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    Home»Costume e società»Cultura»teatro»Re Lear è morto a Mosca
    teatro

    Re Lear è morto a Mosca

    Erica ArosioBy Erica Arosio04/06/2025Updated:04/06/2025Nessun commento5 Mins Read
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    Regia di   César Brie

    Testo di   César Brie, Leonardo Ceccanti con la collaborazione degli attori che hanno proposto scene, testi, danze e immagini

    In scena al teatro Elfo Puccini di Milano fino al   15 giugno

    César Brie, classe 1954, argentino, una lunga militanza teatrale, il più giovane fra i fondatori della Comuna Baires, alle spalle centinaia di lavori e collaborazioni, è un personaggio carismatico della scena artistica, che merita uno spazio tutto suo, unico.

    Troppo lungo anche solo condensare la sua biografia, chi è curioso può consultare il suo sito o scoprire il suo lavoro visitando il Laboratorio che dirige da anni in Val Tidone (Piacenza).

    Fedela al motto che “Chi esce dal teatro, esce migliore di quando è entrato. Più aperto, più lucido e più irrequieto”, Brie mette in scena spettacoli che cura nei minimi dettagli e di cui spesso è anche autore.

    Quello che mi colpisce sempre è il grande lavoro che fa sulla fisicità, frutto di lunghe prove e laboratori. Gli attori in scena si muovono come una creatura mitologica (io penso sempre a un animale marino) flessuosa, imponente, liquida. Ogni attore ha il suo spazio che però resta sempre collegato all’azione dei compagni di scena. Nessuno è uguale all’altro, ma nessuno prescinde dall’altro e ogni parte del corpo, ogni gesto, ha alle spalle, e lo si sente, una lunga gestazione. Un teatro mai naturalistico e sempre di grande impatto.

    Lo dichiaro subito: secondo me Re Lear è morto a Mosca è uno spettacolo magnifico e una splendida dimostrazione di tutto quello che ho scritto prima. Uno spettacolo che nasce da un grande lavoro e da una lunga ricerca.

    Al centro della storia l’esperienza del teatro Goset, fondato a Mosca nel 1919 dal regista Alexander Granovskij e dal visionario pittore Marc Chagall, un teatro ebraico in lingua yiddish, di nuova impostazione, non più legato alla  imitazione folklorica tipica di quel teatro, ma irriverente, creativo, “sperimentale” diremmo oggi. Un’avanguardia debitrice  della ricca tradizione del passato. Lo spettacolo racconta la tragica fine di due attori, Solomon Michoels e Veniamin Zuskin,

    il primo ucciso in un incidente d’auto, nel 1948, il secondo fucilato nell’agosto del 1952, durante quella terribile notte che fu poi chiamata ‘la notte dei poeti assassinati’, in cui morirono 13 scrittori ebrei sovietici. Dopo di loro la furia paranoica stalinista fece strage di tutti gli altri componenti e solo per un caso i documenti della loro storia sono arrivati fino a noi. Lo spettacolo immagina due donne delle pulizie che invece di bruciare le carte e i copioni dei due artisti, riescono a salvarli e ad affidarli a una vecchia signora ebrea che anni dopo riuscirà ad arrivare in Israele e farli conservare in un archivio di Tel Aviv.

    Io ho sbrogliato tutta la vicenda in maniera lineare, mentre lo spettacolo di César Brie sceglie un’altra strada, erede dell’avanguardia del Goset e della poetica del regista argentino. Pochissimi gli oggetti in scena che gli  attori declinano in varie funzioni e una recitazione che mescola parole, azioni, persino passi di danza spingendo sul pedale del grottesco. Un sipario rosso diventa quinta, casa, aldilà. Il fronte stilizzato di una bara serve a tutto, persino a raccontare l’ars amatoria dei protagonisti, una scala è di volta in volta cella, forca, scena totale, scrittoio, giaciglio.

    La scena più intensa dello spettacolo mostra Molotov, Stalin e Beria rappresentati come grotteschi burattini, senza umanità, che ridono progettando e raccontandosi crimini e uccisioni, Stalin sempre più folle e i due compari terrorizzati all’idea di fare la stessa fine di tutti quelli che hanno perseguitato. Una scena che poi, con una modalità tipica dell’avanguardia e della rottura della quarta parete svela in chiusura il trucco della rappresentazione.

    Seguiamo la storia, cogliamo brandelli di spettacoli, ascoltiamo riferimenti e conflitti, percepiamo incombente il peso soffocante della repressione e l’orgoglio della libertà artistica. Ci disgusta la violenza della dittatura, ci travolge la forza irridente dell’arte.  In silenzio accogliamo le parole finali dello spettacolo, tratte da una poesia di Boris Pasternak:

    “Essere rinomati non è bello, non è così che ci si leva in alto. Non c’è bisogno di tenere archivi, di trepidare per i manoscritti. Scopo della creazione è il restituirsi, non il clamore, non il gran successo. È vergognoso, non contando nulla, essere favola in bocca di tutti. Altri, seguendo le tue vive tracce, faranno la tua strada a palmo a palmo, ma non sei tu che devi sceverare dalla vittoria tutte le sconfitte. E non devi recedere d’un solo briciolo dalla tua persona umana ma essere vivo, nient’altro che vivo, vivo e nient’altro sino alla fine”

    Non recedere dalla nostra umanità e restare vivi: è con questa frase nel cuore che lasciamo emozionati il teatro.

    Re Lear è morto a Mosca
    Regia César Brie
    Testo César Brie, Leonardo Ceccanti
    Con la collaborazione degli attori che hanno proposto scene, testi, danze e immagini
    Sono stati usati frammenti di testi di Marina Cvetaeva, Pavel Florenskij, Osip Mandel’štam, Tician Tabidze
    La poesia finale è di Boris Pasternak
    Attori creatori: Altea Bonatesta, César Brie, Leonardo Ceccanti, Eugeniu Cornitel, Davide De Togni, Anna Vittoria Ferri , Tommaso Pioli, Annalesi Secco, Alessandro Treccani
    Consulenza storica Antonio Attisani
    Maestra di danze e lavoro corporale Vera Dalla Pasqua
    Scenografia e costumi Matteo Corsi – L’ensemble
    Luci César Brie, Stefano Colonna
    Tecnico luci Alfredo Pellecchia
    Musiche tradizionali yiddish Pablo Brie
    Maestra di canto Anna Pia Capurso
    Produzione Isola del Teatro, Campo Teatrale

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    Erica Arosio

    Erica Arosio, milanese, una laurea in filosofia, giornalista, scrittrice, critico cinematografico, è mamma di due figli meravigliosi, Mimosa e Leono. è stata a lungo responsabile delle sezioni cultura e spettacolo del settimanale «Gioia» e ha curato per vari anni la rubrica cinema di «Radio Popolare». Autrice di una biografia su Marilyn (1989 Multiplo, poi 2013 Feltrinelli Real cinema, in cofanetto con il dvd «Love, Marilyn»), ha collaborato a varie testate, fra cui «la Repubblica» e «Il Giorno». Nel 2012 esce il suo primo romanzo, “L’uomo sbagliato” (La Tartaruga, poi Baldini & Castoldi, 2014). Con Giorgio Maimone scrive una serie di gialli ambientati nella Milano degli anni 50 e 60: “Vertigine” (Baldini & Castoldi, 2013), “Non mi dire chi sei”, “Cinemascope” , “Juke-box” e il racconto “Autarchia” nell’antologia “Ritratto dell’investigatore da piccolo” (tutti per Tea), “Macerie” (2022, Mursia), “Mannequin” (2023, Mursia) Sempre con Giorgio Maimone ha scritto “L’Amour Gourmet” (Mondadori, 2014), un romanzo sentimentale ambientato nella Milano degli anni Ottanta, il mémoire sul ’68 “A rincorrere il vento” (2018, Morellini) e i gialli ambientati in Liguria “Delitti all’ombra dell’ultimo sole” (2020, Frilli) e “La lista di Adele” (2021, Frilli). A gennaio 2024 è uscita l’audioserie originale Faccia d’angelo, storia di Felice Maniero e della mala del Brenta, disponibile sulle principali piattaforme. E’ autrice di ”Carne e nuvole” (Morellini, 2018) una raccolta di 101 racconti brevi e della favola ”La bambina che dipingeva le foglie” (Albe edizioni, 2019). Ha pubblicato diversi racconti in antologie collettive ed è fra gli autori in Delitti di lago 3, 4 e 5 (Morellini editore).

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