Dopo aver letto il titolo di questo libro mi sono incuriosita, ho cercato chi lo avesse redatto ed il nome dell’autrice ed ho scoperto che avevamo già parlato di lei su dol’s per un sua altra opera ”Perchè non abbiamo avuto figli”, scritta in collaborazione con Paola Leonardi e da lì la nascita del desiderio di intervistarla per questo nuovo lavoro è stato immediato.
Ferdinanda Vigliani, attiva nella politica delle donne dal 1972, ha partecipato a un gruppo di autocoscienza di Rivolta Femminile. Dal 1998 tiene seminari per la Facoltà di Psicologia di Torino con cui ha realizzato una ricerca su giovani e identità di genere (Non è per niente facile, Rosenberg&Sellier, 2003). Tra le fondatrici del Centro Studi e Documentazione Pensiero Femminile di Torino, ne è presidente dal 2004; ha pubblicato saggi critici, condotto progetti UE e curato la guida 100 Titoli (Tufani, 1998).
Ferdinanda ti sei sempre occupata di donne e delle loro specificità? Per quale motivo? Perché dei problemi delle donne si parla troppo poco o perché sei femminista?
Sempre? Non proprio… solo dall’aprile del 1971: nel corso di un viaggio a Parigi durante le vacanze di Pasqua. Avevo il recapito di una simpatica coppia di professori che facevano parte di Lutte Continue e che mi ospitarono. Una sera la mia ospite mi accompagnò a una riunione femminista e là, io che mi ero sorbita in silenzio l’oratoria dei leader maschi del movimento studentesco nel ’68, che avevo trovato sensata l’idea maoista dell’ “uomo totale”, intellettuale e lavoratore, e non mi ero ancora posta una domanda sulla “donna totale”, capii di avere finalmente trovato la mia casa. Quella notte praticamente non chiusi occhio. La mattina dopo ero a fare razzia in una libreria specializzata in pubblicazioni femministe.
Ricordo di essere rimasta a bocca aperta di fronte a una rivista che invece che “Mensuel” si definiva “Menstruel”… Eccitatissima tornai in Italia e, dopo avere partecipato a vari gruppi approdai a un piccolo gruppo di autocoscienza di Rivolta femminile che non abbandonai più. Credo che il mio gruppo sia stato il più longevo d’Italia ed è stato il nucleo fondatore della mia biblioteca e associazione, Centro Studi e Documentazione Pensiero Femminile, che quest’anno ha celebrato il trentennale.
Poi una cosa vorrei precisare: Io non “mi occupo di donne”, io SONO una donna. Mi occupo intensamente di me stessa e del mondo, ma per poterlo fare, ho bisogno del dialogo e della risonanza con altre donne.
Cosa vuol dire essere femminista Oggi che il mondo è cambiato e i problemi delle donne sono altri?
Altri come i 72 femminicidi – per ora – nel 2025? Il problema è sempre quello di trovarsi di fronte a fenomeni che strepitano per avere una spiegazione. L’inspiegabile è terribilmente inquietante per la coscienza umana. Quando ero molto giovane un po’ di spiegazioni le trovai grazie a nonno Marx, a papà Freud, agli zii Reich e Lévi-Strauss. Ma poi arrivò Carla Lonzi e quello che era stato avvolto nella nebbia emerse con chiarezza abbagliante. Parziale, si capisce… niente è mai chiarito per sempre. Si tratta di un lavoro in corso, di un continuo interrogarsi e confrontarsi con le cose che cambiano. Questo è essere femminista oggi.
Ed anche di quali donne si parla oggi che il rapporto è “fluido”.
Immagino che la tua domanda si riferisca alla fluidità nell’identità di genere. Gli oppositori (Vannacciani, per capirci) si richiamano volentieri a un’idea di “natura”, ma sembrano ignorare l’affermazione di Leibniz (ho qualche dubbio che lo abbiano letto) Natura non facit saltus. La gradualità e gli aspetti fluidi sono proprio “naturali”. Basta osservare con un po’ di attenzione il mondo animale e persino quello vegetale. È la cultura (patriarcale) che impone divisioni nette e la coppia eterosessuale come la sola ammissibile. Ci sono studi sociologici che l’hanno definita “coppia ad alto rischio”, come tutte le gabbie identitarie e comportamentali rigide. Il rischio è quello di un rapporto squilibrato a favore della componente maschile, che non può non avere esiti oppressivi e spesso violenti.
I tuoi scritti sempre interessanti riscoprono temi di cui non parla o non si parlerebbe facilmente come quest’ultimo ” Racconti erotici per donne attempate”. Già dal titolo si percepisce l’ironia del contesto. Da cosa è nata l’idea? Forse perché quando si parla di eros si pensa solo a belle donne giovani?
E’ la prima volta che mi affaccio alla narrativa. Ho pubblicato parecchi libri, ma sempre di saggistica. E mentre li scrivevo, o facevo progetti – di solito in ambito educativo – ogni tanto mi scappava la mano… questi racconti erotici sono nati così. L’ho definito una sorta di sberleffo a impegni più seri. In realtà ciò che ha ispirato questi racconti è il valore inestimabile della sessualità femminile nella presa di coscienza del proprio desiderio. Questo è indipendente dall’età e dalla bellezza e persino restringerlo all’ambito sessuale può essere limitante.
Ce ne parli?
Oggi si parla – giustamente – di “consenso” nei rapporti tra le donne e gli uomini. Il consenso a qualunque tipo di intercorso sessuale è certamente indispensabile, ma non mi basta. Il concetto di consenso ribadisce un ruolo femminile passivo che è esattamente quello previsto per noi dal patriarcato. Le donne che io racconto in questo libro sono tutto meno che passive. Le seduzioni che mettono in atto sono dettate dal desiderio. Freud parlò della sessualità femminile definendola “continente nero”, qualcosa di selvaggio e inesplorato. Sebbene di questa visione la filosofa femminista Luce Irigaray abbia fatto negli anni Settanta una critica che oserei dire definitiva, un aspetto dell’intuizione freudiana forse può essere salvato: il caos. Il continente nero è anarchico, caotico, aspira a una totale libertà di espressione in cui è la fantasia a dettare legge.
C’è anche un rifiuto dell’ “ageismo” ?
Be’ sì. Noi femmine quando invecchiamo diventiamo invisibili. Il che non è poi soltanto un male: da giovane ero una ragazza appariscente e mi accadeva con una certa frequenza di essere molestata. Pessima esperienza. Che tutto questo sia diventato un ricordo del passato non mi dispiace. Parecchio tempo fa, una grande femminista che il covid ci ha portato via, Lidia Menapace, mi raccontò – lei aveva vent’anni più di me – che aveva fondato, insieme con alcune sue coetanee “il Club delle Vecchiacce”. Oggi ho capito che essere una vecchiaccia può aprire degli spazi che prima non c’erano. Sì, non è poi così male.
O della poca presenza della delicatezza nei rapporti tra i sessi per passare subito al “sodo”?
Il mio editore ha scritto “Non fatevi ingannare dal titolo, l’erotismo c’è, ma di raro garbo e delicatezza, più come espressione di libertà e intelligenza che conturbante eccitazione.” Lo ringrazio per questo apprezzamento. Credo di avere seguito semplicemente quello che è erotico per me, le immagini, le situazioni, le fantasie, i gesti, i colori, le idee. Le idee sono erotiche? Altroché! Libertà e intelligenza sono ingredienti indispensabili della sessualità.
Come hai raccolto le storie di cui parli nei tuoi racconti?
Se devo essere sincera questi racconti erano così sparsi nel tempo e nello spazio, che ho avuto bisogno di un ottimo editing. Non tanto nell’ambito dei testi veri e propri che sono tutta farina del mio sacco, ma per dare loro un ordine. Non ci riuscivo e le mie editor (tutte donne alla Fregi&Maiuscole di Torino) mi hanno offerto un aiuto indispensabile.
Qui provo infine a rispondere a una domanda che è rimasta implicita nell’intervista, ma che sento sempre aleggiare nell’aria: “Questa anziana femminista può avere realmente vissuto alcune delle esperienze che racconta?” Rispondo.
In gran parte si tratta di pura fantasia, leggendo è facile accorgersene, ma qualche volta, in particolare le ambientazioni e alcuni personaggi, sono ispirate a luoghi e situazioni di cui ho esperienza. Ad esempio ho veramente un’incantevole casa in Africa e ho anche un meccanico keniota che porta la zip della tuta blu calata fin sotto l’ombelico. Forse il poveruomo ha solo caldo, ma è una cosa che a un’anziana femminista può far nascere delle idee… solo idee, si capisce!
