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    Dol's Magazine
    Home»Costume e società»Nascere femmina in India vuol dire rischiare
    Costume e società

    Nascere femmina in India vuol dire rischiare

    Rita CugolaBy Rita Cugola05/06/2014Updated:14/07/2014Nessun commento4 Mins Read
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    Nascere femmina in India vuol dire rischiare
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    Donne e bambine non cessano di essere nel mirino delle violenze maschili nella  regione indiana dell’Uttar Pradesh.
    I massacri aumentano costantemente a ritmi vertiginosi ma come avviene  spesso in Occidente, le notizie relative a tali scempi remoti vengono relegate  in un angolo sempre più angusto, tracce inequivocabili di eco ormai quasi sul  punto di spegnersi del tutto.
    Così queste donne, queste bambine continuano a morire in sordina come sono  vissute, senza lasciare alcuna traccia di sè in quel mondo che del resto non ha mai badato a loro nè ne ha mai avvertito gli strazianti gemiti di dolore.

    In India nascere femmina significa rischiare la vita ogni giorno e per i motivi tavolta più futili che si possa ipotizzare: per ribellione alla tradizione, per sterilità, per conati emancipatori, per sete di apprendimento semplicemente per non aver partorito un figlio di sesso maschile all’uomo  raramente scelto per amore.
    Una realtà troppo crudele per poter essere accettata in quanto tale. I finti moralizzatori e gli pseudobenpensanti – degni eredi del patriarcato – preferiscono volgere lo sguardo altrove: è più comodo, meno coinvolgente sul piano pratico ed emotivo.
    images2Mi chiedo a questo punto perchè i gruppi femministi tanto attivi un tempo insistano oggi nel tacere. Non si mossero una decade fa in difesa delle donne  afghane prigioniere della misoginia integralista; non lo fanno ora per quelle indiane e neppure per le saudite, yemenite, nigeriane o che altro.
    E sebbene anche nella nostra discutibilissima Italia i femminicidi, (alias  omicidi di genere) stiano aumentando in modo preoccupante, a parte qualche  sporadico gruppo di assistenza creato ad hoc nessun movimento degno di nota è
    stato registrato sul lato della protesta di massa. Le notizie inerenti atti di  violenza perpetrati sulle donne sembrano ridursi gradualmente a un mero  argomento da trattare, al massimo, nei nei talk show popolari più seguiti dal
    pubblico.
    Tuttavia non basta una Barbara D’Urso di turno che da uno studio televisivo  qualunque non smetta di ricordare alle sue simili che “chi vi picchia non via ama” e che “la violenza va denunciata subito alle autorità competenti”.
    Non basta e non serve perchè non esistono leggi davvero efficaci e quelle blande attualmente contemplate dal codice penale non vengono quasi mai  applicate a dovere nelle aule tribunalizie.
    Nella lontana India come in questa parte d’Europa la popolazione femminile è decimata dai soprusi, dall’inerzia delle istituzioni.
    Il tutto adeguatamente condito (e ciò fa immensamente male) dall’apatia  stagnante di coloro che una volta amavano declamare ai quattro venti “Io sono mia: il corpo è mio e lo gestisco io”.
    Ecco, vorrei sapere che fine ha fatto questa grinta combattiva delle  femministe storiche. Vorrei ritrovare quella vena polemica e agguerrita nelle donne di oggi che ancora credono nelle potenzialità femminili, che hanno a
    imagescuore la dignita umana e la giustizia sociale. Sofferenti, malgrado le  apparenze, per le tutte le brutture che se da un lato paiono persino impossibili da arginare, dall’altro rivelano i complessi meccanismi da cui derivano, frutti a loro volta di mentalità arcaiuche da diveltere partendo dalle radici dell’intransigenza assoluta, sia essa religiosa, culturale, etnica
    o di genere.
    Mi aspetto che in nome di chi non ha voce le donne, tutte le donne indipendentemente dall’età o dal luogo di provenienza, comincino davvero a considerare come proprio cio che avviene al di fuori dei loro limitati confini
    quotidiani. Ciascuna di noi incarna una vittima potenziale, almeno virtualmente. L’empatia, poi, non è un luogo comune, a prescindere dal fatto che le nostre sorelle uccise non si aspettano certo l’oblio da parte delle sorelle rimaste.
    Le tristi vicende di cui siamo testimoni involontarie,  dopotutto, appartengono anche a noi; hanno caratterizzato il tessuto connettivo del nostro passato e non devono più rappresentare una costante  invariabile del futuro che ci aspetta.
    Parliamone, scriviamone, confrontiamoci in merito ma, per favore, smettiamola di fingere una sordità agli eventi e un cinismo ipocrita che, il linea generale, non ci appartengono affatto.

    bambine Donne Donne India rivendicazioni femministe violenza
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    Rita Cugola
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    Milanese del ‘59 è giornalista professionista da molti anni. Nel periodo universitario si è dedicata alle recensioni musicali e cinematografiche su istanza di Amica, Cosmopolitan, NoiDonne, Il Borghese). In seguito si è però specializzata in questioni di politica estera e problematiche sociali internazionali (con peculiare attenzione all’universo femminile islamico e al fenomeno discriminatorio globale), scrivendo per svariate testate nazionali, tra cui Panorama.it, La Padania, La Stampa e Il Fatto Quotidiano. Già autrice e conduttrice di programmi giornalistici di approfondimento in emittenti private e tv locali ha deciso di creare un blog su tematiche di geopolitica internazionale (LOOK BEYOND, ritacugola.wordpress.com). Appassionata di egittologia, sufismo e filosofia ha lavorato a lungo con (Sp)Hera, mensile di storia, archeologia ed ermetismo. Per un triennio è stata condirettore di Alganews (magazine online fondato da Lucio Giordano). Attualmente scrive per Dol’s Magazine e il mensile Storica (gruppo RBA). Grazie alla conoscenza di quattro lingue (oltre all’Arabo che sta studiando nel tempo libero) collabora attivamente con la Libreria Islamica/Edizioni Al Hikma, traducendo testi ancora inediti di carattere filosofico/religioso.

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