La mia vita come un comanzo IX

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di Caterina Della Torre

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Ricordava la sua avventura norvegese in modo sbiadito e intermittente. Erano trascorsi molti anni ed anche se le sue visite erano state frequenti, non era riuscita a ricavarne un’immagine nitida e chiara. Un mondo pieno di natura e fiumi. Montagne e fiordi che aveva visto fino ad allora solo in cartolina. Bello, bellissimo ma…guidato dal suo Hans che a tutto pensava e a tutto provvededeva, senza lasciarle lo spazio per scoprire, indagare, curiosare da sola e autonomamente.

Il primo viaggio l’aveva fatto con passione e piena di buone intenzioni. Un uomo che l’aspettava con ardore all’areoporto con…una rosa in mano. Che differenza dai suoi coetanei, che di fiori nemmeno a parlarne. Un mondo quasi rimasto all’inizio del secolo, quando per corteggiare una donna servivano belle maniere e costanza.

Rammenta le visite turistiche alle navi dei vikinghi, all’art Centre dove erano conservati ed esposti i quadri di Gustav Munch che lei amava tanto, al castello di Oslo dove abitavano un vero re ed una reale regina.

Ma quello che l’aveva colpita di più erano i papà che spingevano i passeggini nel parco. Uomini senza la scorta delle consorti. Papà e bimbi che giocavano sui prati e talvolta raggiungevano i nonni che tanto anziani poi non sembravano. Alti, magri, senza pancetta gli uomini o cellulite adiposa le donne. Erano proprio gli eredi dei mitici vikinghi che si dice abbiano raggiunto l’America prima dell’italiano Colombo. E in Norvegia a queste cose ci credevano davvero e forse saranno vere, ma lasciamo agli storici gli accertamenti e verifiche.

Un mondo in cui le donne c’erano, ma non svolgevano solo il ruolo di mamme e mogli. Hans le spiegò che in Norvegia le donne avevano molti privilegi che le rendevano libere e sicure di sè. Spesso guadagnavano più dei consorti, ma ciò non le aiutava ad avere menagé familiari ineccepibili. Infatti i divorzi erano prevalenti tra le giovani coppie sposate. Questo forse era stato anche il motivo per cui aveva cercato una donna del sud Europa, attaccata alle tradizioni e con valori veri.

Carlotta si chiese perchè pensasse quello di lei. Non credeva di rivestire il tipo di donna che le aveva descritto, ma si guardò bene dal dirglielo. Erano solo agli inizi della loro storia e le sarebbe sembrato troppo invasivo fare delle precisazioni così anticipatamente.

Tuttavia si sentiva a disagio, talvolta, a dover dipendere in tutto e per tutto da lui. Non ultimo, la lingua, il norvegese, non facile anche se simile agli idiomi anglosassoni, ma la cui non conoscenza la costringeva a fare uso sempre dell’inglese. Che lei conosceva bene, ma si sa che ci sono situazioni in cui le parole ti mancano. Non te li insegnano mica a scuola quei vocaboli, ma devono essere appresi ”sul campo”.

Gli amici del suo ragazzo erano belli e simpatici, le ragazze un po’ slavatine, tutte magre, alte e bionde, con eccezione di qualche castana. I ragazzi tutti con gli occhi ”azzurro mare di norvegia”, cioè blu azzurro scuro.

Ma la cosa che la lasciava perplessa era l’atteggiamento di questi nei suoi riguardi. Caldo ed entusiastico durante le feste a base di birra (molta) e vino (poco) e freddo o quantomeno riservato quando la incontravano per strada o altrove. Se ne domandò spesso il motivo, ma trovo la spiegazione solo molto più tardi…

continua

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