Ida Pfeiffer , grande viaggiatrice austriaca fu anche la prima donna bianca che nel 1852 si recò nella giungla di Sumatra abitata dai batak, ritenuti cannibali.
A lei sono intitolate una via a Monaco di Baviera ed una a Wilhelmshaven..
Nacque a Vienna il 4 ottobre 1797. Era la quinta di sei fratelli, figli di un agiato mercante di tessuti che morì prematuramente quando lei aveva nove anni. Gli amici di famiglia raccontavano che sin da bambina correva fuori casa per vedere passare le diligenze che lasciavano la città. La piccola, inoltre, era un’accanita lettrice di libri di viaggi e di avventura. Tutto ciò che poteva farla evadere dal “quotidiano” l’attirava irrefrenabilmente.
Era innamorata del suo giovane precettore che era anche un viaggiatore, ma la madre si oppose al loro amore. Costretta dalle difficoltà economiche in cui versava la famiglia, a ventidue anni dovette sposare un uomo molto più anziano di lei, l’avvocato Pfeiffer, con cui avrà due figli. Fu un matrimonio triste e senza amore, vivevano in ristrettezza economica a causa di un tracollo finanziario e lei, per arrotondare, faceva la segretaria e dava lezioni di pianoforte. Furono anni venati di malinconia e così lei scriveva: “Solo il cielo sa cosa ho sofferto. Vi sono stati giorni in cui vi era solo pane secco per la cena dei miei figli”.
Nel 1842, diventata vedova e con i figli già grandi, iniziò a esplorare il mondo. Il suo primo viaggio fu in Terrasanta: erano viaggi spartani, fatti in economia, spesso avvalendosi di passaggi gratuiti. A volte Ida, indossando abiti maschili, si mescolava tra la folla per poter osservare più liberamente il comportamento delle popolazioni incontrate nel suo peregrinare tra i continenti. Questa viaggiatrice percorrerà 140.000 miglia marine e 20.000 miglia inglesi via terra. Mentre si trovava in Oriente scrisse sul suo diario: «In quella mischia ero davvero sola e confidavo solo in Dio e nelle mie forze. Nessuna anima gentile mi si avvicinò».
Ida Pfeiffer fu anche la prima donna bianca che nel 1852 si recò nella giungla di Sumatra abitata dai batak, ritenuti cannibali. In quell’occasione riuscì a salvarsi dicendo ai cannibali: “la mia testa è troppo vecchia e dura per essere mangiata”, così il saggio capo tribù iniziò a ridere e la lasciò libera.Il suo primo viaggio intorno al mondo durò due anni e sette mesi. Si imbarcò da Amburgo per raggiungere il Brasile e poi il Cile. Da qui poi attraversò l’Oceano Pacifico approdando a Tahiti fino ad arrivare all’isola di Ceylon. Risalì attraverso l’India fino al Mar Nero e alla Grecia sbarcando a Trieste e ritornando a Vienna.
Il suo secondo viaggio invece durò quattro anni: da Londra arrivò a Città del Capo per poi esplorare il Borneo ed avere contatti ravvicinati con i “tagliatori di teste” del Dayak, attraversò l’Oceano Pacifico in senso inverso, arrivò in California e iniziò a percorrere tutti gli Stati americani. Fu ammessa a far parte delle società geografiche di Berlino e Parigi, ma non di quella inglese, negata alle donne.
I musei di Vienna custodiscono, ancora oggi, piante, insetti e farfalle che lei raccoglieva ovunque e portava in patria. La motivazione che la spingeva a viaggiare la troviamo nell’introduzione ad uno dei suoi libri: “Bisogna essere animati da vera passione per i viaggi e avere un desiderio invincibile di istruirsi e esplorare Paesi finora poco conosciuti”. Scriveva a matita, con una calligrafia piccola e minuta e raccontò i suoi sette viaggi in tredici volumi di diari che divennero best seller tradotti in sette lingue. Tra i titoli dei suoi libri: Giro del mondo di una donna e Secondo giro del mondo di una donna.
In una bellissima e significativa foto del 1856 Ida è seduta su un divano con un vestito dell’epoca, con il capo coperto da una cuffietta bianca di pizzo, il braccio destro su un grosso libro, accanto a lei un enorme mappamondo, i suoi occhi non guardano l’obiettivo ma altrove, lontano lontano.
Morì il 27 ottobre 1858 a causa di una malattia tropicale contratta in Madagascar, meta del suo ultimo viaggio.
Era innamorata del suo giovane precettore che era anche un viaggiatore, ma la madre si oppose al loro amore. Costretta dalle difficoltà economiche in cui versava la famiglia, a ventidue anni dovette sposare un uomo molto più anziano di lei, l’avvocato Pfeiffer, con cui avrà due figli. Fu un matrimonio triste e senza amore, vivevano in ristrettezza economica a causa di un tracollo finanziario e lei, per arrotondare, faceva la segretaria e dava lezioni di pianoforte. Furono anni venati di malinconia e così lei scriveva: “Solo il cielo sa cosa ho sofferto. Vi sono stati giorni in cui vi era solo pane secco per la cena dei miei figli”.
Nel 1842, diventata vedova e con i figli già grandi, iniziò a esplorare il mondo. Il suo primo viaggio fu in Terrasanta: erano viaggi spartani, fatti in economia, spesso avvalendosi di passaggi gratuiti. A volte Ida, indossando abiti maschili, si mescolava tra la folla per poter osservare più liberamente il comportamento delle popolazioni incontrate nel suo peregrinare tra i continenti. Questa viaggiatrice percorrerà 140.000 miglia marine e 20.000 miglia inglesi via terra. Mentre si trovava in Oriente scrisse sul suo diario: «In quella mischia ero davvero sola e confidavo solo in Dio e nelle mie forze. Nessuna anima gentile mi si avvicinò».
Ida Pfeiffer fu anche la prima donna bianca che nel 1852 si recò nella giungla di Sumatra abitata dai batak, ritenuti cannibali. In quell’occasione riuscì a salvarsi dicendo ai cannibali: “la mia testa è troppo vecchia e dura per essere mangiata”, così il saggio capo tribù iniziò a ridere e la lasciò libera.Il suo primo viaggio intorno al mondo durò due anni e sette mesi. Si imbarcò da Amburgo per raggiungere il Brasile e poi il Cile. Da qui poi attraversò l’Oceano Pacifico approdando a Tahiti fino ad arrivare all’isola di Ceylon. Risalì attraverso l’India fino al Mar Nero e alla Grecia sbarcando a Trieste e ritornando a Vienna.
Il suo secondo viaggio invece durò quattro anni: da Londra arrivò a Città del Capo per poi esplorare il Borneo ed avere contatti ravvicinati con i “tagliatori di teste” del Dayak, attraversò l’Oceano Pacifico in senso inverso, arrivò in California e iniziò a percorrere tutti gli Stati americani. Fu ammessa a far parte delle società geografiche di Berlino e Parigi, ma non di quella inglese, negata alle donne.
I musei di Vienna custodiscono, ancora oggi, piante, insetti e farfalle che lei raccoglieva ovunque e portava in patria. La motivazione che la spingeva a viaggiare la troviamo nell’introduzione ad uno dei suoi libri: “Bisogna essere animati da vera passione per i viaggi e avere un desiderio invincibile di istruirsi e esplorare Paesi finora poco conosciuti”. Scriveva a matita, con una calligrafia piccola e minuta e raccontò i suoi sette viaggi in tredici volumi di diari che divennero best seller tradotti in sette lingue. Tra i titoli dei suoi libri: Giro del mondo di una donna e Secondo giro del mondo di una donna.
In una bellissima e significativa foto del 1856 Ida è seduta su un divano con un vestito dell’epoca, con il capo coperto da una cuffietta bianca di pizzo, il braccio destro su un grosso libro, accanto a lei un enorme mappamondo, i suoi occhi non guardano l’obiettivo ma altrove, lontano lontano.
Morì il 27 ottobre 1858 a causa di una malattia tropicale contratta in Madagascar, meta del suo ultimo viaggio.
Tratto da “Le Mille i primati delle donne” dell’Associazione Toponomastica femminile a cura di Ester Rizzo