Caterina Tiazzoldi dopo aver conseguito un Master of Science in Architectural Design presso la Columbia University, ha avuto l’onore di essere selezionata per partecipare alla 17ª edizione della Biennale di Venezia (2021) nella sezione Resilient Communities del Padiglione Italia. Tra i riconoscimenti ottenuti, figurano il Premio Architetture Rivelate e la nomina a finalista del Premio Renzo Piano per Giovani Architetti Italiani.
Il suo lavoro si focalizza sulla contaminazione tra architettura, scienza e innovazione sociale. Ha insegnato presso istituzioni prestigiose come la Columbia University, il Politecnico di Torino e la Rhode Island School of Design. Inoltre, per oltre 15 anni, ha co-fondato e diretto il centro di ricerca Non-Linea Solutions Unit (NSU) presso la Columbia University, in collaborazione con il Politecnico di Torino.
Intervistare una professionista così qualificata non è stato facile, ma è stato per me un onore
Il tuo studio ha uno staff completamente al femminile? Perché questa scelta?
Nel mio caso, poiché non si tratta né di uno studio associato né di un collettivo, la questione del genere non assume rilevanza. Sono semplicemente una donna, ed è così che è stato. Ho collaborato con persone di grande valore, sia uomini che donne.
Non nego che, nei cantieri per negozi o installazioni rapide, dove la manodopera spesso proviene da contesti culturali, religiosi o tradizionali molto eterogenei, non ritengo utile condurre battaglie dirette per la parità di genere. Tuttavia, riconosco che in molte situazioni la presenza di un uomo può rassicurare le maestranze.
Un episodio interessante riguarda una strategia che ho adottato, simile a quanto mostrato nel film Scusate se esisto! di Riccardo Milani. In alcuni cantieri, ho collaborato con un collega uomo, anche lui gay, per interagire con i fornitori. Anche nel mio caso, questa dinamica si è rivelata molto utile in molteplici situazioni. Devo ringraziare la mia amica Valerie Viscardi editor presso Louis Vuitton e poi indipendente di avermi aiutata a capire come raggiungere i giornalisti senza passare dalle agenzie di stampa.
Perché i grandi nomi dell’architettura in Italia sono spesso uomini?
Le dinamiche di potere nell’architettura, che coinvolgono ingenti investimenti e relazioni politiche, si sviluppano spesso in contesti tradizionalmente maschili. Un simbolo di questa esclusività sono i vespasiani o pisciatoi collettivi, luoghi informali dove si consolidano connessioni e si prendono decisioni cruciali. Lo stesso vale per conversazioni su temi come calcio, automobili o barche, spazi che implicitamente escludono molte donne.
Fortunatamente, essendo la seconda figlia femmina di un ingegnere navale sommergibilista (per nulla macho) e successivamente progettista delle prime forme di intelligenza artificiale dell’Olivetti, ho ricevuto un’educazione atipica che mi ha formato in modo pratico e dinamico. Da ragazza correvo in Fortunatamente, essendo la seconda figlia femmina di un ingegnere navale sommergibilista (per nulla macho) e successivamente progettista delle prime forme di intelligenza artificiale dell’Olivetti, ho ricevuto un’educazione atipica che mi ha formato in modo pratico e dinamico. Da ragazza correvo in auto e moto, riparavo tubature con la fiamma ossidrica, guidavo barche e derive veloci e, grazie alla mia esperienza come ranger al Parco Nazionale delle Everglades, ho sviluppato un profilo trasversale.
Figura 2 Visita con Scienziato Steven Tennis. Sopralluogo per la valutazione della proporzione ti acqua dolce e salata.
Mi hai chiesto cosa mi ha dato la mia esperienza all’estero. Viaggi, strategie spaziali e culturali: un percorso tra esperienze e innovazione ?
Le esperienze all’estero possono rappresentare un potente stimolo di crescita o, al contrario, condurre a una forma di decadenza. Lo so bene, provenendo da una famiglia apolide. La mia formazione scolastica è iniziata in una scuola statale francese, progettata per garantire ai figli di espatriati un’istruzione in linea con i programmi nazionali, con un focus scientifico nel mio caso.
Dopo il liceo, ho proseguito gli studi al Politecnico di Torino, partecipando negli anni ’90 al programma Erasmus a Valencia. In seguito, il mio percorso accademico ha preso una piega internazionale: un master alla Columbia University a New York si è affiancato a un dottorato in Italia, il tutto mentre lavoravo come progettista nel settore retail. Questo mix di esperienze ha nutrito una cultura pratica, digitale e intellettuale, in un’epoca in cui il di gitale iniziava a influenzare il design. Da qui è nata la mia proposta alla Columbia University con il Politecnico di Torino: creare la Non-Linear Solutions Unit (NSU), un’unità di ricerca che ho diretto per quindici anni, integrando realtà virtuale, intelligenza artificiale e progettazione del costruito.
Un interrogativo centrale per l’autrice è stato il rapporto tra soggettività e oggettività nei progetti creativi. Questa domanda ha guidato il suo lavoro e l’ha portata al Santa Fe Institute, un centro di ricerca interdisciplinare dove le scienze umane si uniscono alla tecnologia, rappresenta un luogo unico in cui le scienze umane si intrecciano con il pensiero dell’uomo e le tecnologie emergenti, tra cui una sorta di proto-intelligenza artificiale guidata dall’ingegno umano. Qui ho sviluppato la tecnica della Combinatorial Architecture presentato al TEDxSalon, che gestisce valori soggettivi e oggettivi, materiali e immateriali.
Instant Installation
Figura 3: Flessibilità e plasmabilità dei degli spazi pesi e colori. Grazie alla sua flessibilità questa installazione ha viaggiato in molti paesi, è stata presentata alla Galleria di Arte Moderna di Torno, nonché all’Area Educativa del castello di Rivoli
Il progetto Instant Installation rappresenta un’innovazione nel design parametrico, trasformando l’architettura tradizionale in un’esperienza interattiva e dinamica. Consiste in un labirinto flessibile di fili di gomma colorati, realizzato con software parametrici avanzati che hanno ottimizzato ogni fase progettuale grazie a un approccio algoritmico e l’uso di proto-intelligenza artificiale.
Il cuore del progetto è un sistema parametrico capace di apprendere dai vincoli del design e suggerire soluzioni spaziali innovative, adattandosi sia agli utenti che al contesto. Questo esempio dimostra l’interazione tra soggettività – visione estetica e concettuale – e oggettività, attraverso strumenti tecnologici che ampliano le possibilità creative.
Infine, si riflette sul rapporto culturale nel design, proponendo un approccio filosofico e adattabile che favorisca un dialogo tra progetto e contesti differenti.
E sulla base di avere la capacità di creare forme ma soprattutto metodologie capaci di adattarsi differenti necessità e condizioni
Figura 4: Avere famiglie di forme che possano adattarsi velocemente, dal parco pubblico nel Bronx, alla super villa per milionari.
La Social Cave Social Cave
Con la crescente connettività virtuale abbiamo a disposizione una rete di percorsi di comunicazione illimitati. Tuttavia, se da un lato la nostra “capacità sociale” è aumentata, spesso le relazioni generate dal web rimangono confinate allo spazio digitale in cui sono nate.
Con la fusione dello spazio fisico e virtuale, in che modo il design può creare un nuovo tipo di interazione?
Su questo tema, la Facoltà di Architettura della Columbia University ha ideato Social Cave, la grotta sociale, una piccola installazione interattiva “che torna alle origini della nostra civiltà”, come spiegano i creatori. È un aggregato parametrico di cubi di polistirolo riciclati e riciclabili al 100%. All’interno, Social Cave ha due spazi separati da un muro con due entrate distinte. La presenza di persone dall’altra parte è svelata solo tramite una proiezione astratta sul muro. I visitatori possono osservare movimenti, posture e comunicazione non verbale degli altri. L’anonimato fisico è garantito dal muro e dall’astrazione dell’immagine, favorendo conversazioni digitali e visive con le “ombre” dei visitatori di fronte, abbattendo barriere inibitorie.
Figura 5: Il corridoio che divide le due parti
Figura 6: A più di un metro dalla telecamera, la persona si vede come se fosse in uno specchio pixellato.
Figura 7: A meno di un metro dalla telecamera si apre una porta digitale e si intravede chi sta dall’altra parte.
Figura 8: I buchi presenti nella struttura fanno capire che le persone apparentemente virtuali che si muovono, sono esseri umani veri.
Figura 9: Vista della grotta dall’alto
Una volta usciti dalla Social Cave, si torna nella realtà fisica, dove si può proseguire la conoscenza. La grotta sociale nasconde e poi svela vicinanza e identità dei visitatori, permettendo di iniziare conversazioni che superano i limiti fisici della comunicazione digitale.
Il negozio Illy Shop è arredato esclusivamente con cubi bianchi, dimensionati esattamente per contenere barattoli di caffè e macchine per espresso.
Progettato dall’architetto Caterina Tiazzoldi di Torino e New York, il negozio Illy è arredato esclusivamente con cubi bianchi, dimensionati esattamente per contenere barattoli di caffè e macchine per espresso.
Anche il bancone, il tavolo per le degustazioni e i cestini per i rifiuti sono realizzati con questi cubi, così come le luci fissate al soffitto.
Figura 10 Vetrina inquadramento chiaro simmetrico quasi giocosa
Figura 11: angolo sensoriale, degustazione di impronta user friendly
Figura 12: un’immagine fatta per stupire, per disorientare e per fare girare il nome del brand.
Toolbox: Un Incubatore per la Trasformazione Urbana Link
Applicando la stessa metodologia Toolbox Coworking a Torino, è un progetto che mi ha portata a essere finalista al Premio Renzo Piano per un giovane talento italiano, ho collaborato con Giulio Milanese e Aurelio Balestra per sviluppare un brief, una bozza di piano di sviluppo futuro e realizzare i primi 2000 mq di questo innovativo spazio.
Situato in un ex edificio industriale, Toolbox risponde alle esigenze di una città in evoluzione. In un’epoca in cui si può lavorare ovunque con un laptop e una connessione Wi-Fi, il progetto riflette sul ruolo degli spazi professionali, bilanciando socializzazione e privacy, relax e concentrazione. Il progetto prevede un openspace con 44 postazioni, spazi comuni e una struttura modulare in cemento. I “volumi filtro” separano le aree operative e funzionali. Basato sulla Componente Adattabile di Tiazzoldi, il design utilizza volumi identici con variazioni di materiali e finiture per esigenze acustiche e visive. Software parametrici hanno prodotto 500 varianti di pareti e pavimenti in gomma colorata.
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Il progetto mira a creare spazi che stimolino interazioni spontanee. Un esempio è la zona bar, progettata per essere stretta, inducendo le persone a sfiorarsi e favorendo così un’interazione fisica. Dietro il bar, un bancone in piastrelle e giornali promuove chiacchiere informali. Più avanti, un salottino accogliente offre un ambiente rilassato per brainstorming e collaborazioni, mentre il bancone diventa un luogo dove lavorare su bozze di contratti, senza il formalismo di una sala riunioni. In questo modo, il progetto trasforma l’interazione in un’esperienza naturale e fluida.
Figura 13: Vista de bar strettoia arancione, bancone informale per i primi incontri, sala riunione.
Mi chiedi dell’accessibilità L’accessibilità è cruciale.
Negli ultimi vent’anni, in Italia, sono stati fatti passi avanti per migliorare la mobilità delle persone con disabilità. Tuttavia, la conformazione naturale del Paese ha sempre reso la mobilità complicata.
Questa realtà non giustifica ritardi né mancanza di sensibilità verso il tema. Lo storico Fernand Braudel, nel suo libro Mare Nostrum, descrive l’Italia come un Paese difficile da attraversare, con coste impervie e montagne, ma quasi inespugnabile.
Queste caratteristiche hanno influenzato la progettazione delle città, molte inadatte anche alla mobilità moderna. Paesi più accessibili spesso beneficiano di una geografia più favorevole. Questo, però, deve spingere a trovare soluzioni innovative e pratiche.
In Italia ci sono margini di miglioramento. Interventi come una gestione razionale degli spazi urbani e corsie stradali meglio dimensionate potrebbero fare la differenza. A New York, dove ho vissuto, le strette strade di Soho sono organizzate con linee gialle che danno priorità a biciclette, rollerblade e carrozzine, facilitando la convivenza tra pedoni e mezzi. Inoltre, le telecamere monitorano il rispetto delle regole con sanzioni rigorose.
Un approccio che unisce organizzazione e rigore normativo dimostra che anche contesti complessi possono migliorare l’accessibilità. Non serve rivoluzionare l’Italia, ma migliorarla gradualmente, rispettando il suo patrimonio culturale e favorendo l’inclusione.