Regia di César Brie
Testo di César Brie, Leonardo Ceccanti con la collaborazione degli attori che hanno proposto scene, testi, danze e immagini
In scena al teatro Elfo Puccini di Milano fino al 15 giugno
César Brie, classe 1954, argentino, una lunga militanza teatrale, il più giovane fra i fondatori della Comuna Baires, alle spalle centinaia di lavori e collaborazioni, è un personaggio carismatico della scena artistica, che merita uno spazio tutto suo, unico.

Troppo lungo anche solo condensare la sua biografia, chi è curioso può consultare il suo sito o scoprire il suo lavoro visitando il Laboratorio che dirige da anni in Val Tidone (Piacenza).
Fedela al motto che “Chi esce dal teatro, esce migliore di quando è entrato. Più aperto, più lucido e più irrequieto”, Brie mette in scena spettacoli che cura nei minimi dettagli e di cui spesso è anche autore.

Quello che mi colpisce sempre è il grande lavoro che fa sulla fisicità, frutto di lunghe prove e laboratori. Gli attori in scena si muovono come una creatura mitologica (io penso sempre a un animale marino) flessuosa, imponente, liquida. Ogni attore ha il suo spazio che però resta sempre collegato all’azione dei compagni di scena. Nessuno è uguale all’altro, ma nessuno prescinde dall’altro e ogni parte del corpo, ogni gesto, ha alle spalle, e lo si sente, una lunga gestazione. Un teatro mai naturalistico e sempre di grande impatto.

Lo dichiaro subito: secondo me Re Lear è morto a Mosca è uno spettacolo magnifico e una splendida dimostrazione di tutto quello che ho scritto prima. Uno spettacolo che nasce da un grande lavoro e da una lunga ricerca.
Al centro della storia l’esperienza del teatro Goset, fondato a Mosca nel 1919 dal regista Alexander Granovskij e dal visionario pittore Marc Chagall, un teatro ebraico in lingua yiddish, di nuova impostazione, non più legato alla imitazione folklorica tipica di quel teatro, ma irriverente, creativo, “sperimentale” diremmo oggi. Un’avanguardia debitrice della ricca tradizione del passato. Lo spettacolo racconta la tragica fine di due attori, Solomon Michoels e Veniamin Zuskin,
il primo ucciso in un incidente d’auto, nel 1948, il secondo fucilato nell’agosto del 1952, durante quella terribile notte che fu poi chiamata ‘la notte dei poeti assassinati’, in cui morirono 13 scrittori ebrei sovietici. Dopo di loro la furia paranoica stalinista fece strage di tutti gli altri componenti e solo per un caso i documenti della loro storia sono arrivati fino a noi. Lo spettacolo immagina due donne delle pulizie che invece di bruciare le carte e i copioni dei due artisti, riescono a salvarli e ad affidarli a una vecchia signora ebrea che anni dopo riuscirà ad arrivare in Israele e farli conservare in un archivio di Tel Aviv.

Io ho sbrogliato tutta la vicenda in maniera lineare, mentre lo spettacolo di César Brie sceglie un’altra strada, erede dell’avanguardia del Goset e della poetica del regista argentino. Pochissimi gli oggetti in scena che gli attori declinano in varie funzioni e una recitazione che mescola parole, azioni, persino passi di danza spingendo sul pedale del grottesco. Un sipario rosso diventa quinta, casa, aldilà. Il fronte stilizzato di una bara serve a tutto, persino a raccontare l’ars amatoria dei protagonisti, una scala è di volta in volta cella, forca, scena totale, scrittoio, giaciglio.
La scena più intensa dello spettacolo mostra Molotov, Stalin e Beria rappresentati come grotteschi burattini, senza umanità, che ridono progettando e raccontandosi crimini e uccisioni, Stalin sempre più folle e i due compari terrorizzati all’idea di fare la stessa fine di tutti quelli che hanno perseguitato. Una scena che poi, con una modalità tipica dell’avanguardia e della rottura della quarta parete svela in chiusura il trucco della rappresentazione.

Seguiamo la storia, cogliamo brandelli di spettacoli, ascoltiamo riferimenti e conflitti, percepiamo incombente il peso soffocante della repressione e l’orgoglio della libertà artistica. Ci disgusta la violenza della dittatura, ci travolge la forza irridente dell’arte. In silenzio accogliamo le parole finali dello spettacolo, tratte da una poesia di Boris Pasternak:

“Essere rinomati non è bello, non è così che ci si leva in alto. Non c’è bisogno di tenere archivi, di trepidare per i manoscritti. Scopo della creazione è il restituirsi, non il clamore, non il gran successo. È vergognoso, non contando nulla, essere favola in bocca di tutti. Altri, seguendo le tue vive tracce, faranno la tua strada a palmo a palmo, ma non sei tu che devi sceverare dalla vittoria tutte le sconfitte. E non devi recedere d’un solo briciolo dalla tua persona umana ma essere vivo, nient’altro che vivo, vivo e nient’altro sino alla fine”
Non recedere dalla nostra umanità e restare vivi: è con questa frase nel cuore che lasciamo emozionati il teatro.
Re Lear è morto a Mosca
Regia César Brie
Testo César Brie, Leonardo Ceccanti
Con la collaborazione degli attori che hanno proposto scene, testi, danze e immagini
Sono stati usati frammenti di testi di Marina Cvetaeva, Pavel Florenskij, Osip Mandel’štam, Tician Tabidze
La poesia finale è di Boris Pasternak
Attori creatori: Altea Bonatesta, César Brie, Leonardo Ceccanti, Eugeniu Cornitel, Davide De Togni, Anna Vittoria Ferri , Tommaso Pioli, Annalesi Secco, Alessandro Treccani
Consulenza storica Antonio Attisani
Maestra di danze e lavoro corporale Vera Dalla Pasqua
Scenografia e costumi Matteo Corsi – L’ensemble
Luci César Brie, Stefano Colonna
Tecnico luci Alfredo Pellecchia
Musiche tradizionali yiddish Pablo Brie
Maestra di canto Anna Pia Capurso
Produzione Isola del Teatro, Campo Teatrale