Come d’incanto – parte quinta

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di Fabiola D’amico

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Le vigne distavano dalla villa quasi due ore, tempo che i due uomini occuparono conversando di agricoltura ed economia. Il Principe era un uomo aperto e molto attento al progresso, ma soprattutto aveva carisma e risvegliò in Gavin la consapevolezza che poteva fare più di ciò che le convenzioni potevano imporgli. Durante la lunga cavalcata, ci furono però degli attimi di tensione, quando sottolineò che la signorina Lucia era una fanciulla onesta che bisognava proteggere da corteggiamenti inutili.
«Signore, sarei un bugiardo se vi dicessi che provò qualcosa di profondo per Miss, ma non nego di esserne attratto».
«Mio caro, non discuto i vostri sentimenti, ma ciò cui porteranno. Un visconte non potrebbe mai sposare una fanciulla con il suo passato. È una bastarda, che ha vissuto con la madre, donna dalla dubbia morale, fino all’età di dieci anni. Da allora il padre l’ha portata in un convento da dove è uscita da un paio d’anni. La baronessa la odia ma per vendetta la tiene legata a sé. Soltanto il matrimonio potrebbe salvarla».
Gavin guardò il susseguirsi continuo delle montagne verdi all’orizzonte. Sposarsi. Sposare una senza posizione sociale. «Penserò a quanto mi avete detto e mi comporterò di conseguenza. Avete la mia parola signore!»

Le giornate si susseguirono in una calma e distesa routine; gli ospiti di villa Valguarnera si muovevano lentamente, assecondando lo scorrere del tempo. Ogni mattina Gavin usciva con il suo ospite, apprendeva i metodi di coltura, approvava i suoi progetti per fare del suo vino un marchio famoso. Nel pomeriggio, osservava l’istitutrice, la studiava come un tempo faceva con i suoi rettili. E sempre di più ne era affascinato.
I suoi modi erano eleganti, dolci, mai civettuoli; il suo corpo era flessuoso e perfetto sotto gli unici due abiti che possedeva. Il suo sguardo freddo e scostante era rivolto solo ai giovanotti che sovente la incalzavano con battute sagaci. Capì che l’altezzosità che mostrava era una maschera per difendersi dagli sciocchi pavoni che la circondavano e la deridevano.
La conquistò con l’astuzia di chi conosce il suo nemico. Non la lusingò, né la idolatrò.
Si confrontò con lei negli argomenti più disparati, le diede un’immagine di sé veritiera, parlandole della sua indefinibile dissolutezza, facendo breccia sul suo senso di protezione.
Lucia era confusa e timorosa. Il visconte non aveva accettato il suo rifiuto, ma non era diventato insistente come gli altri. In pochi giorni divenne l’amico che non aveva mai avuto. Un amico strano, per il quale provava sentimenti indefinibili, come il desiderio di esserne sfiorata. Se Gavin si aggiustava i capelli, le capitava di immaginare che accarezzasse i suoi; se lui s’inumidiva le labbra, arrossiva e girava lo sguardo, travolta dal desiderio che la baciasse come il barone, un tempo, aveva baciato la madre. Il suo stomaco si aggrovigliava ogni volta che lo vedeva, il corpo era percorso da ondate di piacere.

La gente osservava e spettegolava. Francesco pungolava con il suo charme da fatuo uomo la giovane, senza mai ottenere neanche un sorriso. Tutti davano vincente il visconte inglese. Consapevole di aver perso, ingigantì i pettegolezzi mandando in frantumi l’onore di Lucia.

La baronessa Rabbene soffriva di gotta e non usciva mai dalla sua camera, ma sapeva sempre tutto. Quando Lucia entrò nei loro appartamenti, dopo aver lasciato i bambini nella nursery, la chiamò al capezzale. Appena la giovane si avvicinò, con una forza sorprendente le afferrò i capelli e le mollò un ceffone sul viso.
«Sei una cagna in calore, come tua madre! Non ti permetterò di disonorare la mia famiglia, ti rispedisco in campagna e ti seppellisco viva, senza di me puoi fare solo la sgualdrina!»
Lucia trattenne le lacrime di dolore e umiliazione. Non si toccò neanche la guancia che stava gonfiando.
Con dignità, si allontanò, lasciando che la vecchia le urlasse contro i peggiori insulti. Non poteva difendersi, la baronessa era il suo solo sostentamento. Era alla mercé della sua cattiveria e bigotteria; era nata dall’amore per vivere nell’odio. Questo era il dono che i suoi genitori le avevano dato.
Finalmente la vecchia si addormentò, il suo russare coprì il pianto della giovane, che abbandonata su una poltrona pensava alla sua miseria, non di pane ma di affetti. Un inaspettato sentimento di rivolta la travolse, desiderò dimenticare la realtà.

<<continua>>

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Profilo Autore

Caterina Della Torre

Proprietaria di www.dols.it di cui è direttrice editoriale e general manger Nata a Bari nel 1958, sposata con una una figlia. Linguista, laureata in russo e inglese, passata al marketing ed alla comunicazione. Dopo cinque anni in Armando Testa, dove seguiva i mercati dell’Est Europa per il new business e dopo una breve esperienza in un network interazionale di pubblicità, ha iniziato a lavorare su Internet. Dopo una breve conoscenza di Webgrrls Italy, passa nel 1998 a progettare con tre socie il sito delle donne on line, dedicato a quello che le donne volevano incontrare su Internet e non trovavano ancora. L’esperienza di dol’s le ha permesso di coniugare la sua esperienza di marketing, comunicazione ed anche l’aspetto linguistico (conosce l’inglese, il russo, il tedesco, il francese, lo spagnolo e altre lingue minori :) ). Specializzata in pubbliche relazioni e marketing della comunicazione, si occupa di lavoro (con uno sguardo all’imprenditoria e al diritto del lavoro), solidarietà, formazione (è stata docente di webmarketing per IFOA, Galdus e Talete). Organizzatrice di eventi indirizzati ad un pubblico femminile, da più di 10 anni si occupa di pari opportunità. Redattrice e content manager per dol’s, ha scritto molti degli articoli pubblicati su www.dols.it.

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