Raccolgo l’invito di Caterina a parlare della mia città d’elezione: Torino. Nel gruppo di lettura torinese, nel commentare “La donna della domenica” della Premiata Ditta F&L, le mie conoscenze mi chiedono come in una città sobria e diffidente, Torino, sia potuta nascere un’industria di itifalli (simulacri di falli in erezione costruiti da un’impresa funebre di pietre tombali, scoperta proprio da Fruttero e Lucentini); del resto Torino offre numerosi parcheggi di coppie scambiste (sex parking). Rispondo loro che Torino è una città sottintesa. Non è affatto sobria e diffidente. Anzi.
Torino sottintesa
È pronta a captare il sotterraneo, il nascosto, l’equivoco, financo lo sciagurato, ma anche il portentoso, il soprannaturale, lo straordinario divino e a diffonderlo nel resto della penisola. L’aver prestato le sue naturali scenografie architettoniche a film dell’orrore di Dario Argento, l’esistenza di personaggi come Gustavo Rol, un mistico quanto prodigioso sensitivo, ne sono state la convalida. In ognuno dei flagelli o delle invenzioni vantaggiose che hanno oppresso o innalzato la patria si identifica in genere la mano torinese.
Le prime volte di Torino
Torino comincia dall’unità nazionale e dalla prima capitale d’Italia. E poi la prima automobile, (“l’automobile è femmina!” disse il D’Annunzio che aveva scritto la prima delle sceneggiature, “Cabiria”, per il cinema nato prioritariamente a Torino), i primi consigli di fabbrica, la prima stazione radio, i sindacati, il primo tramezzino, la televisione, gli intellettuali di sinistra, il bicerin, il primo caso di spionaggio industriale legato alla produzione della seta, i sociologi, il libro Cuore, il cioccolatino di lusso, la prima corsa ciclistica più antica del mondo, l’opposizione extraparlamentare, il primo vermouth, l’aver dato i natali all’uovo pasquale nel 1725, non presso la corte di Re Luigi XIV dove aveva riscosso scarso successo, ma nella bottega della signora Giambone, che riempì gusci vuoti di uova di gallina.
L’aver ospitato piemontesi illustri, Cavour, Giolitti, Einaudi, ma anche Fenoglio, Arpino, Soldati, va contro il suo essere una città straniera che ama e odia l’Italia e manda i suoi messaggeri maledetti benedetti a diffondere ogni più abominevole quanto miracolosa trovata.
Due sono i motivi per cui ho scelto Torino: il primo, il fascino discreto, ma imperiale, dell’antico, ancora poco frequentato dal turismo; il secondo, nonostante abbia perso diversi primati assoluti in ogni settore della vita, riesce a risorgere come una fenice dall’impero automobilistico.
La mia concione sbalordisce le lettrici. I torinesi sentono fin dal passato la propria missione di pionieri a fin di bene. O di male.
Da Milano a Torino
Sono una baüscia milanesa come la cadréga, la cutelèta e la biciclèta, convertita da qualche anno alla madaminità. A dire il vero, il mio primo vissuto a Torino fu a 17 anni, una quarantina d’anni fa, sul finire degli anni Ottanta. Quando il professore di italiano del liceo fresco di Calabria mi chiese in sposa, mia madre si informò su di lui. Risultò in cura perché in preda a manie di persecuzione e implicato in faccende di ’ndrangheta. Per proteggermi, fui inviata nella famiglia di un’amica torinese che mi ospitò a casa sua per un mesetto, in Strada delle Cacce. Dicevano: «Non andare in via Artom, c’è brutta gente da quelle parti…»
Si riferivano a spacciatori e pvttane. Torino come il resto del mondo. Mi prefissai alcune missioni, tra cui non solo Via Artom. Conoscere la bellezza romantica del Parco del Valentino, salire in cima alla Mole non appena avrebbero completato i restauri, vedere film d’essai al cinema Massimo, passeggiare sotto i 18 chilometri dei portici di Torino, specialmente sotto i chili di ragnatele di quelli di Via Po, scoprire una chiesa si dice fondata dai templari e per questo a pianta circolare, con un oculus nella cupola, si dice fatto da Lucifero quando cadde dal cielo agli inferi, percorrere in bus gli 11,75 km del corso rettilineo più lungo d’Europa, tentare dalla Gran Madre di identificare il Sacro Graal. In quel mese non portai a compimento nessuna di queste missioni. Tornai a Milano. La vita nel frattempo mi ha condotta di nuovo a Torino.
Dove si va se non si sa da dove si viene
O forse alla fine sono io che l’ho scelta senza esserne consapevole. Oltre che di paesaggi variopinti e variati, l’Italia è un concentrato d’arte ad altissimi livelli. In quanto figlia di roulottisti, avevo viaggiato con loro in tutta Italia fin dai cinque anni, scoprendo il gusto per il bello, la condivisione, la diversità, dal paesaggio selvaggio alla chiesa rococò, dall’individuo dotto di libri al contadino dotto di terra, dall’italiano del sud al nero d’Africa. Avevo da adulta visitato Maldive e Togo, Thailandia e Benin, Zanzibar e Tanzania, Cina e Repubblica Dominicana, ma inutile girare il mondo se non si sa da dove si viene. Torino mi era nel frattempo diventata casa, eppure non la conoscevo abbastanza. In generale, provavo un sentimento misto di passione, curiosità e passione per la città d’arte.
Già, Torino è una città d’arte non meno di Firenze e Roma (so che per qualcun3 sto bestemmiando, ma Torino è stata la prima capitale, presenta dal punto di vista architettonico e artistico eccelse curiosità seconde a nessun’altra città, tantissimo verde a fruizione pubblica, ha immensi viali che Roma si può scordare, tantomeno Firenze).
Perciò mi fingerò turista per scoprire la città come se non l’avessi mai vissuta. Sceglierò di locare case private per non fare pubblicità, senza sottovalutare che, nella via laterale, devo potermi regalare a colazione un croissant allo zabajone appena farcito nella nascosta pasticceria, accompagnato da ottimo caffè. I gioielli veritieri di Torino sono spesso segreti. Torino ne è colma, basta cercarli con spirito di ricerca culturale. La Cultura è fondante per le nostre vite.
Da anni mi occupo di discriminazioni donne/uomini, sono giunta all’evidenza che dipendono non solo dalla mancanza di cultura del rispetto, ma proprio di Cultura in sé, partendo dalle parole. Un Paese come l’Italia affetto da tronismo acuto, in cui le persone disimparano lemmi, si verifica perdita di vocabolario che conduce a perdita di cultura. Perdita di cultura conduce a perdita di diritti. Perdita di diritti conduce a perdita di umanità. Perdita di umanità conduce a violenza e guerre. Il sillogismo impone quindi di sostenere la cultura perché ci renda liberi. Lo si fa sostendendola con Tipeee – GlossParla – News .