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    Dol's Magazine
    Home»Costume e società»Cultura»Film»PARTHENOPE
    Film

    PARTHENOPE

    Erica ArosioBy Erica Arosio20/09/2024Updated:07/02/2025Nessun commento6 Mins Read
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    Regia di Paolo Sorrentino

    con Celeste Dalla Porta, Stefania Sandrelli, Gary Oldman, Isabella Ferrari, Luisa Ranieri, Silvio Orlando, Peppe Lanzetta, Lorenzo Gleijes

    Quattro stelle

    Una maschera nera, simile a quelle che si usano per le gare di scherma, le copre interamente il viso, perché, spiega il maggiordomo, è devastata dalla chirurgia estetica. Nella scena successiva è invece una fitta veletta a nasconderne i lineamenti. In una terza inquadratura l’attrice, che interpreta un’insegnante di recitazione, è nuda, avvolta nei fumi del bagno turco e solo per pochi secondi vediamo la sua inconfondibile bocca che chiede, anzi esige, un bacio dalla ragazza che si è rivolta a lei per consigli sulla carriera. Ora, che un’attrice accetti di prendere parte a un film completamente velata e irriconoscibile non è un fatto usuale, ma se a chiamarti è un regista come Paolo Sorrentino, le cose cambiano.

    Anche perché Isabella Ferrari ha già lavorato con lui. Per alcuni registi gli attori nutrono una sorta di venerazione e non battono ciglio di fronte a qualunque richiesta. O manipolazione. Secondo esempio, Luisa Ranieri, che interpreta un personaggio palesemente ispirato a Sofia Loren. La bellissima attrice (anche lei ha già lavorato con Sorrentino) porta una parrucca che le viene strappata svelando una capigliatura devastata dall’alopecia e dimentichiamo quanto sia affascinante. Il regista di La grande bellezza in questo assomigli a Fellini (suo regista di riferimento) che deformava i suoi attori come fossero di gommapiuma e risparmiava solo Mastroianni, suo riconosciuto alter ego.

    Ho preso spunto da due interpretazioni di secondo piano per introdurre il grande affresco napoletano di Parthenope dove, ancora una volta, Paolo Sorrentino fa i conti con l’odio-amore per Napoli. E li fa schierando mille personaggi, la maggior parte sopra le righe, alcuni addirittura caricaturali e macchiettistici, di sicuro felliniani, per raccontare i molteplici volti di una città, da cui si può, e spesso lo si fa, anche fuggire ma dove alla fine si ritorna, calamitati dalla sua “grande bellezza”: la città sotto il Vesuvio la possiede come Roma e forse ancora di più, perché il cuore del regista è lì, nel golfo, fra Posillipo e l’orizzonte.

    Il percorso scelto da Sorrentino è tortuoso e a volte confuso, sempre esagerato, spesso temerario, anche se il fil rouge di tutta la storia è limpido e segue la ragazza del titolo, Parthenope (quindi Napoli), la splendida esordiente Celeste Dalla Porta, filmata dalla nascita nel 1950 (nelle acque del mare, come Venere, davanti alla villa dei genitori) fino al 2023, anno del suo pensionamento dove ha il volto sempre giusto di Stefania Sandrelli che esprime gli struggenti rimpianti di una vita che non si può né ripercorrere né aggiustare.

    Sorrentino gira magnificamente, le scene sono una più bella e fantasiosa dell’altra, ahimé appesantite a volte da un compiaciuto barocchismo e da un estetismo un po’ fine a se stesso che fa perdere di vista la compattezza della storia, che sembra stargli meno a cuore dell’estetica e delle frasi lapidarie che sembrano dette per essere annotate e ripetute al momento giusto. Quanto si piace Sorrentino e concediamogli l’immodestia come peccato veniale. Almeno ancora per un paio di film. Non di più però, perché il ripiegamento su se stessi a lungo andare fa danni.

    Torniamo a Parthenope che nasce nella ricchezza, desiderata e amata: è bella come una dea ma anche straordinariamente intelligente e arguta, non si approfitta più di tanto della sua avvenenza, preferisce impegnarsi e studiare, è curiosa, affamata di vita ma non sa bene a cosa aspirare. Succede quando tutto arriva senza sforzi. Vive in un ambiente sospeso fra Napoli e Capri, un mondo che ha tanto in comune con quello raccontato da Raffaele La Capria in Ferito a morte, romanzo che di sicuro è fra i prediletti di Sorrentino. Un libro ambizioso, caldo, idolatrato dai napoletano colti che il bravo Andrea Renzi ha tentato qualche tempo fa di portare sul palcoscenico con risultati non sempre soddisfacenti. La questione è che il romanzo di La Capria ha il suo punto di forza nella scrittura, nella parola, nella musicalità delle frasi e, secondo me, ogni trasposizione non potrà mai restituire il fascino della pagina scritta.

    Sia come sia, Parthenope la bella si lascia corteggiare, civetta, seduce, si ritrae e ha sempre la risposta più inaspettata da dare a ciascuno, persino quando a Capri si imbatte in John Cheever, il grande scrittore americano (interpretato benissimo da Gary Oldman) con cui forse avrebbe potuto vivere una grande storia d’amore. Peccato che lui preferisca i ragazzi alle ragazze.

    Celeste Dalla Porta, figlia e nipote d’arte, il nonno era il fotografo Ugo Mulas, la mamma Melina Mulas, anche lei fotografa, il papà un jazzista, presta a Parthenope il suo sguardo cangiante e vivo e passa indenne attraverso tutte le situazioni, crollando solo quando l’amatissimo fratello che l’amava troppo e nel modo sbagliato, si lascia morire. Il film diventa più malinconico come gli occhioni di Parthenope che si rifugia nello studio trovando nel professore di antropologia (un perfetto Silvio Orlando) un secondo padre che preferisce le domande alla risposte e la aiuta a non fermarsi.

    Tanti sono gli episodi che costellano l’Odissea di Parthenope, compreso un incontro blasfemo (Sorrentino ha conti da saldare anche col cattolicesimo) con un prete alle prese col sangue di San Gennaro e poi l’unione carnale e pubblica, in senso letterale, di due famiglia camorriste, infine l’incontro sconvolgente e quasi mitologico col figlio del professore.

    Si vola, si cade, ci si stupisce, si ammira la bravura registica, fotogramma dopo fotogramma e un’eleganza in più, forse dovuta all’ingresso nella produzione di Saint Laurent. Ma, vi chiederete, alla fine dei conti, a me il film è piaciuto? Sì, perché non so resistere alla bellezza delle immagini e perché alla temerarietà intelligente perdono molto, forse troppo. Se prendo le distanze però aggiungo che di sola bellezza non si può né vivere né fare cinema. Quanto meno un cinema che conti, che resti, che valga, che abbia senso e che possa incontrare un pubblico vasto. Forse Paolo Sorrentino dovrebbe pensare di più agli altri e meno (giusto un pochino meno, eh, non si pretende poi troppo) a se stesso. Sei bravo, lo sappiamo tutti noi che ti seguiamo fin dal primo film e lo sai molto bene pure tu. Ora puoi andare più avanti.

    Foto di Gianni Fiorito

    .

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    Erica Arosio

    Erica Arosio, milanese, una laurea in filosofia, giornalista, scrittrice, critico cinematografico, è mamma di due figli meravigliosi, Mimosa e Leono. è stata a lungo responsabile delle sezioni cultura e spettacolo del settimanale «Gioia» e ha curato per vari anni la rubrica cinema di «Radio Popolare». Autrice di una biografia su Marilyn (1989 Multiplo, poi 2013 Feltrinelli Real cinema, in cofanetto con il dvd «Love, Marilyn»), ha collaborato a varie testate, fra cui «la Repubblica» e «Il Giorno». Nel 2012 esce il suo primo romanzo, “L’uomo sbagliato” (La Tartaruga, poi Baldini & Castoldi, 2014). Con Giorgio Maimone scrive una serie di gialli ambientati nella Milano degli anni 50 e 60: “Vertigine” (Baldini & Castoldi, 2013), “Non mi dire chi sei”, “Cinemascope” , “Juke-box” e il racconto “Autarchia” nell’antologia “Ritratto dell’investigatore da piccolo” (tutti per Tea), “Macerie” (2022, Mursia), “Mannequin” (2023, Mursia) Sempre con Giorgio Maimone ha scritto “L’Amour Gourmet” (Mondadori, 2014), un romanzo sentimentale ambientato nella Milano degli anni Ottanta, il mémoire sul ’68 “A rincorrere il vento” (2018, Morellini) e i gialli ambientati in Liguria “Delitti all’ombra dell’ultimo sole” (2020, Frilli) e “La lista di Adele” (2021, Frilli). A gennaio 2024 è uscita l’audioserie originale Faccia d’angelo, storia di Felice Maniero e della mala del Brenta, disponibile sulle principali piattaforme. E’ autrice di ”Carne e nuvole” (Morellini, 2018) una raccolta di 101 racconti brevi e della favola ”La bambina che dipingeva le foglie” (Albe edizioni, 2019). Ha pubblicato diversi racconti in antologie collettive ed è fra gli autori in Delitti di lago 3, 4 e 5 (Morellini editore).

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    Rare, se non addirittura inesistenti, sono le stat Rare, se non addirittura inesistenti, sono le statue dedicate a storiche figure femminili in Torino. Per tentare di ovviare all’inconveniente, ben poco in linea con la contemporanea visione “woke” che ha condizionato persino i film della Disney, si sta per approntare un’opera dedicata alla Marchesa Giulia il cui il busto all’età di 27/28 anni è già stato studiato dallo scultore Gabriele Garbolino Rù. Ha ritrova il volto di Giulia nei molti ritratti giovanili che però ispiravano serietà e concentrazione. Lo scultore afferma: «Siamo partiti dall’idea di dare un volto svecchiato alla Marchesa.» Gloss immagina che sia per facilitare l’identificazione degli adolescenti di oggi nei valori propugnati dai Marchesi.

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    https://www.dols.it/2025/05/01/te-indiano/ Ti sei https://www.dols.it/2025/05/01/te-indiano/

Ti sei divertita con i giochi proposti? Ti sei ritrovata a fare acrostici e anagrammi mentalmente, magari mentre eri in coda dal medico o al supermercato? Non riesci più a sentire una parola senza ricercare sinonimi e contrari? Ti devi trattenere dal dire a voce alta la frase dell’acrostico appena senti un nome? La tua penna è bella calda e le parole stanno uscendo frizzanti dal letargo?

Adesso che hai sgranchito la penna e le idee, è il momento di creare qualcosa che potrà essere anche breve ma sicuramente più significativo dei semplici giochi linguistici. Lasciati suggestionare dalle citazioni e ispirare dai suggerimenti. Sperimenta con stili e generi diversi, e non aver paura di esprimere la tua creatività o le tue stranezze. Cosa aspetti? Scrivi!
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