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    Dol's Magazine
    Home»Costume e società»Mattia, i Black bloc e la campagna
    Costume e società

    Mattia, i Black bloc e la campagna

    Cristina ObberBy Cristina Obber02/05/2015Updated:03/05/2015Nessun commento5 Mins Read
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    noexpo
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    Mattia si adegua alla SPINTA EMOZIONALE del momento. Se Mattia è un violento, o un paraculo, o un idiota, poco importa.

    Mattia si scusa, dice di non essere violento: “non sono una persona cattiva”, “mi sono comportato come un coglione” “e boh”, “pensavo che i cittadini normali stessero protestando”, “e boh” “mi scuso con tutti”, “Non sono un no-Expo, a Expo ci andrò a vederlo con la mia scuola e vedrò lì com’é”.
    Fa quasi tenerezza, se non fosse che se ieri avesse trovato una spranga l’avrebbe usata.

    Mattia dice di aver “espresso male un’emozione di quel momento”.
    Guardando il video, ascoltando le sue parole sul papà “incazzato di brutto e anche mia madre e anche tutta la mia famiglia”, con la pacifica campagna del pavese alle sue spalle, in totale contrasto con l’atmosfera metropolitana annebbiata dal fumo e dalla scelleratezza di ieri, verrebbe da chiedersi se ci sei o ci fai, ma non è questo il punto.
    Se Mattia è un violento, o un paraculo, o un idiota, a me poco importa.
    A me importa quello che Mattia rappresenta, ovvero un ragazzo che fa quello che in quel momento gli va di fare.
    Qualsiasi Mattia quando si trova nel mezzo di qualcosa che non conosce, invece di fermarsi a capire di cosa si tratta, di rifletterci, di farsi qualche semplice domanda, Mattia si adegua alla SPINTA EMOZIONALE del momento. E quel che sarà sarà, non vedo più in là del mio naso, della spranga che mi passa di fianco e vorrei tanto impugnare anche io per sentirmi forte e figo come mi sembrano gli altri intorno a me.
    Impossibile per me non mettere in relazione le sue parole con quello che mi sento dire a volte nelle scuole durante gli incontri contro la violenza.
    Con le domande che i ragazzi fanno su come gestire le emozioni, come capire quando le emozioni che si provano sono “emozioni giuste o violenza”.
    Con l’idea diffusa che la responsabilità di una cosa fatta in gruppo equivalga alla responsabilità totale divisa per il numero dei componenti del gruppo (su questo ho scritto il post Il branco e tu).

    In una scuola superiore di Milano un ragazzo di 17 anni ha alzato la mano davanti a tutti esprimendo un concetto tanto scioccante quanto disarmante: Io non stuprerei mai una ragazza, ma se mi trovassi all’interno di un gruppo non credo che saprei tirarmi indietro, perché nel gruppo decide chi è forte e io non sono uno col carattere forte.
    Che vuol dire se mi trovo in mezzo a un gruppo posso fare qualsiasi cosa, perché nel gruppo si fa e si pensa quello che fa il gruppo, in quel momento, e poi domani è un altro giorno.

    Quando ho raccolto le testimonianze per scrivere “Non lo faccio più” molti psicologi, assistenti sociali, direttori di carceri, mi hanno parlato dei ragazzi coinvolti negli stupri di gruppo negli stessi termini: generalmente c’è un leader, colui che la violenza la programma lucidamente, e poi ci sono gli altri, che non si tirano indietro, che stuprano, e poi piangono a posteriori, quando “si rendono conto del dolore inferto” (il il 42% degli stupratori minorenni ha un’età tra i 16 e i 17 anni, il 30% tra i 14 e i 15 anni). Sono quelli che non sapevano, che “non si rendevano conto”.
    E quasi tutti hanno dei genitori che li difendono di fronte ai giudici, colpevolizzando i genitori degli altri, degli amici che hanno trascinato nel crimine i loro “bravi ragazzi”.
    Io li chiamo “ex-bravi ragazzi”, perché se commetti un crimine diventi un criminale.

    A questo mi ha fatto pensare la faccia pulita di Mattia, più o meno consapevole della drammaticità che sta nelle sue parole di ieri e di oggi.
    Perché se lo prendiamo per sincero, ci preoccupa ancora di più.
    Dove sta il limite tra quello che per seguire le emozioni potresti o non potresti fare?
    Sincere o meno che siano, le sue scuse ci dicono che c’è un problema enorme in questo paese che si chiama RESPONSABILITA’.
    E a tutti i Mattia siamo noi che questa responsabilità non l’abbiamo insegnata, siamo noi che quella ereditata non l’abbiamo restituita, dissipandola.
    Noi, generazioni che i Mattia li hanno messi al mondo, li hanno fatti crescere in un paese dove giorno dopo giorno qualcuno rosicchiava spazi di responsabilità fino a eroderne la società intera, nell’indifferenza dei più.
    Depredando di responsabilità le aule dei tribunali, le cariche istituzionali, le categorie professionali, la vita quotidiana, ognuno di noi, in un paese che assolve tutto e tutti.

    Come possiamo stupirci se i tanti Mattia sulle proprie responsabilità riflettono soltanto dopo, dopo che tutto è compiuto, dopo che le vetrine sono in pezzi o la vita di una ragazza distrutta?
    Dove eravamo noi generazioni di genitori mentre i Mattia crescevano pensando di poter fare e dire tutto ciò che si vuole tanto non cambia niente, tanto alla fine nessuno mi chiede di assumermi la responsabilità di quello che faccio, a casa come a scuola?
    Mattia dice che il padre è “ancora” arrabbiato. Ancora?
    Non sono passate 24 ore e dovrebbe già non esserlo più?

    Non ci servirà parlar male di Mattia sui social dandogli dell’incosciente o del pirla, o accanendoci contro i suoi genitori, che staranno già facendo i conti con le proprie responsabilità.
    Ci servirà invece interrogarci su quanto siamo disposti a metterci in gioco per andare a recuperare quella RESPONSABILITA’ collettiva (e di conseguenza individuale) che fa parte della nostra memoria, e da cui ripartire. A cominciare da quella della scuola che frequenta Mattia, che invito ad organizzare una bella assemblea di autocoscienza non violenta.
    A cominciare, perché no, da quella dei Black bloc, che di ribelle non hanno niente e che fanno quello che fanno semplicemente perché nessuno gli presenta mai il conto.

     

    black bloc expo Mattia Sangermano responsabilità violenza
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    Cristina Obber
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    Cristina Obber è nata a Bassano del Grappa il 9 novembre 1964. Iscritta all’ Ordine dei giornalisti, ha collaborato per cinque anni con un quotidiano vicentino. Nel 2008 ha pubblicato “Amiche e ortiche” con Baldini Castoldi Dalai, affresco dolce-amaro dell’amicizia al femminile. Nel 2012 ha pubblicato un libro sulla violenza sessuale, "Non lo faccio più" ed. Unicopli che ha dato vita ad un progetto scuole e al blog nonlofacciopiu.net. Nel 2013 ha pubblicato per Piemme editore il libro Siria mon amour, storia vera di una 16enne italo-siriana che si è ribellata ad un matrimonio combinato. Nel biennio 2009-2010 ha pubblicato con Attilio Fraccaro editore “Primi baci” e “Balilla e piccole italiane”, due libri in cui ha raccolto ricordi del primo bacio e ricordi del mondo della scuola nella prima metà del novecento. Collabora con Dol’s, il sito delle donne on line da svariati anni. Si occupa di tematiche legate ai diritti. Il 25 novembre 2011, giornata internazionale contro la violenza sulla donna, esce il suo primo e-book dal titolo La ricompensa (edito da Emma books), che si apre con una citazione di Lenny Bruce: La verità è ciò che è, non ciò che dovrebbe essere. Il suo ultimo libro è ''L'altra parte di me’’, edito da Piemme, una storia d’amore tra adolescenti lesbiche.

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    Caterina Della Torre

    torre.caterinadella

    Redattora del sito internet www dols.it

    Ieri al Bam a Milano Gae aulenti Ieri al Bam a Milano Gae aulenti
    Ieri al Bam a Milano Gae aulenti Ieri al Bam a Milano Gae aulenti
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Appunti di viaggio.

Di Alfredo Centofanti

Bari. La città vecchia è un labirinto di vie che raccontano infinite storie. Inarrestabile è il vociare degli abitanti nel dialetto locale, dei tanti turisti stranieri, dei pellegrini che da secoli vengono qui per venerare San Nicola, amato tanto dai cattolici quanto dagli ortodossi.
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    Le protagoniste di questo bel film sono tre attric Le protagoniste di questo bel film sono tre attrici francesi deliziose, tre donne vere, che non hanno bisogno di chissà quali artifici per essere belle, attraenti e soprattutto insuperabili nel mettersi nei guai.

https://www.dols.it/2025/06/18/tre-amiche/
    Luana Sciamanna è un’avvocata penalista nata a Luana Sciamanna è un’avvocata penalista nata a Genzano di Roma nel 1978 e vive ad Ariccia. È esperta di violenza di genere e relazioni abusive, e collabora con i centri antiviolenza dei Castelli Romani, fornendo consulenza e assistenza legale alle donne vittime di violenza. È anche docente per la Regione Lazio nella formazione degli operatori della rete antiviolenza territoriale, e fondatrice e Presidente dell’associazione di promozione sociale “Crisalide Donne per le Donne”, che si occupa di consapevolezza ed empowerment femminile.

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Protagoniste di una sfida femminile secolare che nessuna guerra potrà negare. Nessun futuro potrà prescinderne.

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La solitudine dei non amati, firmato e diretto dalla regista norvegese Lilja Ingolfsdottir, nella sua opera prima, con Oddgeir Thune, Kyrre Haugen Sydness, Helga Guren e Marte Magnusdotter Solem .
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