Tutti hanno qualcosa da dire sulle donne. Oggi, 8 marzo, voglio dire la mia.
Voglio parlare della donna curda, della donna musulmana, della donna immigrata. Della donna che ha subito violenza psicologica da parte dell’ex marito. Della donna discriminata perché straniera, perché donna. Della donna perseguitata da uno stalker per anni, che ha dovuto prendere le sue tre figlie e rifugiarsi a casa dei genitori perché l’ex marito non voleva andarsene, perché la aspettava fuori, la minacciava, la opprimeva.
Voglio raccontare la storia di una madre che ha dovuto spiegare, giustificarsi, dimostrare agli assistenti sociali, agli psicologi, ai servizi del Comune, di essere una madre giusta. Di essere una madre che lottava, che studiava, che lavorava per non far mancare nulla alle sue figlie. Una madre che ha dovuto raccontare la sua depressione post-partum, il matrimonio combinato, l’abbandono da parte di un marito che se n’è andato lasciandola sola con due bambine piccole, una neonata e una di un anno e mezzo.
Ma voglio parlare anche della donna che ha scelto di esistere. Di farsi valere. Di non restare imprigionata nell’identità di vittima, di immigrata bisognosa di aiuto, di donna fragile che gli altri vogliono salvare per sentirsi buoni. No, questa donna ha detto: “Io esco da questa identità”.
Questa è la storia di una donna che ha tante identità: donna, lavoratrice, educatrice, docente universitaria, mediatrice culturale, consulente del tribunale, consulente della camera di commercio. Quante identità può avere una sola donna? Tante. E per ciascuna ha dovuto lottare, dimostrare il proprio valore, guadagnarsi il rispetto.
Eppure la sua lotta è iniziata prima di tutto questo. È iniziata alla nascita, quasi prematura, quando tutti si aspettavano che non ce la facesse. È continuata nell’infanzia, quando, immigrata in Italia, veniva bullizzata per le sue origini. Sempre l’ultima scelta nei giochi, sempre quella diversa, sempre la straniera. Poi, nell’adolescenza, qualcosa cambia: diventa bellissima, ma non basta. “È bella, però è straniera.” Ancora una volta, un’altra identità da portare come un peso.
Quante identità ha vissuto questa donna per essere, semplicemente, una donna?
Oggi, 8 marzo, questa donna sa di aver lottato. Sa che continuerà a lottare. Per sé stessa, per le altre, per tutte le donne che subiscono, per tutte quelle che nascono con la consapevolezza di dover combattere fin dal primo respiro.
Noi donne siamo grandi. Siamo forti. Andremo avanti. Lotteremo. E ce la faremo.
Oggi, mentre scrivo, mi trema la voce, mi trema il cuore. Ma io ci sono. E voglio essere un esempio per tante donne.
Ce l’ho fatta da sola. Mi sono laureata. Ho costruito il mio futuro. Ho tante identità. Ma la mia identità più grande, la mia più profonda verità, è questa: sono una donna.
E non basta essere donna. Voglio essere rispettata. Voglio essere stimata. Perché ho portato nel mio grembo quattro figli, perché ho affrontato tre parti, perché sono nata donna.
Ma soprattutto, voglio esistere senza dover raccontare ogni volta chi sono, da dove vengo, quante battaglie ho combattuto. Voglio che le persone mi rispettino per un motivo semplice e potente: perché sono una donna.
