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    Home»Costume e società»La parola agli uomini»Per un uomo non è facile parlare di femminicidio
    La parola agli uomini

    Per un uomo non è facile parlare di femminicidio

    DolsBy Dols31/05/2016Updated:01/06/2016Nessun commento5 Mins Read
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    Non è facile per un uomo esprimere un giudizio coerente e privo di imbarazzo nei confronti  del femminicidio.

    di Nico Conti 

    In questa nostra società occidentale, che spesso contrapponiamo per superiorità implicita a altri paesi e culture, si verificano ripetutamente fatti di cronaca che rendono difficile a chi è “maschio” esprimere un giudizio coerente e privo di imbarazzo nei confronti di questa supposta modernità: è in particolare il caso del femminicidio.
    L’ultimo femminicidio, in ordine di tempo, che fa scattare un doveroso ragionamento ”al maschile” sul tema della violenza ultima alla donna è quello della ragazza di Roma che, dopo una violenta lite, è stata strangolata nella sua auto e poi data a fuoco dal compagno.
    In particolare nel nostro Paese, si superano annualmente il centinaio di casi dove la donna viene assassinata e dove nella maggior parte delle situazioni è il partner a compiere il gesto inconsulto: cioè colui che avrebbe dovuto amare la vittima più di ogni altra persona a lei vicina.
    Se è impossibile entrare nel caso psicologico, meglio psichiatrico, per analizzare la follia del gesto, è doveroso da parte del “maschio” di turno tentare di compiere una qualche analisi dato che questo crimine per una logica di causa-effetto si chiama femminicidio, e non si può più trattare come fatto di cronaca isolato.
    Senza voler creare teorie sociologiche, per cui non avrei le competenze e nemmeno i dati necessari su cui basarle, devo partire da alcuni fatti del contesto che mi sembrano importanti, e che mi saltano agli occhi:
    1) Viviamo in una società post-maschilista: il potere non è più strettamente sinonimo di maschile, ma siamo ancora lontani da una società “asessuata”, vale a dire dove non c’entri il sesso a cui si appartiene ai fini della determinazione di chi comanda e dei
    ruoli che si hanno.
    Oserei dire che è una società neo-maschilista, almeno fino a quando una transizione sarà avvenuta in modo chiaro. Alcuni indizi fanno pensare che ciò non avverrà in un immediato futuro.

    Il genere maschile e femminile vengono strategicamente mantenuti separati sin dalla nascita (rosa le femmine e azzurro i maschi), addirittura si usa comunemente il termine “opposite sex”, il che manifesta già una violenza in sé come in altri termini, appunto opposti, quali padrone-servo.
    Molto è cambiato, ma non tutto: viviamo di fatto ancora in una apartheid dei sessi basata sul presupposto sbagliato della binarità di genere.
    Per non farla lunga: il potere è ancora in gran parte maschile, ma è minacciato da nuove visioni.
    2) Una statistica abbastanza recente dell’ISTAT rivelava che il 35% delle donne ha subito violenza fisica o sessuale da parte del partner e di altra persona.
    Dunque solo in Italia quasi sette milioni di donne hanno vissuto una violenza nell’arco della loro vita.
    Inoltre due terzi delle vittime di omicidi in ambito familiare è donna. Sono dati talmente macroscopici, che io “maschio” devo concludere che la violenza familiare non è l’eccezione ma la regola, e che se non sono responsabile della
    violenza diretta, che non mi appartiene, lo sono per quella indiretta dello status quo.
    Tutto questo fa davvero pensare a un monopolio del potere maschile seriamente minacciato, al quale alcuni di noi rispondono con la violenza, in mancanza di una cultura dell’uguaglianza e del rispetto.
    3) Non tragga in inganno quest’ultimo fatto di violenza assassina avvenuto a Roma: gli omicidi non sono caratterizzati dalla latitudine, o dalla situazione macroeconomica di un’area, ma sono diffusi e in aumento anche in regioni che dovrebbero essere economicamente più solide, come la Lombardia.
    4) Se l’economia e lo sviluppo di un’area non sembrano avere un influenza positiva a calmierare il femminicidio, forse è la mancanza di “tenuta sociale” che ha a che vedere con il fenomeno.
    In un periodo di grave crisi economica come quello che stiamo vivendo, la società si dirige verso un maggior individualismo, si perde il senso di società comune e difesa del debole, ci si sente minacciati dall’esterno (migranti, razze, culture altre).
    In altre parole viene a mancare proprio quella tenuta sociale, quel sentirsi collettività, quelle relazioni umane, e tutto viene ridotto a fatto privato.
    Ragion per cui non mi stupirei se i femminicidi aumentassero nei periodi di crisi economica, così come aumentano i suicidi.
    Insomma la più grande minaccia alla sicurezza “familiare” siamo noi stessi e siamo noi maschi.
    Manca il collante sociale e vengono a mancare i rapporti umani in senso lato (una volta ciò si sarebbe detto conseguenza della mercificazione dell’essere umano, ridotto a forza lavoro).
    Ora al di là delle teorie sociali, o della mancanza di una teoria sociale che non sono in grado di produrre, mi pare evidente che questi omicidi di donne, sono l’effetto di una causa più rilevante che non è da ritrovarsi solo nella violenza maschile tout-court, ma in una responsabilità sociale più ampia che portiamo tutti noi “maschi”.
    Tutto ciò mette in discussione il nostro modo ordinario di voler contrapporre l’essere maschi all’essere femmine.
    E’ in questa divisione costruita fittiziamente e socialmente la vera malattia mentale della nostra società.
    Le regole sociali del nostro comune “gioco di ruolo” non funzionano più. E’ questa dicotomia sempre più artificiosa maschile-femminile che genera violenza.
    Nella maggior parte dei casi avviene sulle donne, ma spesso anche sugli omosessuali, e a volte sulle minoranze transessuali, in altre parole è una violenza istituzionalizzata su tutto ciò che va contro questa netta separazione.

     

     NNico Contiico Conti nasce a Imola  nel 55. Laureato in economia si considera un sociologo amatoriale. Da diversi anni fa parte del Comitato italiano per il Projet Hessdalen. I suoi hobby sono pittura e disegno. Con Iacobellieditore ha pubblicato il suo primo libro Quando in cucina c’è solo lui e Come scrivere una bella lettera anonima.
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    Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo roman Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo romanzo, L’arte della gioia, uscito dopo la sua morte (nel 1996 a 72 anni) e solo grazie alla dedizione del marito, Angelo Pellegrino. Il libro vide la luce nel 1998 presso Stampa Alternativa (e poi nel 2008 da Einaudi). Tollerata dai salotti intellettuali del tempo, dove era entrata grazie alla sua lunga relazione con il regista Citto Maselli, Goliarda Sapienza fu sempre insofferente nei confronti del mondo intellettuale e borghese. Attrice, scrittrice, donna libera, più irregolare che anticonformista, chissà cosa penserebbe dell’interesse che sta suscitando in questo periodo non solo la sua opera ma anche la sua vita.

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Lo studio delle lingue straniere alimenta la curiosità e stimola la voglia di apprendere in molte discipline anche ben diverse, soprattutto se sostenute da una capacità imprenditoriale. Questo lo dimostra la storia qui di seguito riportata di Marialuisa Portaluppi da noi intervistata.
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Spettacolo scritto e diretto da Andrée Ruth Shammah, con Milena Vukotic, Federico De Giacomo e Andrea Soffiantini. Visto al teatro Franco Parenti Maggio 2025.
    La regista Elisabetta Sgarbi, che con Eugenio Lio La regista Elisabetta Sgarbi, che con Eugenio Lio ha anche scritto la sceneggiatura, spiega: «I personaggi sono nati e si sono sviluppati, per lo più, già con il volto di chi li avrebbe interpretati, il loro corpo, i loro modi. Questo ci ha aiutato molto nello scrivere il film, perché, laddove la sceneggiatura non poteva e non doveva dire, potevamo immaginare un colpo d’occhio, un movimento, un gesto, una espressione che riempissero quel “vuoto”. 

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