterminazione debole o debolissima.
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Non tutti, però, sposano questa linea di pensiero.
Certo che no. Si dialoga con chi ha desiderio e strumenti per dialogare. Oggi non sono molti, ma esistono, e le loro posizioni vanno valorizzate. Penso a Mattia Morretta , Aurelio Mancuso , Giovanni Dall’Orto : colonne portanti della storia del movimento omosessuale in Italia. Come pure a esponenti della generazione più giovane. Sono convinta che la nostra battaglia è destinata a vincere.
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Ma i bambini nati tramite surrogazione hanno gli stessi diritti degli altri…
Anzi, devono averli. Probabilmente non poche di noi hanno conosciuto almeno una famiglia con figli nati da utero in affitto. Sicuramente amatissimi. Ma il discorso è un altro. È etico, ontologico. Cerchiamo di uscire dalla contingenza. Come scrissi già un anno e mezzo fa , noi proponiamo una stepchild tombale, che tuteli i bimbi già al mondo (purché nell’esclusivo interesse del minore e non dell’adulto) ma eviti ulteriori nascite da utero in affitto, che non può e non deve diventare un modo “normale” di nascere.
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Vi chiamano “veterofemministe”. Ma cosa significa, in realtà?
Andrebbe domandato a chi ci definisce tali… Quanti attaccano il cosiddetto veterofemminismo mettono in scena una rivolta violenta contro le madri, che finora sono state complici e accoglienti – maternage – ma su questo punto oppongono con autorità il loro no, a cui ci si rivolta come bambini bizzosi e… “onnipotentisti”.
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Né poteva mancare la taccia di collusione col cattolicesimo (che per certi ambienti è tautologicamente estremista, incolto e intollerante). Ma, tralasciando la polemica spicciola, come valuti l’apparente, inedita sintonia tra femministe laiche e alcuni settori della Chiesa?
Sono per le geometrie variabili: lo dice anche Simone Weil nel suo Manifesto per la soppressione dei partiti politici. Permangono significative differenze tra le posizioni del femminismo e quelle della Chiesa in materia di genitorialità omosessuale – noi, per esempio, non abbiamo nulla da obiettare sull’accesso all’adozione -, ma sull’utero in affitto c’è unità d’intenti.
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Hai collaborato per qualche tempo con “Avvenire”, il quotidiano dei vescovi.
Sono stata ospite per tre mesi con una rubrica, dedicata appunto agli ospiti temporanei. Ho parlato di tutto, con particolare riguardo ai temi eticamente sensibili. Ho scritto in totale libertà, e dei testi non è stata toccata una virgola. Un’esperienza impegnativa ma molto interessante.
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Sei autrice di numerosi libri, il più famoso dei quali è forse Temporary Mother. Lo scorso novembre ne hai dato alle stampe un altro…
S’intitola Utero in affitto o gravidanza per altri?, edito da Franco Angeli. Nasce da un’idea di Lidia Cirillo e non è un libro “mio”, bensì un’opera collettiva: accanto a interventi contrari (io, Luisa Muraro, Silvia Guerini), vi trovano spazio possibilisti e pro, come Nicola Carone, autore di In origine è il dono (Il Saggiatore). Con Luisa e Daniela abbiamo ritenuto opportuno fornire il nostro apporto. -
A proposito: i fautori della surrogata rifiutano con forza la definizione “utero in affitto” preferendole “gestazione per altri” (Gpa). Qual è il tuo parere in proposito?
Penso si debba insistere nel chiamare le cose con il loro nome. Constato però che è molto difficile tenere questa posizione. La neolingua è fortissima, ha la stessa forza delle campagne pubblicitarie più riuscite.
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Dopo il sondaggio, pensi che l’attenzione verso questo fenomeno sia aumentata?
Forse sì. Il sondaggio nasce anche come reazione a messaggi “unilaterali” di parte del servizio pubblico. Di recente, un programma televisivo molto seguito ha veicolato un gigantesco spot a favore della “gestazione per altri”. In una lettera aperta alla presidente Rai Monica Maggioni , firmata da importanti gruppi femministi (Snoq Libere, Udi, Arcilesbica nazionale…) e da molte attiviste abbiamo chiesto, finora invano, una trasmissione che riequilibri l’informazione sul tema. La tv rimane un mezzo irrinunciabile per comunicare… A ciò possiamo aggiungere la pubblicazione d’un libro per bambini in cui viene presentata la “Gpa” come “dono” senza un minimo accenno al gigantesco giro d’affari che la sottende . Mi sento di ringraziare, a tal proposito, Monica Ricci Sargentini, una delle poche giornaliste che, col suo lavoro tenace, riesce a pubblicare inchieste sulla “Gpa” su uno dei maggiori quotidiani italiani.
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Secondo taluni osservatori, a opporsi alla “Gpa” sarebbero soprattutto i ceti meno colti…
Argomento volgare, pretestuoso e discriminatorio: come mai questo classismo da parte di chi si proclama paladino dei più deboli? La nostra Costituzione non prevede distinzioni di scolarità e/o di censo nella libera partecipazione alla vita democratica; anzi, spesso, i ceti “meno colti” sono anche i meno sensibili alle sirene delle culture consumistiche e testimoniano una sapienza cosmologica e antica. In ogni caso, l’analisi è sbagliata. Paradossalmente è proprio in situazioni socialmente, culturalmente ed economicamente avanzate, come a Milano, che il libero pensiero contro la “Gpa” si rafforza; mentre laddove l’unica “modernità” a disposizione è quella delle Pma e dell’utero in affitto, la posizione contraria si esprime meno facilmente. La verità è che non si sa come replicare di fronte a dati incontrovertibili, per individualismo esasperato, assoluta assenza di orizzonti e provincialismo.
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Provincialismo?
Sì. Molti mezzi di comunicazione di massa presentano la “Gpa” come modernità e progresso. La sinistra ondeggia tra ignavia e sostegno diretto: qui c’è stato un “effetto Nichi” [Vendola, n.d.A.] che ha paralizzato la discussione. In Francia e altrove la battaglia contro la “Gpa” è, invece, assunta dalla sinistra. La gran parte dell’opinione pubblica italiana lo ignora perché, ripeto, la narrazione cerca di legittimare la maternità surrogata; e rimane il grosso equivoco sulla cosiddetta “Gpa solidale”, malgrado quest’ultima non esista in natura. S’insinua pure l’idea che, per essere moderna, devi “tollerare” il fenomeno.
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Proclami che separando la maternità dalla donna, divenuta “gestante” o “surrogata”, si annulla l’elemento femminile. Anche nel linguaggio, anche in certi settori neofemministi (o sedicenti tali) assistiamo in effetti a un profluvio di sigle, asterischi, chiocciole, a indicare che donna (ma mai uomo) è chi lo vuole e lo sente, di fatto però incentivando il neutro. Ma in italiano il neutro non esiste.
Il neutro è solo un’altra faccia del maschile. Somiglia più a un maschio che a una femmina: l’espropriazione e l’esternalizzazione delle facoltà riproduttive femminili, la libertà riproduttiva “repressa ovunque”, come diceva Mary Daly, costituiscono un segno preciso. Il neutro è sterile.
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Ho però l’impressione che queste schermaglie non rappresentino che una delle tante manifestazioni della tecnocrazia ultraliberista che pervade l’Occidente (e anche l’Oriente, sia pure in modo diverso: inutile illudersi in proposito). Già Pasolini preconizzava un ”edonismo neolaico” nelle ultime generazioni. E lo storico e antropologo Yuval Harari, in un suo recente saggio, ipotizza l’avvento dell’homo deus, una specie di super o di post-umano che, grazie alle conoscenze tecnico-scientifiche e al denaro, sarà in grado di implementare il suo delirio di onnipotenza e creare una casta privilegiata rispetto alla quale gli altri sapiens, come un tempo i Neanderthal e gli animali oggi, si troveranno in una posizione subordinata. Come e su quali basi rifondare un nuovo umanesimo, opposto a quell’antropocentrismo esasperato denunciato anche da papa Francesco?
Questo super-umano era stato preconizzato da Marx, Gramsci, Huxley e molti altri. Se si legge il giovane anarchico antiglobalizzazione Alexis Escudero (La riproduzione artificiale dell’umano) si ritrova la stessa critica della distopia transumanista. Si tratta di ritrovare il filo perduto da questa sinistra dirittista e allo sbando, rileggendo i padri e le madri e ingaggiando un instancabile corpo a corpo con il pensiero unico luogocomunista. Francesco costituisce oggi un riferimento eminente anche per i laici: si tratta di un’occasione da cogliere.
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Parallelamente si verifica la deflagrazione della neolingua e la confusione tra potere e dovere. Non tutto ciò che si può, si deve. Ed è sempre l’ossessione titanica del potere, molto antica e “maschile”, a trionfare, no?
Ti sei risposta da sola. Sempre quella stessa ossessione, con una differenza: credo che il denaro non abbia mai potuto tanto come oggi. E sta distruggendo tutto, a partire dalle relazioni umane che costituiscono l’unico vero argine non monetizzabile. Ma ogni climax è anche un punto di crisi: noi siamo giunti al vertice, peggio di questo c’è solo il disastro. Quindi sono fiduciosa.
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Beh, ne prendo atto. Ma come femministe occidentali, quali responsabilità abbiamo avuto nel sostenere, sia pure involontariamente, la deriva neoliberista?
Non so se ho sostenuto il neoliberismo. Non mi riconosco in quest’affermazione. Posso solo chiedermi se l’ho combattuto abbastanza. Credo d’aver fatto quello che potevo. - E la sinistra, quella sinistra di cui oggi osservi il disorientamento, riuscirà a riprendersi? Quale ruolo potrà ancora rivestire, se le riuscirà e se vorrà, in questo tentativo di rinascita, o di resilienza?
La sinistra come l’abbiamo conosciuta non esiste più. Il processo di estinzione avviatosi con la caduta del Muro è stato completato. Si tratta di opporre al transumanesimo un nuovo umanesimo a misura femminile.