La necessità di colmare i gap di genere

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Di report in report, la fotografia che emerge in tema di eguaglianza di genere e di riduzione delle distanze in ogni ambito tra uomini e donne non è rassicurante. Il traguardo sembra allontanarsi, vediamo perché.

 

Il Global Gender Gap Index è stato introdotto per la prima volta dal Forum Economico Mondiale nel 2006 con l’intento di fornire un quadro sulle diseguaglianze basate sul genere e monitorare il loro progresso nel tempo. L’edizione di quest’anno mette a confronto 144 paesi, valutando il divario tra donne e uomini su salute, istruzione e gli indicatori economici e politici. Si prefigge di capire se i Paesi stiano distribuendo le loro risorse e opportunità equamente tra donne e uomini, indipendentemente dai loro livelli di reddito complessivi. Il rapporto misura le dimensioni del divario di disuguaglianza di genere in quattro settori:

– Partecipazione economica e opportunità – stipendi, partecipazione e leadership

– Istruzione – accesso ai livelli di istruzione di base e superiore

– Empowerment politico – rappresentanza nelle strutture decisionali

– Salute e sopravvivenza – aspettativa di vita e rapporto tra il numero di maschi e il numero di femmine di una popolazione

I punteggi dell’indice possono essere interpretati come la percentuale del divario colmato tra donne e uomini, consentendo ai paesi di confrontare le loro prestazioni attuali rispetto alla loro performance passata. Inoltre, le classifiche consentono confronti tra paesi.

Il Wef misura le disparità uomo-donna e quindi la distanza, le differenze in ciascuna area di analisi tra condizione femminile e maschile.

Le classifiche sono progettate per creare una consapevolezza globale sulle sfide poste dalle differenze di genere e dalle opportunità create dalla riduzione dei gap. Questo report nasce come base per progettare misure efficaci per ridurre queste disparità di genere.

Saadia Zahidi of the WEF said gender equality was ‘both a moral and economic imperative’.

Saadia Zahidi of the WEF said gender equality was ‘both a moral and economic imperative’.

Com’è la situazione generale quest’anno?

“A bad year in a good decade: the World Economic Forum Global Gender Gap Report 2017 finds the parity gap across health, education, politics and the workplace widening for the first time since records began in 2006.”

Non proprio un anno d’oro, visto che per la prima volta dal 2006 la forbice si allarga in tutte le dimensioni oggetto del report. In passato, seppur i miglioramenti siano sempre stati lenti, i progressi non erano mai mancati. Vediamo nel dettaglio perché c’è stato un arretramento e dove è stato più consistente.

Il divario globale di genere potrà essere colmato esattamente in 100 anni, rispetto agli 83 anni previsti lo scorso anno. Le differenze di genere più considerevoli restano nelle sfere economiche e della salute. Per cancellare il divario economico di genere ci vorranno 217 anni. Ciò rappresenta un’inversione del progresso ed è il valore più basso misurato dall’Indice dal 2008.

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Pur registrando una riduzione del gap di genere rispetto a 11 anni fa, occorre non smettere di investire per accelerare il progresso. Allo stato attuale del progresso, il gap globale in termini di genere può essere chiuso in 61 anni in Europa occidentale, 62 anni in Asia meridionale, 79 anni in America Latina e nei Caraibi, 102 anni in Africa subsahariana, 128 anni in Europa orientale e l’Asia centrale, 157 anni in Medio Oriente e Nord Africa, 161 anni in Asia orientale e nel Pacifico e 168 anni in Nord America.

Alcuni paesi, tra cui Francia e Canada, l’anno scorso hanno fatto grandi passi in avanti verso la parità. L’Islanda rimane il paese con la migliore condizione di parità tra i generi.

Una varietà di modelli e di studi empirici hanno suggerito che migliorare la parità di genere può determinare significative ricadute in termini economici, che variano a seconda della situazione delle diverse economie e delle sfide specifiche che devono affrontare.

 

Le ricadute economiche della parità

Vari studi hanno suggerito che migliorare la parità di genere può determinare significativi dividendi economici, che variano a seconda della situazione delle diverse economie e delle sfide specifiche che devono affrontare. Notevoli stime recenti suggeriscono che la parità di genere economica potrebbe aggiungere un ulteriore 250 miliardi di dollari al PIL del Regno Unito, 1.750 miliardi di dollari rispetto a quelli degli Stati Uniti, 550 miliardi di dollari per il Giappone, 320 miliardi di dollari per la Francia e 310 miliardi di dollari al PIL della Germania.

Altre stime recenti suggeriscono che la Cina potrebbe vedere un aumento di PIL da 2,5 trilioni di dollari dalla parità di genere e che il mondo nel suo complesso potrebbe aumentare il PIL globale di 5,3 trilioni di dollari entro il 2025 se chiudesse il divario di genere nella partecipazione economica del 25% nello stesso periodo.

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La questione della parità si rileva anche a livello industriale e aziendale, con segregazioni di genere: secondo una ricerca in collaborazione con LinkedIn, emerge che gli uomini sono sotto-rappresentati nell’istruzione, nella salute e nel benessere, mentre le donne sono sotto-rappresentate nell’ingegneria, nella produzione e nella costruzione, nell’informazione, nella comunicazione e nella tecnologia. Tale segmentazione per genere si traduce nel fatto che ogni settore perde i vantaggi potenziali di una maggiore diversità di genere: maggiore innovazione, creatività e ritorni. Esistono poi differenze significative quando si parla di posizioni di leadership, con un vantaggio degli uomini ancora molto rilevante. Di conseguenza, non basta concentrarsi sulla correzione degli squilibri nell’istruzione e nella formazione; il cambiamento è necessario anche all’interno delle aziende.

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E l’Italia come si classifica?

Direi che per capire le ragioni del fatto che quest’anno siamo precipitate all’82ma posizione, possiamo leggere a pagina 25 del report. Il divario di trattamento tra donne e uomini nel nostro Paese torna, per la prima volta dal 2014, a superare il 30%.

“Italy (82) sees a drop in wage equality for similar work and women in ministerial roles, and widens its gender gap to more than 30% for the first time since 2014.”

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Italy

Nero su bianco, in barba a tutti quelli che sostengono che ormai donne e uomini sono quasi alla pari nel mondo del lavoro. I dati occupazionali forse possono dare l’occupazione femminile in crescita, ma a queste condizioni, restando sempre all’89mo posto per partecipazione al mondo del lavoro.

wage

Arranchiamo maggiormente nel campo della salute e della situazione economica. Si vede chiaramente dai posti che occupiamo.

economica e salute

Qualcosa chiaramente non gira e non saranno i bonus a salvarci e a permetterci di partecipare e di esserci in ogni ambito, continuando a fare le funambole del welfare sostitutivo, tra servizi che non ci sono e che quando ci sono sono estremamente costosi e penalizzanti. La differenza che separa la condizione di uomini e donne, con le donne zavorrate verso il basso, trascinate su un equilibrio impossibile, dovrebbe essere ai primi posti dell’agenda politica e non ci sarà alcuna “stabilità” finché non si capirà. Questi report non sono dei quadretti da mettere in archivio, in uno scaffale a prendere polvere. Questi report fotografano, uno dopo l’altro, una situazione non certo rosea per la condizione delle donne italiane. Del nostro benessere, delle sfide e degli ostacoli che dobbiamo affrontare quotidianamente chi se ne occupa? Caregivers a più livelli e ad ogni età, paracadute di una società sempre più di corsa e in crisi. Siamo consapevoli di tutto quello che non funziona e che non ci aiuta. Ne parlavo anche qui.

Siamo precipitati all’82mo posto e non siamo più disposte a sentire una narrazione edulcorata, rassicurante e fondata su qualche obolo pre elettorale. L’elemosina non può sostituire i servizi, la possibilità di detrarre spese riguardanti i compiti di cura e di assistenza. L’elemosina di Stato non può colmare discriminazioni e lenire le conseguenze di trattamenti che ledono i principali diritti costituzionali. L’elemosina non ci permetterà di conciliare e non ci porterà a decidere di fare un figlio, né tantomeno darà una svolta al nostro presente e al nostro futuro. Sono risorse che prive di un piano strutturale e di interventi concatenati e permanenti, vanno disperse e non hanno ricadute positive. I numeri e le classifiche vengono diffuse a tappeto, squillano trombe a festa solo quando convengono, altrimenti si fa finta di niente. E mentre nei salotti di velluto si discuterà come spartirsi il palcoscenico e il potere, le donne italiane fuori da quei luoghi continueranno ad annaspare e ad affondare. Mentre certi club e gruppi che si sono assunti la rappresentanza delle donne discettano di patenti di femminismo, di chi può o non può parlare, di chi può e non può raccontare, mentre si perde tempo in risse e fazioni, la situazione precipita sempre più in basso. Per capire occorre guardare da questo livello -1, da lassù sembra solo una piega su una camicia perfetta. Continuate a non preoccuparvi, i vostri orticelli li sapete difendere bene, continuate a costruire trincee e recinti, esattamente come chi non riesce a inserire nell’azione politica una programmazione efficace e con uno sguardo a 360° per riequilibrare questo disastro. Un disastro che coivolge tante generazioni, un disastro che allarga sempre più il divario non solo tra donne e uomini, ma anche tra chi ce la fa per status priviegiati e chi arranca.

Un disastro perché le distanze non si colmano con annunci. Prendiamo per esempio la questione asili nido: si sono investiti 100 milioni, come mai però la situazione è questa?

I bonus bebè non sono la soluzione (300 milioni annui). Così come non si capisce che la situazione è andata ben oltre le dimissioni in bianco (ne scrivevo qui e qui).

Occorre lavorare a trovare soluzioni a un problema di conciliazione ben più esteso, che va oltre le “mamme” e i relativi dipartimenti, e dovrebbe finalmente guardare a politiche per la genitorialità e per tutti coloro che svolgono compiti di cura familiare. Un sistema flessibile che sappia sostenere e alleggerire il peso che oggi grava per la maggior parte sulle donne. Il fai da te non regge e i risultati sono più che visibili, urlano che non si può più rinviare.

Ho scritto fiumi di inchiostro su questi temi e mi sto chiedendo perché non mi sono ancora arresa di fronte alla situazione che non muta. Se smetto di scriverne è sancire una resa che io non contemplo assolutamente. Nonostante tutto sono ancora qui e parlo. Parlo perché non c’è tempo da perdere. Sì sono ancora qui. Più sollecitazioni dal basso ci sono e maggiori speranze di un cambiamento ci saranno. Dipende da noi. Forse dovremo scendere ben al di sotto dell’82° posto per darci una mossa. Forse dovremo riuscire prima a superare stereotipate categorizzazioni, che alimentano solo contrapposizioni intestine tra donne, con la conseguente azione politica frammentaria e che non fa altro che alimentare ruoli ghetto, immaginari secolari, attese e aspettative insostenibili. Forse quando avremo adottato un approccio più multidimensionale e capace di intersecare più fattori, caratteristiche, variabilità, differenze, riusciremo ad avere provvedimenti che non siano più monodirezionali e discriminatori, una tantum slegati da una prospettiva di medio-lungo periodo. Non mendichiamo briciole di uguaglianza, chiediamo, pretendiamo che sia piena e concreta. È giunto il momento di attuare una politica che si occupi delle donne, un universo multiforme e ricco di opportunità, affinché siano davvero paritarie. Ci siamo stancate di favole e di promesse.

La realtà è diversa da come ci viene raccontata.

Non è questione che le donne devono “comandare”, come qualcuno afferma, ma di poter scegliere come organizzare, indirizzare, realizzare, configurare, pianificare, dipingere la propria vita, senza che si frappongano ostacoli, e che quindi la scelta divenga obbligata e condizionata. Il benessere e rendere una città a misura di donna non riguardano il comando. C’è questo comune fraintendimento del potere e del comando come primari obiettivi delle donne, a noi basterebbe non essere discriminate e non essere precarie.

Restiamo in attesa che qualcuno nelle istituzioni italiane risponda alle sollecitazioni di coloro che hanno redatto il Rapporto Ombra in merito all’attuazione della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW). C’è anche la necessità di dare un feedback per l’attuazione delle raccomandazioni a cura del Comitato Cedaw sulle azioni da intraprendere in Italia. Non possiamo fare finta di niente.

Infine, non tirate in ballo la Costituzione solo quando vi conviene. Attuatela.

Conviene rileggersi questo intervento di Teresa Mattei all’Assemblea Costituente il 18 marzo 1947:

“è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d’ordine economico e sociale che limitano “di fatto” – noi vogliamo che sia aggiunto – la libertà e l’eguaglianza degli individui e impediscono il completo sviluppo della persona umana”

E ora buon Natale secondo le strategie di marketing di Auchan. Mi raccomando bambine, non oltrepassate la linea rosa. Solo profumi, rossetti, saponi e cosmetica… La scienza lasciatela ai bambini. Non stupiamoci del fatto che l’Italia sia sprofondata all’82mo posto.

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Profilo Autore

simonasforza

Blogger, femminista e attivista politica. Pugliese trapiantata al nord. Equilibrista della vita. Felicemente mamma e moglie. Laureata in scienze politiche, con tesi in filosofia politica. La scrittura e le parole sono sempre state la sua passione: si occupa principalmente di questioni di genere, con particolare attenzione alle tematiche del lavoro, della salute e dei diritti.

2 commenti

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  2. Ottima analisi.
    L’immagine dell’articolo poi è perfetta: questo “salto” per colmare il gap siamo da sole a farlo.
    Sempre che l’uomo non decida di intervenire e..buttarci definitivamente dentro al fosso.

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