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    Home»Costume e società»Il cimitero dei feti e quello che non si dice sull’aborto
    Costume e società

    Il cimitero dei feti e quello che non si dice sull’aborto

    DolsBy Dols03/11/2013Updated:04/11/20132 commenti4 Mins Read
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    donnarossa520di  Lucina di Meco da Little Light Lab

    Anni fa partecipai a una conferenza sull’aborto, organizzata dall’Università di Princeton. L’obiettivo della conferenza era semplice e allo stesso tempo estremamente ambizioso: far sedere intorno a un tavolo leader d’opinione del movimento per la vita e quelli per la difesa dei diritti sessuali e riproduttivi. Farli parlare. Rendere più umano e meno astratto il dibattito, moderandone i toni. Mettere insieme tutti i pezzetti del mosaico per avere una migliore visione comprensione del fenomeno dell’aborto.

    Di conferenze di questo tipo, forse, avremmo bisogno anche in Italia e credo che ne siano una prova le polemiche seguite alla delibera della giunta di Firenze, che permetterebbe la creazione di un’apposita area nel cimitero pubblico di Trespiano per seppellire i feti (a partire dalla ventesima settimana) e i bambini non nati (cioè quei feti morti oltre la 28esima settimana di gravidanza).

    Prima di tutto lasciatemi fare un chiarimento. Io sono una convinta sostenitrice della necessità di avere norme che garantiscano l’aborto legale, sicuro e gratuito in tutti i Paesi. Questo è un tema in cui ho lavorato per anni, appoggiando organizzazioni latinoamericane che facevano advocacy per ottenere il diritto all’aborto laddove questo diritto non esisteva.

    Capisco quindi molto bene il timore che una delibera di questo tipo possa rappresentare un riconoscimento, in certo senso, del diritto di cittadinanza del feto e credo che tale riconoscimento potrebbe portare a conseguenze estremamente pericolose quanto al diritto delle donne non solo di abortire, ma di decidere del proprio corpo durante la gravidanza, come scrivevo mesi fa.

    Capisco anche, però, i sentimenti di quelle madri, alcune di loro mie amiche, per cui è importante poter vedere una piccola lapide vicino ai resti del proprio bambino morto in utero nel secondo o terzo trimestre (ben oltre il tempo lecito di 90 giorni per l’aborto nel nostro Paese).

    Non mi esprimo, quindi, in questa occasione, sul merito di questa normativa, ma sul tono del dibattito che ne è scaturito. Mi pare preoccupante la dicotomia che sembra delinearsi nelle polemiche seguite al caso del cimitero dei feti. Sembra quasi che da un lato ci siano le donne che abortiscono (malafemmine, femministe, atee o tutte e tre le cose) dall’altro le madri, magari anche quelle madri che hanno vissuto il trauma dell’interruzione involontaria della gravidanza. I diritti delle une e quelli delle altre, in lotta.

    La realtà è ben diversa. Secondo uno studio del Guttmacher Institute di qualche anno fa, confermato da uno studio più recente, nel nostro Paese ad abortire sono in prevalenza donne tra il 25 e 35 anni, coniugate e già madri di uno o più figli che, rimaste incinta per una ragione o l’altra, non vogliono o possono portare avanti una seconda o terza gravidanza di cui conoscono perfettamente le implicazioni, visto che hanno già avuto dei figli. Anche queste forse sono le donne che desiderano esista un cimitero dei feti per potervi piangere il frutto di altre gravidanze, desiderate e involontariamente interrotte.

    Mi pare quindi che il discorso sull’aborto migliorerebbe se riuscisse a raggiungere una dimensione più umana, vicina alle donne reali e alle loro necessità, che nono sono sempre le stesse, ma cambiano nel corso della vita al cambiare delle loro circostanze. Migliorerebbe anche se, invece di ossessionarci sui feti che non possono parlare, riuscissimo a concentrarci sulle donne e quello che chiedono dai servizi di salute per migliorare la loro salute, mentale e fisica, informandole sulle proprie opzioni e, soprattutto, stimandole abbastanza da rispettare le loro decisioni, senza doverle sempre leggere in una chiave politico-ideologica.

    Allora, forse, riusciremmo a essere un Paese con servizi di salute più umani e compassionevoli, che servono le donne senza etichettarle come madri, oppure malafemmine.

    di barbara pece
    di barbara pece

     

    aborto cimitero feti firenze
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    Dols

    Dols è sempre stato uno spazio per dialogare tra donne, ultimamente anche tra uomini e donne. Infatti da qualche anno alla voce delle collaboratrici si è unita anche quella degli omologhi maschi e ciò è servito e non rinchiudere le nostre conoscenze in un recinto chiuso. Quindi sotto la voce dols (la redazione di dols) troverete anche la mano e la voce degli uomini che collaborando con noi ci aiuterà a non essere autoreferenziali e ad aprire la nostra conoscenza di un mondo che è sempre più www, cioè women wide windows. I nomi delle collaboratrici e collaboratori non facenti parte della redazione sono evidenziati a fianco del titolo dell’articolo, così come il nome di colei e colui che ci ha inviato la segnalazione. La Redazione

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    2 commenti

    1. Maria Elena abbate on 04/11/2013 00:11

      Concentrarsi sulle donne? Ma le donne qui sono l’ultima ruota del carro… È evidente! La cosa più logica, se riguarda le donne, diventa un’utopia in questo sfascio di paese! Se ci si mette di mezzo la chiesa poi, e questo succede sempre, apriti cielo… No non credo che un discorso come questo sia possibile qui, anche se sarebbe la cosa più ovvia e auspicabile…

      Reply
    2. Pingback: Il cimitero dei feti e quello che non si dice sull’aborto – Parla con noi - Blog - Repubblica.it

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La solitudine dei non amati, firmato e diretto dalla regista norvegese Lilja Ingolfsdottir, nella sua opera prima, con Oddgeir Thune, Kyrre Haugen Sydness, Helga Guren e Marte Magnusdotter Solem .
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Lo studio delle lingue straniere alimenta la curiosità e stimola la voglia di apprendere in molte discipline anche ben diverse, soprattutto se sostenute da una capacità imprenditoriale. Questo lo dimostra la storia qui di seguito riportata di Marialuisa Portaluppi da noi intervistata.
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