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    Film

    Mani nude

    Erica ArosioBy Erica Arosio03/06/2025Updated:03/06/2025Nessun commento4 Mins Read
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    di  Mauro Mancini

    con  Alessandro Gassmann, Francesco Gheghi, Fotinì Peluso, Paolo Madonna, Giordana Marengo e con Renato Carpentieri

    Tratto dall’omonimo romanzo di Paola Barbato (Rcs editore)

    nelle sale dal   5 giugno

    Diverso dalla maggior parte dei film italiani ed è un pregio. Uno dei tanti. Non ci troviamo di fronte a una storia realistica, neppure a un dramma e neanche a una vicenda nostrana di super eroi. Siamo dalle parti del fumetto che a volte ha una sua nobiltà etica, una morale, giocata sui toni dell’eccesso.

    Come nelle strisce di Dylan Dog, l’investigatore dell’incubo, uno dei più grandi successi della Bonelli editore, creato dalla fantasia cupa di Tiziano Sclavi. Il riferimento non è casuale perché Paola Barbato, l’autrice del (bel) romanzo da cui Mani nude è tratto è anche una delle più bravi sceneggiatrici di Dylan Dog. La vicenda al centro del film potrebbe entrare di sicuro in un’indagine del detective che assomiglia a Rupert Everett.

    Ha fatto bene il regista a ambientare la sua storia in luoghi estremi e poco collocabili geograficamente (per la cronaca le riprese sul mare sono state girate in Bulgaria) perché Mani nude è una grande metafora sul senso di colpa, il destino, la punizione e soprattutto sulla figura paterna. Non stupisce che Alessandro Gassmann che tanto ha lavorato sul ruolo del padre abbia accettato con entusiasmo di recitare nel film.

    Mani nude si apre con una scena in discoteca e Davide, un ragazzo come tanti che balla e si sballa, che corteggia e si diverte. Subito però c’è un cambio di atmosfera perché quello stesso ragazzo viene rapito da individui misteriosi, portato in uno spiazzo con una cava abbandonata e sbattuto nel cassone in un camion. Non capisce perché, non si capacita di quello che gli sta succedendo ma quando nel ventre del camion viene aggredito da un uomo inferocito gli viene istintivo difendersi.

    E lo uccide per sopravvivere. Neppure gli spettatori capiscono come un ragazzo con la faccia pulita sia finito in mezzo a questa gente e non basta la spiegazione che gli viene data “A volte capita di incontrare le persone sbagliate”.

    Accompagniamo Davide nella sua discesa negli inferi: finisce in un gruppo di “cani”, dei poveracci costretti a incontri clandestini, gladiatori moderni, dove vince solo chi uccide l’avversario. C’è un gran giro di scommesse e di denaro, ci sono ricchi viziosi che godono nell’assistere nelle loro ville lussuose a cruenti sfide dove il sangue macchia preziosi pavimenti e dove alla fine arriva chi fa pulizia dei cadaveri.

    Davide subisce, combatte, continua a non capire, cerca comprensione senza trovarla, si lega con qualcosa che assomiglia a un’amicizia a un giovane finito in quel girone per ripagare un debito.  

    Il colpo di scena arriva quando il feroce carceriere e allenatore, Minuto (Alessandro Gassmann) inaspettatamente lo sottrae a una morte sicura in un incontro fatale. I due scappano dall’inferno, si nascondono per non farsi ritrovare dagli aguzzini che gestiscono il traffico ma una vita normale sembra un miraggio.

    Fra Davide e Minuto cresce uno strano rapporto simile a quello fra un padre e un figlio ma di cui sfuggono le ragioni profonde. Vanno d’accordo, si vogliono quasi bene, ma la vita che conducono è troppo pericolosa e lontana dalla normalità. Quando all’orizzonte fa la sua comparsa il raggio di sole di una ragazza che si innamora di Davide la questione si complica ancora di più.

    Non racconto di più, dico solo che il film è potente, che il vecchio cargo dove i gladiatori sono costretti a vivere e a allenarsi (molto belle le scene dei combattimenti) è molto suggestivo, come la baia deserta immersa nel verde dove è ancorata la nave. Belli i colori acciaio e bronzo fotografati benissimo.

    Insomma, ci troviamo di fronte a un film inedito nel panorama italiano che vale la pena vedere e che conferma il talento del giovane Francesco Gheghi che è un Davide molto credibile nei suoi tormenti e nel suo sgomento. Dolore, istinto di sopravvivenza e una tenerezza che riesce a trovare un suo spazio, nonostante tutto.

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    Erica Arosio

    Erica Arosio, milanese, una laurea in filosofia, giornalista, scrittrice, critico cinematografico, è mamma di due figli meravigliosi, Mimosa e Leono. è stata a lungo responsabile delle sezioni cultura e spettacolo del settimanale «Gioia» e ha curato per vari anni la rubrica cinema di «Radio Popolare». Autrice di una biografia su Marilyn (1989 Multiplo, poi 2013 Feltrinelli Real cinema, in cofanetto con il dvd «Love, Marilyn»), ha collaborato a varie testate, fra cui «la Repubblica» e «Il Giorno». Nel 2012 esce il suo primo romanzo, “L’uomo sbagliato” (La Tartaruga, poi Baldini & Castoldi, 2014). Con Giorgio Maimone scrive una serie di gialli ambientati nella Milano degli anni 50 e 60: “Vertigine” (Baldini & Castoldi, 2013), “Non mi dire chi sei”, “Cinemascope” , “Juke-box” e il racconto “Autarchia” nell’antologia “Ritratto dell’investigatore da piccolo” (tutti per Tea), “Macerie” (2022, Mursia), “Mannequin” (2023, Mursia) Sempre con Giorgio Maimone ha scritto “L’Amour Gourmet” (Mondadori, 2014), un romanzo sentimentale ambientato nella Milano degli anni Ottanta, il mémoire sul ’68 “A rincorrere il vento” (2018, Morellini) e i gialli ambientati in Liguria “Delitti all’ombra dell’ultimo sole” (2020, Frilli) e “La lista di Adele” (2021, Frilli). A gennaio 2024 è uscita l’audioserie originale Faccia d’angelo, storia di Felice Maniero e della mala del Brenta, disponibile sulle principali piattaforme. E’ autrice di ”Carne e nuvole” (Morellini, 2018) una raccolta di 101 racconti brevi e della favola ”La bambina che dipingeva le foglie” (Albe edizioni, 2019). Ha pubblicato diversi racconti in antologie collettive ed è fra gli autori in Delitti di lago 3, 4 e 5 (Morellini editore).

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Lo studio delle lingue straniere alimenta la curiosità e stimola la voglia di apprendere in molte discipline anche ben diverse, soprattutto se sostenute da una capacità imprenditoriale. Questo lo dimostra la storia qui di seguito riportata di Marialuisa Portaluppi da noi intervistata.
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