Il miracolo non è avvenuto, la storia si doveva concludere e così è stato, ma il vero miracolo per Eleonora Giorgi, stroncata da un tumore al pancreas a 71 anni, non consisteva nella guarigione bensì nella normalità.
In quel dignitoso raccontarsi senza pietismi né lacrime – e sappiamo ne sono state versate tante -, in un’accettazione del dolore mai rassegnata e nel contempo priva d’accanimento. Giorgi si è vissuta, negli ultimi tempi della sua esistenza precocemente ribelle, trasgressiva e sempre piena, con una leggerezza d’ala, ricordando a sé stessa, ai figli, ai nipoti e al mondo intero, che la fine è come l’inizio, non un accidente né una vergogna. È un fatto umano che procura dolore, che non va cercato, che si può e si deve dilazionare con gli strumenti offerti dalla medicina (l’attrice era ricorsa alla cura palliativa). Senza tuttavia illusioni, né «anticipi» arbitrari.
Perché il malato non è mai inutile. Ogni respiro ha un significato. L’ha, forse, anche quando ci pervade il dubbio o semplicemente un’esitazione. Colpiva, in una donna tanto desiderata, dal fascino perlaceo, italo-ungherese, la totale umiltà. Eleonora Giorgi non dava lezioni di saggezza. E «dopo»? Dopo, forse. Forse il miracolo di rimanere ancora quaggiù. O il miracolo, paradossalmente più concreto, che potrebbe esserci un’altra dimensione, dove vale quanto hai amato. E che dà a ogni attimo compiuto qui una eco eterna. Nulla quindi va sprecato. Da subito, da oggi.
Non è un «ovunque tu sia». Non sono imprecisati spazi interstellari. Esitazione. O piuttosto intuizione. Scintilla o barbaglio.
Debole? Forse. Ma il «forse», in questi tempi sconsacrati, indica tutto. Lo comprese Leopardi, che lo elesse a suo avverbio prediletto.
«Forse» apre. Ed Eleonora Giorgi ha aperto all’eventualità di un’altra vita, non una qualsiasi ma il regno del dono.
Ecco il vero miracolo. «Finché non suona la campana vai», diceva un brano di successo. Per Eleonora Giorgi, come per ognuno di noi, potremmo chiosare: «La campana è suonata, andiamo». Ed è stato bellissimo.
