L’infelicità fa parte della vita, la tristezza è un segnale utile, ma cresce e poi, come tutte le emozioni, decresce e si trasforma. Quando invece ci si ferma in una grigia palude senza tempo, e nulla cambia, allora è depressione.
Avevamo intervistato Olga per il primo dei suoi libri ”Uscire dalla solitudine” anni fa. Da allora ne ha scritti molti che accompagnavano le conoscenze e la sua professione di psicoterapeuta. E la sua vita. Abbiamo voluto reincontrarla perchè la sua analisi culturale si è successivamente coinvolta in temi sempre più attuali come la ricerca della felicità.
Olga Chiaia, psicologa e psicoterapeuta, come mai questa scelta professionale?
La scelta è partita da un disagio personale, e credo che questo sia comune a molti di quelli che fanno questo lavoro. C’è il bisogno inesauribile e appassionato di comprendere come funziona la nostra mente, come gestire la sofferenza, e come potenziare le nostre risorse.
Hai vissuto in varie città d’Italia, Bari, Roma e ti sei fermata a Piacenza, dove vivi e lavori. Vivere in Romagna è più affine al tuo Karma? Non ti manca il mare? Esiste un posto per ognuno di noi in cui ci si sente a casa?
Mi manca moltissimo il mare e la luce speciale che c’è al sud. Per me vivere a Piacenza è difficile, è una città padana e nebbiosa, la gente è riservata, per non dire chiusa. Eppure sono qui da vent’anni, ho imparato che “i nostri paesi caldi sono i nostri cuori”. Casa è qui, fisicamente, ma nel cuore, casa è ovunque ci sia amore e lavoro (e magari anche acqua e sole).
Hai scritto molti libri: Il sonno e il sogno (1994), Uscire dalla solitudine (2010), A un passo dalla felicità (2011), Il bello di uscire dagli schemi (2015) e Il bello di riscoprirsi umani. Istruzioni salvavita contro invidia, vergogna e competitività (2017).
A un passo dalla felicità è quello però di cui vorrei parlare con te. E’ possibile essere felici, veramente felici al giorno d’oggi, dove molti dicono che ‘’non ci manca niente’’?
Non ci manca niente di materiale, ma ci manca moltissimo a livello emotivo, spirituale. Manca spesso una rete di relazioni vere, e l’amore è per l’essere umano necessario come l’aria.
Oggi si chiama amore ciò che amore non è, e manca la cura, l’attenzione per l’altro, per l’ambiente, per i nostri bisogni più veri. Essere felici in questo periodo non è facile, e infatti non vediamo fiorire creatività e gioia nelle nostre città. La felicità non è impossibile, però, se si costruisce uno spazio protetto dentro e fuori di noi, in cui ritrovare le tracce di quello che conta.
I nostri giovani, viziati ma non felici? Cosa manca loro?
Vedo nel mio studio più giovani di quanto sia mai successo in passato. Hanno genitori spesso adoranti, ma iperprotettivi e attenti più ai risultati scolastici che alla persona del figlio.
I ragazzi hanno bisogno di sentirsi riconosciuti nel loro valore, di essere visti, e invece spesso sono svalutati e invisibili, nascosti dietro maschere photoshoppate di falsa adeguatezza. E loro stessi si misurano con il numero di Mi piace che ottengono sui social, o con altri parametri esteriori che penalizzano il loro splendore immisurabile. La mancanza di prospettiva lavorativa e di valori etici toglie poi ampiezza al loro orizzonte, coraggio ai loro sogni. E vivere solo di presente e di realtà materiale è deprimente.
E noi adulti, in preda alla crisi dell’età e del passaggio storico, come possiamo essere soddisfatti della nostra vita che abbiamo curato e cresciuto negli anni?
Per noi adulti c’è il rischio di sentirci delusi, dai tempi e da noi stessi. Molti ideali sono andati smarriti, ma il nostro compito è di tener viva la fiducia di poter ancora aggiungere anche pochissimo al bene di qualcun altro, che sia figlio o amico o sconosciuto.
E restare curiosi e attenti.
La depressione che spesso ci avvolge dipende da noi o dai tempi bui che stiamo vivendo?
Il contesto che viviamo conduce alla depressione, basta guardare le statistiche, le previsioni per il futuro, la diffusione degli antidepressivi. E’ però necessario che ci sia una predisposizione individuale, una vulnerabilità legata alla propria storia personale. Altrimenti questi stessi tempi bui possono portare a reazioni diverse, magari aggressive, egoistiche, ma anche ad atteggiamenti costruttivi, per fortuna.
Quando la depressione arriva a diventare patologia? Le donne ne sono più colpite, causa ormoni che vengono a mancare e figli che si allontanano?
L’infelicità fa parte della vita, la tristezza è un segnale utile, ma cresce e poi, come tutte le emozioni, decresce e si trasforma. Quando invece ci si ferma in una grigia palude senza tempo, e nulla cambia, allora è depressione, cioè una condizione patologica, caratterizzata da uno squilibrio biochimico e dalla triade depressiva: visione negativa di sé, degli altri e del futuro.
Le donne sono percentualmente più a rischio: gli ormoni sono imputati sempre, dalla sindrome premestruale alla depressione post partum, alla menopausa. Ma a volte sono un alibi per non vedere che le donne hanno più difficoltà degli uomini a occuparsi in modo sano di se stesse, sono spesso poco rispettate e soverchiate di richieste da ogni parte.
Quali risoluzioni proponi?
Per la depressione occorre un approccio integrato: niente funziona sempre, e per tutti, per cui bisogna provare molte strade, e contemporaneamente. E’ un disturbo che coinvolge il corpo, la mente, il cuore, le relazioni, e si cerca di agire su tutti questi livelli: farmaci e/o sport e alimentazione, psicoterapia, progetti, gruppi. Espressione di se’ come antidoto alla depressione.
Più che combatterla, dobbiamo accettarla e conoscerla.
Per il malessere dei tempi, abbiamo bisogno di restituire tempo e attenzione alla riscoperta delle tracce dell’amore e del valore di noi stessi, degli altri, dei momenti, delle relazioni. E di riconoscenza, verso la nostra vita e tutte le vite.