A tutte le lavoratrici, mamme e casalinghe.
da womenmustgoon di Virginia Odoardi
Di solito non si fa ironia sulle divinità per rispetto a chi, di quelle divinità, ne fa un culto, ma, esulando dal simbolismo religioso induista e parlando della dea Kali profanamente, mi viene in mente mia madre quando, sommersa da obblighi familiari e lavorativi, rispondeva a me e a mio fratello di non avere le stesse doti della dea e di non poter, quindi, adempiere a tutte le nostre richieste in simultanea.
Questa è la vita della donna, direbbe mia nonna, non puoi farci nulla, aggiungerebbe mia madre, ma io, madre trentenne del XXI secolo, cosa penso? Sapendo che la condizione della donna nel nostro Paese è ben nota e che ricerche dimostrano che la donna italiana sopperisce, attraverso la sua personalissima gestione familiare, alle mancanze del welfare nazionale, vorrei soffermarmi sulla condizione emotiva vissuta dalla donna oberata dai lavori.
Sarà la cultura, saranno le tradizioni, ma è noto che la piena sottomissione della donna non sia un dato poi così lontano nel tempo. E’ ancora frequente che anziane signore disprezzino le giovani per aver preteso di alzare la testa. La nostra emancipazione, infatti, sarebbe la causa dell’instabilità coniugale e dell’abbassamento demografico (Langone docet!). Ma, in realtà, quanto possiamo dirci veramente emancipate?
Se si pensa a una giornata tipo di una mamma lavoratrice, ci si rende subito conto di quanto il rapporto tra diritti e doveri tra i coniugi non sia affatto equo. Nonostante sia doveroso ammettere un miglioramento dell’apporto maschile al microcosmo familiare, è ancora evidente come questo si regga esclusivamente grazie al plurilavoro della donna.
La mamma lavoratrice, quotidianamente, si occupa dei figli, della casa, del marito e delle necessità familiari. Acquista tutto ciò che serve dai generi alimentari, ai detersivi, fino ad arrivare ad oggetti di ferramenta per lavori fai da te. In base al contratto lavorativo, full time o part time, gestisce il tempo ‘libero’ per svolgere tutte le mansioni casalinghe, arrivando in orario in ufficio e offrendo tutte le proprie energie alla tanto vituperata carriera.
Un uomo, generalmente, si alza e va a lavorare. La maggior parte degli uomini, se ci si pensa, affronta il lavoro come se fosse Atlante. La sensazione maschile rispetto al lavoro, infatti, è quella di dover reggere tutto sulle proprie spalle e, per tutto, si intende anche un’azienda con 30000 dipendenti! Una donna, invece, sa che se vuole mantenere una certa indipendenza economica che, a dire il vero, in tempi moderni si è giustamente tradotta in apporto al bilancio familiare, deve saper programmare in ottica da organizzatore aziendale la sua giornata, garantendo a ogni mansione un tempo adeguato per il perfetto funzionamento del sistema.
Raccontata così, la mamma lavoratrice, diventa una super eroe, una macchina da guerra senza emozioni e stanchezza. I dati, purtroppo, smentiscono tale visione ottimistica. Una donna che riesca a mantenere il lavoro una volta madre, cosa non facile date le pressioni delle aziende nei confornti delle mamme-lavoratrici, è consapevole di dover rinunciare a una buona parte di sé. Se non ha aiuti in casa, non usufruisce di baby sitter, al massimo supportata dalle nonne, automaticamente rinuncia a se stessa e ai suoi spazi. Ritagliare un angolo per una passione alla quale rinunciare significherebbe soffrire, può, addirittura, determinare forti conflitti familiari, poiché culturalmente è stabilito che la donna ‘seria’ non ha diritto alla realizzazione del sé. Diventare madre, nell’ottica maschilista e patriarcale, significa, infatti, annullarsi totalmente e votarsi a una causa che sembra essere solo a suo carico, perchè l’uomo, ricordiamolo, lavora e non ha né tempo né energie nemmeno per supportare emotivamente una compagna a volte stremata.
Si parla di depressione post-partum come qualcosa di etereo, quando si dovrebbe capire che gli esaurimenti nei primi mesi di vita di un figlio hanno molte ragioni, ma un filo conduttore comune: la solitudine. E, purtroppo, si sa che le peggiori solitudini sono quelle vittime della sordità emotiva di chi ti circonda. L’istituto superiore di sanità afferma che in Italia, annualmente, circa 50mila – 70mila donne soffrono di questo tipo di depressione, la quale si presenta dal secondo mese in poi. Mirella Taranto ha pubblicato una serie di risposte a domande frequenti sull’argomento. La studiosa ha spiegato che i sintomi variano dalle difficoltà nel gestire i rapporti all’interno della famiglia fino a provare una forte insicurezza della propria capacità materna e a colpevolizzarsi per il fatto di non provare gioia nell’accudire il proprio figlio, ma si può arrivare anche alla comparsa di ansie, di fobie e compulsioni. La donna dopo il parto può anche andare incontro alla psicosi puerperale che, fortunatamente, è molto più rara (circa 1 per mille) ed è caratterizzata da sintomi quali allucinazioni e deliri.
A volte, quindi, la donna non ce la fa, cedendo a un io appesantito da pressioni interne ed esterne. Il suo perduto equilibrio si fa palese e viene etichettata come ‘debole’ o peggio ancora come ‘matta’. Fortunantamente la maggior parte delle donne supera i primi mesi dopo il parto riuscendo a sopportare gli squilibri ormonali, i cambiamenti di vita e le numerose preoccupazioni e responsabilità. Con coraggio e con indole guerriera innata, si impone, quindi, un programma giornaliero che le permetta di poter svolgere più azioni contemporaneamente e di gestire e risolvere le numerose incombenze.
Da qualche anno, il linguaggio maschilista degli spietati hunter del mondo del business ha tradotto l’abilità di svolgere più compiti con l’inglese multitasking, allo stesso modo ha definito il risolvere le incombenze come capacità di problem solving. E chissà perchè, allora, nonostante le comprovate competenze femminili, il business continui a escludere le donne dai luoghi del potere.
Chissà come sarebbe la sciagurata Italia se la gestione salva-crisi fosse affidata a una donna. Purtroppo, ancora per un po’, non lo potremo scoprire.