AFGHANISTAN. RESISTERE A OLTRANZA: DONNE UNITE CONTRO LA VIOLENZA
Forse la realtà afghana sarebbe stata diversa se quel 17 maggio di tre anni fa il parlamento avesse avallato la mozione inoltrata dalla deputata Fawzia Kofi, mirata al rafforzamento della legge sancita nel 2009 dall’allora presidente Hamin Khan Karzai per contrastare la violenza di genere (inclusi matrimoni combinati e tra minori) e vietare il baad (tradizionale baratto di donne a risoluzione delle faide tribali).
Invece l’oscurantismo religioso dei conservatori aveva inevitabilmente prevalso, in aperto spregio alle condizioni esistenziali arcaiche incombenti sull’altra metà del cielo.
“Abbiamo bisogno di leggi più eque e orientate alla nostra difesa, poiché la protezione giuridica è fondamentale nella rivendicazione dei diritti”: la reazione della letterata Wazhma Frogh era stata immediata “Dobbiamo necessariamente attuare un cambiamento culturale. Hanno chiuso le scuole, siamo state murate vive in casa, deturpate con l’acido, torturate. Però continueremo a combattere, perché per noi è una questione vitale“.
Resistere a oltranza, dunque, per non svanire nel nulla dell’indifferenza e scongiurare il degrado etico. Lottare per sopravvivere all’emarginazione dettata dall’invisibilità sociale e culturale.
L’esautorazione del regime taliban (avvenuta nel 2001 a opera delle Special Forces Usa e Nato) avrebbe dovuto coincidere con l’inizio di un’era promettente; ma così non è stato. I timidi risultati conseguiti dalle afghane sul piano sociale (accesso indiscriminato agli istituti scolastici e maggiori opportunità lavorative) sono puntualmente stati inficiati. E non solo a causa delle notevoli divergenze economiche che tuttora separano le aree urbane da quelle rurali.
La nuova ondata di radicalismo abbattutasi sull’Afghanistan sembra infatti aver pesantemente influito sulla popolazione maschile, tradizionalmente afflitta da una cieca misoginia: “I dati in nostro possesso rivelano che almeno l’87% delle donne (circa una su dieci, n.d.r.) ha subito attacchi fisici, verbali o sessuali, mentre proprio per evitare molestie il 14% delle studentesse ha preferito rinunciare agli studi “, ha raccontato la regista Noorjahan Akbar, fautrice dei diritti umani e femminista convinta. Il crescente senso di insicurezza avrebbe tra l’altro già indotto molte professioniste (insegnanti, parlamentari, intellettuali, artiste, giornaliste, medici) a fuggire altrove.
“E stavolta non si tratta solo dei Talìban (famigerati studenti coranici promotori di una rigida interpretazione della Sharìa, o normativa islamica, n.d.r). Certo, la loro presenza è penalizzante, tuttavia la maggior parte dei soprusi avviene ancora nell’ambito familiare”, ha proseguito. “Alcune sono state uccise solo in quanto femmine; altre per aver semplicemente osato scegliere il proprio marito. Credo sia veramente difficile imprimere un’inversione di tendenza al sistema vigente. L’integralismo e gli abusi di cui siamo vittime permangono complementari. Persino gli esponenti più moderati del clero, teoricamente inclini alla parità dei sessi, non perdono occasione per ribadire ai fedeli l’importanza della segregazione femminile“.
Una propaganda denigratoria – volta sostanzialmente a esaltare la sacralità della violenza) – da cui purtroppo i principali strumenti di comunicazione (radio, tv, social network, organi di stampa) non sono assolutamente esenti.
La quotidianità femminile afghana è costantemente ritmata da esecuzioni pubbliche, aggressioni arbitrarie, intimidazioni, ingiurie, delitti perpetrati (spesso all’ombra delle pareti domestiche) nell’impunità totale. Insidie da cui nessuna donna può ritenersi immune.
“Siamo state costrette ad assistere impotenti all’uccisione di parecchie militanti, ree di reclamare giustizia per le offese ricevute: è una vergogna nazionale. Io comunque resto ottimista riguardo al futuro, anche perchè il pessimismo non servirebbe a nulla“. Esternazione avvalorata del resto dalla determinazione delle sue stesse connazionali, pervase da una consapevolezza fino a qualche tempo fa inedita. Ora infatti è la completa dedizione alla causa emancinpatoria a dominare. “So che a dispetto delle ansie e delle minacce riusciremo a vincere la nostra battaglia“, ha concluso l’attivista. “Dopotutto, l’Afghanistan appartiene a tutti“.