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    Home»Donne digitali»Marie Curie anticonvenzionale anche in amore
    Donne digitali

    Marie Curie anticonvenzionale anche in amore

    Sara SestiBy Sara Sesti05/05/2013Updated:27/09/20141 commento8 Mins Read
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    curie e figlie
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    Prima donna ad essere premiata con due Nobel. Ed unica finora.

    Maria Skodlowska-Curie

    Si è celebrato da poco  il centenario del Nobel per la chimica a Marie Curie, la scienziata più conosciuta dal grande pubblico. E’un’occasione per ricordare una donna la cui vita ha ispirato testi teatrali, saggi e biografie che ne hanno rivelato una complessità più ricca e appassionata di quanto emerga dai libri scolastici.

    Maria Sklodowska (questo il nome di nascita) nacque a Varsavia nel 1867. All’epoca, la Polonia era spartita tra Austria, Prussia e Russia zarista e la capitale faceva parte dell’Impero Russo. Entrambi i genitori di Maria, ferventi patrioti polacchi, erano insegnanti: il padre, professore di matematica e fisica, diresse per anni un liceo statale, mentre la mamma, morta per tubercolosi quando la figlia aveva appena 10 anni, prima del matrimonio era direttrice di una scuola femminile. La piccola Maria crebbe, insieme al fratello e a tre sorelle, in un ambiente familiare in cui l’istruzione veniva considerata un valore fondamentale. Quando il padre fu licenziato per motivi politici, la loro casa fu trasformata in scuola privata. Maria aveva molta facilità negli studi e terminò il liceo nel 1883, a soli 15 anni, come migliore allieva.

    Dopo il diploma iniziò a impartire lezioni di matematica e fisica, ma la sua aspirazione, condivisa dalla sorella maggiore Bronia, era di continuare gli studi scientifici. Poiché in Polonia le donne non avevano ancora la possibilità di frequentare l’università, Maria fece un patto con lei: avrebbe cercato un impiego stabile come istitutrice privata per permetterle di trasferisi a Parigi per studiare medicina, poi quando Bronia si fosse laureata, l’avrebbe raggiunta. Così fu. Maria lavorò per sei anni presso una famiglia molto facoltosa. Si innamorò, ricambiata, del figlio dei padroni di casa, ma la loro relazione, ostacolata dai genitori di lui per la differenza di censo, si interruppe bruscamente. Per questo motivo Maria decise di lasciare la Polonia.

    Marie e la sorella Bronia
    Aveva 24 anni quando raggiunse a Parigi la sorella che nel frattempo si era laureata, praticava la professione medica e si era sposata con un collega psichiatra. Decise di cambiare il suo nome in Marie e si iscrisse alla Facoltà di scienze naturali della Sorbona. Frequentava l’ambiente colto dei rifugiati polacchi in Francia e viveva molto modestamente in una piccola mansarda concentrandosi esclusivamente sullo studio. Nel 1893 conseguì la licence in fisica (l’equivalente dell’odierna laurea) risultando la miglior studentessa del suo corso. Nell’anno successivo ottenne una seconda laurea in matematica, classificandosi seconda. Nel frattempo aveva conosciuto Pierre Curie (1859, 1906), uno scienziato di otto anni maggiore e già molto affermato. Il loro rapporto si consolidò in pochissimo tempo: entrambi avevano in comune molti interessi e ideali e dopo soli tre mesi di fidanzamento decisero di sposarsi.

    I Curie
    Nel 1896 Marie sostenne l’esame di stato in matematica e in fisica e nel l897 nacque Irène, la prima figlia. Con le ricerche per il dottorato iniziò ad avventurarsi nel campo che sarebbe poi stato decisivo per la sua vita. Si occupò infatti della radiazione naturale dell’uranio scoperta dal fisico Henri Becquerel (1852-1908), un fenomeno praticamente inesplorato e che su suggerimento di Marie Curie venne successivamente battezzato con il nome di radioattività. Nel 1898 Marie e Pierre Curie scoprirono due nuovi elementi radioattivi, che chiamarono polonio (in onore dell’amata Polonia) e radio. In quattro anni di duro lavoro, svolto in un atelier annesso al laboratorio di fisica della Sorbona, Marie sviluppò un procedimento per l’isolamento del radio ottenendone alcuni milligrammi dalla purificazione di ben 6 quintali di pechblenda, il minerale in cui si trova allo stato naturale. Fu un lavoro estenuante, eseguito senza precauzioni in quanto allora mancava la consapevolezza che si trattava di materiale contaminante.
    I Curie rifiutarono di brevettare questo procedimento nonostante sarebbe valso loro un patrimonio e avrebbe significato la fine delle loro condizioni di ricerca disastrose, perché erano convinti che i risultati della scienza dovessero essere a disposizione di tutti.
    Nel 1903 Marie terminò il suo dottorato e nello stesso anno ottenne il Premio Nobel per la fisica, insieme a Pierre e a Henri Becquerel, per la scoperta e l’analisi della radioattività naturale. Inizialmente per il Nobel venne fatto solo il nome del marito e soltanto per le proteste di Pierre, innamorato e conscio del genio di Marie, quest’ultima non ne fu esclusa. Fu però pregata di “stare zitta” alla cerimonia e il discorso di accettazione del Nobel fu tenuto solo dal marito. Marie non ne fu risentita, si sentiva tutt’uno con Pierre, il loro matrimonio era molto riuscito. Alla base della loro unione c’erano il grande rispetto che il marito aveva del lavoro e della passione scientifica di Marie, un progetto di ricerca comune e soprattutto una comune visione della scienza come ideale.

    Marie e le figlie Eve e Iréne

    Dopo il Nobel, a Pierre Curie fu offerta la cattedra di fisica alla Sorbona, mentre Marie venne nominata direttrice di laboratorio e divenne sua assistente. Dopo un aborto spontaneo (forse conseguenza delle radiazioni), nel 1905 nacque la seconda figlia Eva-Denise. L’anno successivo Pierre morì in un orribile incidente, travolto da un carro a cavalli. Marie sprofondò in un grave stato depressivo da cui uscì dedicandosi al lavoro. Le fu infatti offerta la cattedra del marito in qualità di professore incaricato. Due anni più tardi le venne riconosciuto il titolo di professore ordinario. Fu così la prima donna ad ottenere un tale incarico alla Sorbona.

    Dopo la morte del marito, tutta la scienza di Marie fu offuscata da una vicenda personale usata contro di lei per infangarla: la relazione con Paul Langevin un collega più giovane, sposato e padre, che invase i giornali, trasformando un premio Nobel in una straniera ladra di mariti”. E confermando l’ idea diffusa che la scienza non giova alle donne, rendendole oltretutto immorali e pericolose per la famiglia e la società.

    Paul Langevin

    La relazione con Paul Langevin per poco non costò alla scienziata anche l’assegnazione del secondo premio Nobel. Nel 1911 infatti Marie Curie fu insignita del prestigioso premio, questa volta per la chimica, quale riconoscimento per l’isolamento del radio e del polonio. Fu la prima persona a vincere due premi Nobel ed è tuttora l’unica donna. In suo onore venne definita curie” l’unità di misura che rappresenta l’attività di un grammo di radio al secondo, peccato che successivamente fu sostituita con l’unità becquerel”.
    Nonostante le sue imprese scientifiche pionieristiche, i numerosi riconoscimenti e la fama mondiale, Marie Curie non venne mai ammessa all’Académie Française des Sciences, poiché i suoi membri non accettavano ancora che una donna facesse parte del loro gruppo. Marie era comunque riuscita, nel 1909 dopo lunghe e dure trattative, a costituire un laboratorio di ricerca presso la Sorbona, l’Institut du Radium, oggi noto come Istituto Curie, dove assunse la direzione della sezione di fisica.

    Nel 1914, dopo l’inizio della prima guerra mondiale, Marie fondò e organizzò il servizio di radiologia per il fronte, istruendo a questo scopo un centinaio di infermieri nella tecnica radiologica. Aveva installato una apparecchiatura a raggi X su una piccola vettura (la Petite Curie) e con questa girava per i campi di battaglia della Marna, insieme alla figlia Iréne, facendo radiografie ai feriti. Dopo la guerra proseguì le sue ricerche all’Institut du Radium e partecipò a numerose missioni scientifiche all’estero.

    Marie alla guida di una “petite Curie”

    La salute di Marie Curie risentì molto del lavoro di ricerca che l’aveva esposta per lunghi anni alle sostanze radioattive. Negli ultimi anni della sua vita, fu colpita da una grave forma di anemia aplastica, malattia quasi certamente contratta a causa delle lunghe esposizioni alle radiazioni di cui, all’epoca, si ignorava la pericolosità. Morì nel sanatorio di Sancellemoz di Passy nell’ Alta Savoia, nel 1934 mentre preparava il suo ultimo esperimento con l’attinio. Ancora oggi tutti i suoi appunti di laboratorio successivi al 1890, persino i suoi ricettari di cucina, sono considerati pericolosi a causa del loro contatto con sostanze radioattive. Sono conservati in apposite scatole piombate e chiunque voglia consultarli deve indossare abiti di protezione.
    La figlia maggiore, Irène Joliot-Curie, vinse anch’essa un premio Nobel per la chimica insieme al marito Frédéric Joliot-Curie nel 1935, l’anno successivo la morte della madre. La secondogenita, Eve Denise Curie, scrittrice e redattrice della prima biografia della madre, fu tra l’altro consigliere speciale del Segretariato delle Nazioni Unite e ambasciatrice dell’UNICEF in Grecia.

    Il Pantheon di Parigi

    Nel 1995 la salma di Marie Curie è stata trasportata, per volere dell’allora presidente della repubblica francese François Mitterand, al Pantheon di Parigi: prima donna accolta in un luogo riservato ai grandi di Francia. Per il timore di contaminazioni radioattive, la sua bara è stata avvolta in una camicia di piombo.

    La biografia di Marie Curie è tratta dal libro: Sesti Sara, Moro Liliana, Scienziate nel tempo. 70 biografie, LUD, Milano, 2010

    Maria Skodlowska-Curie Nobel
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    Sara Sesti

    Insegnante di Matematica fa parte dell’Associazione Donne e Scienza. E’ responsabile per il ”Centro di Diffusione della Cultura Scientifica e Tecnologica” dell’Università di Milano della rassegna di film e documentari scientifici “Vedere la Scienza- Sguardi sulle Donne di scienza”. Ha curato, per il Centro di Ricerca PRISTEM dell’Università Bocconi, la mostra ”Scienziate d’Occidente. Due secoli di storia”. Ha pubblicato con Liliana Moro il libro ”Donne di scienza. 50 biografìe dall’antichità al duemila”, PRISTEM-Bocconi, 1999 e “Scienziate nel tempo. 70 biografie”, LUD Milano, ultima edizione 2010. Collabora con la rivista di matematica ”Progetto Alice”. E’ una delle webmaster del sito www.universitadelledonne.it. É coautrice dello spettacolo teatrale “Scienziate visionarie. Il mondo che vogliamo” prodotto da Pacta dei Teatri (2023)

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    Redattora del sito internet www dols.it

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    https://www.dols.it/2025/05/07/one-to-one-john-yok https://www.dols.it/2025/05/07/one-to-one-john-yoko/
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Un libro che sorprende l’ultimo lavoro editoriale di Mariangela Gualtieri .
Poetessa, drammaturga, attrice, personaggio unico per sensibilità e grazia nel mondo culturale e teatrale italiano che stavolta ci stupisce facendoci ritornare tutti un pò bambini con un volume di grande formato fatto di rime e disegni da colorare.
Un gioiello per chi desidera donarsi momenti di lentezza e libera immaginazione.
Inizia proprio con il mio scoprire questo gioioso suo ultimo lavoro il dialogo con Mariangela , gentile e disponibile come sempre , in una intervista che non può non toccare anche i grandi temi del tempo complesso che viviamo.
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Ti sei divertita con i giochi proposti? Ti sei ritrovata a fare acrostici e anagrammi mentalmente, magari mentre eri in coda dal medico o al supermercato? Non riesci più a sentire una parola senza ricercare sinonimi e contrari? Ti devi trattenere dal dire a voce alta la frase dell’acrostico appena senti un nome? La tua penna è bella calda e le parole stanno uscendo frizzanti dal letargo?

Adesso che hai sgranchito la penna e le idee, è il momento di creare qualcosa che potrà essere anche breve ma sicuramente più significativo dei semplici giochi linguistici. Lasciati suggestionare dalle citazioni e ispirare dai suggerimenti. Sperimenta con stili e generi diversi, e non aver paura di esprimere la tua creatività o le tue stranezze. Cosa aspetti? Scrivi!
    Viviamo in un mondo dove troppo spesso il bisogno Viviamo in un mondo dove troppo spesso il bisogno di sottomettere l’altro prevale sul desiderio di incontrarlo. L’essere umano, illuso di essere superiore, continua a esercitare la sua necessità di dominio, dimenticando il significato profondo di parole come umiltà, equità, umanità, uguaglianza. E proprio perché questi valori sono diventati rari, siamo costretti a ribadirli, a insegnarli, a difenderli.
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Cambiare vita, dare spazio ai propri desideri e fare quello che davvero ci piace è il sogno di molti,
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    Negli ultimi tempi, ho avuto lunghe conversazioni Negli ultimi tempi, ho avuto lunghe conversazioni con mia cugina, che vive in Germania. Lei è alevita e ha sposato un ragazzo sunnita originario di Erzurum. Eppure, nonostante entrambi appartengano al popolo curdo, le differenze religiose sono bastate a creare muri. La famiglia del marito fatica ad accettarla, ritenendo gli aleviti culturalmente ed eticamente inferiori. Questo mi ha portato a riflettere su una dinamica universale: la tendenza dell’essere umano a costruire confini invisibili, a classificare, separare, giudicare.

Quante volte, da immigrati, ci siamo sentiti dire: “Se tutti fossero come voi, così integrati, sarebbe diverso”? Quante volte il nostro valore è stato misurato in base alla capacità di adattarci, di “assomigliare” alla cultura dominante? Ma questa non è una dinamica esclusiva delle migrazioni o della religione. Ovunque, gruppi diversi si osservano con sospetto. Il “diverso” fa paura.

Se ci spostassimo in un villaggio del Togo, del Senegal, del Congo, del Tibet, della Birmania o del Perù, troveremmo le stesse dinamiche: anche all’interno della stessa etnia, le tribù si guardano con diffidenza. Come se l’altro fosse meno degno, meno umano. È un istinto antico, quasi animale, nato dal bisogno di proteggere il proprio spazio. Ma qui nasce il paradosso: gli animali conoscono il proprio territorio e lo rispettano. Noi esseri umani, invece, non facciamo altro che invadere, appropriandoci, giudicando, alimentando paure e pregiudizi grandi come montagne.
https://www.dols.it/2025/04/16/pregiudizi-paura-e-confini-invisibili-il-difficile-cammino-dellumanita-verso-laccettazione/

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    Regia di Guido Chiesa Prodotto da Iginio Straffi e Regia di Guido Chiesa
Prodotto da Iginio Straffi e Alessandro Usai
Con Micaela Ramazzotti, Edoardo Leo, Gloria Harvey, Andrea Pisani, Anna Bonaiuto
Al cinema dal 17 aprile
https://www.dols.it/2025/04/15/30-notti-con-il-mio-ex/
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E’ la prima ampia mostra personale in Italia dell’artista iraniana; che attraverso le sue opere filmiche e fotografiche esplora le rappresentazioni identitarie del femminile e del maschile nella sua cultura.
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