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    Home»Costume e società»Attualità»Donne di pace e di guerra
    Attualità

    Donne di pace e di guerra

    Marta AjòBy Marta Ajò09/06/2025Updated:09/06/2025Nessun commento4 Mins Read
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    Chi vive in pace è, purtroppo, superficialmente abituato a parlare di guerre.
    Generalmente apprese attraverso i media come qualcosa di molto lontano, difficilmente queste notizie  trasmettono sensazioni corporee. Nessuno, pur immedesimandosi, può provare ciò che altri vivono.
    L’orrore, o il più discreto dispiacere, per quanto avviene in quei luoghi remoti non scende oltre la testa.

    La notizia di morti, affamati, orfani, ostaggi, prigionieri, pur richiamando ad un senso di appartenenza umana, raramente sfocia o va oltre un sentimento di solidarietà, più o meno partecipata, verso queste sfortunate “categorie”.
    Di corpi ammassati, morti o vivi, dentro fosse o tende comuni. Luoghi dove la promiscuità non può che generare vergogna e pericolo.
    Corpi “interrotti”, sottratti alla privacy, all’igiene, al rispetto, alla vita.

    Non è compito di questo articolo entrare genericamente in un “terreno di guerra”.
    Il dibattito in corso è già complicato di suo ma c’è un aspetto ignorato, molto “particolare”, non meno grave, in questo scenario.
    E’ il corpo delle donne.

    Da sempre e in tutte le guerre, tra le armi usate contro i civili, quella dello “stupro” di donne di ogni età è sicuramente la più ignobile. Un’arma che non si vende, non si esporta, non richiede formazione militare. Ogni soldato ne conosce perfettamente l’uso. Rapida ed economica sa sempre come centrare il bersaglio.
    Rivolta a colpire la sfera intima e psicologica, corpo e anima, della vittima, arrecandole una ferita invisibile ma dolorosamente permanente. A volte lasciandole in ricordo un “seme”, a volte privandola della vita.

    Non c’è stato un tempo, in cui le donne non abbiano subito questa forma estrema di violenza.
    Lo stupro è divenuto un retaggio storico via via reinterpretato, a seconda degli obiettivi, affinato, consumato con buona intesa di tutti. Un corpo come bottino di guerra senza anima, che in età contemporanea è andato a fare parte di una strategia mirata a colpire le popolazioni civili, di sopraffazione-distruzione etnica.
    Un fenomeno utilizzato da tutti i paesi (Rwanda, Bosnia, Sudan, Ucraina ecc.), da tutte le culture, in tutti i conflitti. 

    Il conflitto Israele-Palestin
    a non lascia scampo.
    Lo confermano le più recenti immagini delle donne israeliane rapite il 7 ottobre. Con i pantaloni sporchi di  sangue, portate nude come trofei, morte o vive, stuprate, allontanate dai mariti e dai figli, imprigionate in cunicoli, uccise da armi e da stenti, sparite nel niente dell’inferno di Gaza.
    E dall’altra parte i corpi irriconoscibili delle palestinesi. Avvolti da pezze nere che quasi impediscono loro di respirare. Di quelli che le immagini mostrano correre giù e su, (dove colpiranno?) e su e giù (dove trovare le cure? dove il cibo? dove un riparo?). Un percorso instancabile che ricorda una lunga fila di formiche.

    Le vittime di guerra prescindono da genere, età, sofferenza. Tutti ne sono colpiti ma, nelle guerre, il corpo delle donne vive un inferno ulteriore che riguarda la loro specificità di genere.
    Private di uno spazio che possa coprire i loro corpi nei momenti più delicati del loro essere femminile. Non un posto che le tenga al riparo degli sguardi né uno specchio in cui riconoscersi.  Costrette a perdere il pudore mentre cambiano indumenti, anche intimi, in presenza di sconosciuti ammassati sotto lo stesso tetto provvisorio.

    Ubbidienti alle regole di natura, esse sono costrette a vivere in promiscuità, con vergogna e prive d’igiene, anche il ciclo mestruale e il parto.
    E la natura, che non contempla guerre, stabilisce e segue cicli, tempi e modi finalizzati alla sua riproduzione. Sia pure sotto droni, bombardamenti e macerie. 

    Donne non donne.
    Donne sopravvissute che continuano a generare.
    Donne private di cibo pronte ad allattare.
    Donne malate, nel corpo e nella mente, che resistono perché la loro resilienza è necessaria per dare seguito al ciclo vitale. 

    Eppure e sempre donne.
    Artefici contemporanee di vita e di lotta.
    Conservatrici del ricordo, dei legami affettivi, di speranza.
    Donne pronte al dialogo, ai trattati, a scavalcare barriere e confini, ai cambiamenti, alla PACE.
    Protagoniste di una sfida femminile secolare che nessuna guerra potrà negare. Nessun futuro potrà prescinderne.

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    Marta Ajo
    Marta Ajò
    • Website

    Marta Ajò, scrittrice, giornalista dal 1981 (tessera nr.69160). Fondatrice e direttrice del Portale delle Donne: www.donneierioggiedomani.it (2005/2017). Direttrice responsabile della collana editoriale Donne Ieri Oggi e Domani-KKIEN Publisghing International. Ha scritto: "Viaggio in terza classe", Nilde Iotti, raccontata in "Le italiane", "Un tè al cimitero", "Il trasloco", "La donna nel socialismo Italiano tra cronaca e storia 1892-1978; ha curato “Matera 2019. Gli Stati Generali delle donne sono in movimento”, "Guida ai diritti delle donne immigrate", "Donna, Immigrazione, Lavoro - Il lavoro nel mezzogiorno tra marginalità e risorse", "Donne e Lavoro”. Nel 1997 ha progettato la realizzazione del primo sito web della "Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità" della Presidenza del Consiglio dei Ministri per il quale è stata Editor/content manager fino al 2004. Dal 2000 al 2003, Project manager e direttrice responsabile del sito www.lantia.it, un portale di informazione cinematografica. Per la sua attività giornalistica e di scrittrice ha vinto diversi premi. Prima di passare al giornalismo è stata: Consigliere circoscrizionale del Comune di Roma, Vice Presidente del Comitato di parità presso il Ministero del Lavoro, Presidente del Comitato di parità presso il Ministero degli Affari Esteri e Consigliere regionale di parità presso l'Ufficio del lavoro della Regione Lazio.

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