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    Home»Costume e società»Essere se stessi oltre il perbenismo
    Costume e società

    Essere se stessi oltre il perbenismo

    Maria Giovanna FarinaBy Maria Giovanna Farina15/09/2020Updated:15/09/2020Nessun commento8 Mins Read
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    Perbenismo
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    È una storia vera troppo a lungo rimasta nascosta dietro il perbenismo e il falso moralismo di una famiglia borghese che continua a ritenere l’omosessualità qualcosa di cui non parlare.

    Il caso di Ferdinando è quello di un bambino nato in una famiglia contadina del nord, cresciuto e lasciato a sé stesso, poi mandato in collegio dove subisce qualche attenzione “particolare”. Così il bambino diventa grande, le donne sembrano interessargli molto anche se non riesce ad essere loro fedele. Per lui è molto importante crearsi una buona posizione sociale e la venerazione del dio denaro si insinua nella sua vita per diventate l’unico valore: per esso ha sempre combattuto, per esso ha perso tutti coloro che l’hanno amato. Anche la moglie che senza troppo entusiasmo ha portato all’altare. Ed è proprio a questo punto della sua vita che compie un atto molto significativo: sceglie per celebrare le nozze religiose proprio colui che ha (non sappiamo fino a che punto perché ha sempre riferito confusamente e in versioni diverse quel accadimento) abusato della sua innocenza infantile. Il rapporto con le donne è un fallimento continuo, non a una delle sue compagne è rimasto fedele e ancora oggi che ha quasi 80 anni è alla ricerca di continue conferme. Ma facciamo un passo indietro a quando è nata Loredana, sua figlia. Ferdinando avrebbe preferito un maschio. Amare una persona, perlomeno dimostrarlo, per lui è impossibile e così Loredana cresce desiderando l’affetto paterno ed è disposta a tutto per ottenerlo anche a diventare quel maschio che suo padre avrebbe desiderato avere. Lui non si prende cura della bambina e neppure della moglie perché il suo unico obiettivo resta la scalata sociale rinforzata dal continuo bisogno di affermare la propria virilità. Ben presto il matrimonio naufraga. Ferdinando trova un’altra moglie che subisce lo stesso trattamento della prima, ma che resiste meglio perché è più interessata a tenere unita la famiglia. Le difficoltà della bambina aumentano insieme alla colpa di esser nata femmina. Crescendo vive grosse difficoltà nell’affermare la propria femminilità e i suoi tentativi di mostrarla al padre vengono da lui soffocati miseramente.

    Analizziamo ora l’omosessualità latente di Ferdinando e le sue implicazioni relazionali con la figlia che si può considerare la vittima predestinata. Partiamo dalle precoci esperienze omosessuali di Ferdinando e del suo ritorno, da adulto, a quell’ uomo che lo ha sedotto. Ci troviamo innanzi, si potrebbe pensare, ad un caso di identificazione con l’aggressore, sì d’accordo, ma non si tratta solo di questo. Dobbiamo tenere conto del fatto che Ferdinando è stato un bambino con uno scarsissimo vissuto affettivo, la mancanza d’amore ha segnato così profondamente la sua infanzia tanto da farlo rimanere legato sentimentalmente a quella figura maschile che gli ha dato amore anche se in forma di pedofilia. Quel maschio che lo ha amato è rimasto l’unico degno di rispetto, tutti gli altri che occasionalmente ha incontrato sulla sua strada sono stati oggetto di derisione e disprezzo, per giungere in anni più recenti alla fuga da tutto ciò che rimanda in qualche modo all’omosessualità tanto da non riuscire a scambiare una parola con chi, spesso secondo la sua immaginazione persecutoria, gli potesse rappresentare un’omosessuale. Ogniqualvolta Ferdinando si trova nei pressi della sua latenza omosessuale, di quella vibrazione erotica respinta per paura, perché a suo dire i veri uomini non piangono e vanno a letto solo con le donne, sta male, impallidisce e fugge nella sua eterosessualità fissata. Il tentativo di fuga dal maschio lo spinge alla caccia di continue nuove prede femminili, dall’aspetto spesso esasperato come garanzia di lontananza dal maschile, per rassicurare se stesso che tutto è sotto controllo. È come dirsi: “Stai tranquillo Ferdinando le donne ti piacciono”. Il rapporto col femminile è disastroso perché la donna rappresenta solo una escamotage. Così in nome del suo dio effimero, ha rinunciato alla grande opportunità di essere il padre di sua figlia perché il denaro si è sempre insinuato nei loro rapporti fino a distruggerli. Quando è nata la bambina, un evento straordinario come dovrebbe essere la venuta al mondo di un figlio, emerge il suo problema irrisolto. Loredana rappresenta la prima disillusione: non è quel maschio (desiderato per condizionamento culturale) con il quale avrebbe forse stabilito rapporti meno conflittuali. Ahimè! È un’altra femmina con la quale fare i conti. La figlia cresce sempre disposta a tutto per farsi amare e proprio durante l’adolescenza esplodono i traumi infantili. La ragazza si sente femmina ma come può dimostrarlo se per tanti anni ha cercato di negarlo? È necessario ri-costruire tutta quella componente femminile che non ha mai potuto esprimere, basta pensare che quando da piccola, per gioco, si era costruita un seno finto quasi a voler dire al padre: “Guarda che sono una femmina”, Ferdinando reagisce con un bigottismo da Inquisizione vietando a questa femminilità di emergere. Castrando la figlia tiene sotto controllo la propria omosessualità che confonde con la componente femminile, del resto per lui gli omosessuali sono solo gli effeminati. Naturalmente vivere certe esperienze è molto deprivante per una adolescente che deve sperimentare il proprio corpo in trasformazione e che sta assumendo tutte quelle caratteristiche negate dal proprio padre. Loredana vive grosse conflittualità: è certa di essere una femmina, ma quando si guarda allo specchio si vede maschile. Nonostante tutto ciò lei sa di essere attratta dai maschi, ma per anni non riesce ad avere un fidanzato perché i soli maschi che le interessano sono quelli che hanno le caratteristiche psicologiche di Ferdinando e quindi che rifuggono da una ragazza così poco femminile. Ci vorranno anni di frequentazioni socratiche per rendersi conto delle sue percezioni errate e per trovare dentro di sé quella componente femminile ormai incistata. La sua ri-nascita al femminile è stata la cosa più bella che le sia capitata, dopo tanti anni ha potuto assaporare tutte le gioie e i dolori della sua condizione. Per tanto tempo ha urlato con tutti i linguaggi possibili la sua gioia di essere nata femmina e nessuno ( maschi e femmine) riesce più a resistere alla sua capacità seduttiva.

    Quante persone hanno sofferto per il problema irrisolto di Ferdinando? Troppe. Quante volte Loredana si è chiesta: “Perché mio padre non mi ama per quella che sono”? Lui non sa amare e in modo particolare amando sua figlia amerebbe quella parte di sé che nega, e quella femminilità un po’ ambigua che la ragazza aveva sempre palesato lo avrebbe ricondotto troppo repentinamente in quel territorio proibito che era ed è la sua omosessualità latente. Anche se la figlia è ora una femmina vera lui non può e non vuole confrontarsi con lei, lui continua a confondere l’omosessualità con la femminilità.

    Questo caso è dedicato a tutti coloro che rinunciano a vivere la propria natura sessuale, è una testimonianza che vuole spingere ad una riflessione profonda sul valore delle ripercussioni negative che possono avere le scelte individuali, non solo sulla propria esistenza ma anche su quella degli altri. Infatti in questa brutta storia hanno sofferto non solo lui e la figlia, ma anche tutte le persone che hanno in misura diversa cercato invano di instaurare dei rapporti affettivi con Ferdinando. È importante precisare che non fu l’esperienza infantile a renderlo omosessuale, ma essa fu la causa della momentanea presa di coscienza. Per paura questo impulso fu ricacciato con forza nell’inconscio e mai elaborato. La cultura della negazione, che considera ancor oggi l’omosessualità una malattia e o una perversione, ha impedito a questo uomo di essere se stesso, non gli ha permesso di vivere una vita autentica perché la sua capacità di amare si è cristallizzata. Ha condotto invece una vita misera sperando di riempirla con; l’eccessivo amore per la ricchezza manifesta infatti povertà nelle relazioni con oggetti reali. In ultima analisi possedendo il denaro si crede inconsciamente di riempire i propri vissuti affettivi negativi e nel caso di questo uomo ha significato strapotere maschile, tentativo fallito di dominio sul femminile reale (la partner e la figlia) e simbolico (la propria componente femminile psichica tenuta in schiavitù). Credo che se Ferdinando fosse riuscito ad ammettere i propri impulsi sessuali e avesse accettato di farsi aiutare ad affrontare serenamente l’argomento omosessualità, la sua vita sarebbe stata ricca di proficui scambi affettivi.

    Purtroppo egli è una vittima della cultura maschilista che considera il modello del maschio virile ad esclusivo appannaggio dell’eterosessualità, ciò lo ha spinto a dover dimostrare di essere un uomo forte e per questo sfidava i pericoli, non piangeva, non cucinava ed evitava accuratamente tutte quelle attività considerate da donna. Negli ultimi anni si è lasciato scappare, provando vergogna, qualche lacrima di fronte ad un film, ma continua a provare orrore alla vista di un omosessuale effeminato, senza rendersi conto che quel orrore misto a derisione e disprezzo sono da ricondurre a se stesso, alla fuga coattiva dalla propria omosessualità. Ha vissuto un’intera vita seguendo quasi esclusivamente gli stereotipi soffocando desideri e passioni che lo avrebbero reso un uomo e un padre migliore.

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    Maria Giovanna Farina
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    Maria Giovanna Farina si è laureata in Filosofia con indirizzo psicologico all’Università Statale di Milano. È filosofa, consulente filosofico, analista della comunicazione, formatrice e autrice di libri per aiutare le persone a risolvere le difficoltà relazionali. Nei suoi saggi e romanzi ha affrontato temi quali l’amore, la musica, la violenza di genere, la filosofia insegnata ai bambini, l’ottimismo, la libertà, la relazione con gli animali da compagnia e col cibo. Pioniera nel campo delle pratiche filosofiche, nel 2001 ha fondato Heuristic Institution dove si è dedicata, in collaborazione con il filosofo Max Bonfanti, anche alla ricerca di metodi e strategie da applicare alla risoluzione delle difficoltà esistenziali attraverso il TFAR (trattamento fenomenologico delle aree relazionali) da loro ideato. È creatrice della rivista on line “L’accento di Socrate”, scrive su varie riviste ed è intervenuta ed interviene in Radio e TV. Ha tenuto incontri e conferenze sulla violenza di genere a scuola e presso associazioni, taluni sponsorizzati da Regione Lombardia e patrocinati da vari Comuni italiani. Con un gruppo di studiosi ha chiesto, ottenendolo, alla Treccani.it di inserire la parola nonviolenza in un’unica forma verbale. Studiosa di relazioni, il suo sito è www.mariagiovannafarina.it

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