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    Dol's Magazine
    Home»Costume e società»Festa del sacrificio
    Costume e società

    Festa del sacrificio

    Graziamaria PellecchiaBy Graziamaria Pellecchia31/08/2017Updated:29/07/2019Nessun commento4 Mins Read
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    grande.festa-musulmana
    michengelo Caravaggio
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    Domani primo settembre del 2017 i fedeli musulmani celebreranno la “ festa del sacrificio” o Festa Grande, ricorrenza dalla data mobile, in ricordo del sacrificio richiesto dal Signore Dio ad Abramo, del suo “unico figlio” o “figlio primogenito” secondo le traduzioni e tradizioni.

    di Graziamaria Pellecchia

     

    Il fatto è che Abramo ne aveva due di figli, uno avuto da una schiava della moglie quando si riteneva fosse sterile, e uno dalla moglie, e fra i due c’erano circa quindici anni di differenza. Il primo era Ismaele, il secondo Isacco. Per alcuni come i cristiani il figlio destinato al sacrificio era Isacco, per altri, come i musulmani era Ismaele. Insomma, comunque, non è fondamentale, sempre di un figlio si trattava anche se poi da Ismaele è disceso Maometto, e da Isacco Gesù, la cosa importante è che Abramo non contestò la volontà del Signore, e che per questa dimostrazione di fede nel momento del sacrificio fu fermato dal Signore stesso che non pretese da lui una cosa che sicuramente lo avrebbe segnato per sempre e avrebbe anche cambiato la storia. Il Signore ci ama e ha i suoi piani per noi. Poi vicino all’altare passava un agnello e fu sacrificato. In breve, questa festa ricorda la grande fede di un uomo giusto, in cui cristiani, ebrei e musulmani si identificano.

    Adesso. Fin quando questa festa si celebra nei luoghi storici di fede, poco male, si ammazzano pecore e agnelli in casa o in luoghi adatti e questo sacrificio ha un significato simbolico esplicito, di unione e fraternità, in quanto un terzo dell’animale va alla famiglia che lo ammazza, un terzo si mangia con gli amici, e un terzo si offre in beneficienza, penso agli orfanotrofi, alle case per anziani, ai poveri delle comunità, ad uno che è malato e non può farlo di persona.

    Chiedere, in Europa, di festeggiare collettivamente tutti insieme, come si è fatto in molte città, quest’anno…e si parla di cinquemila persone minimo, già è una deroga della tradizione, diciamo che siamo nella seconda fase della festa, cioè…mangiare in amicizia. Di logica, almeno, presumo che quelli che aderiscono a queste feste oceaniche abbiano saltato la prima fase, quella in cui il capofamiglia attua materialmente il sacrificio, sgozzando il proprio agnello…che sicuramente nelle città occidentali non sarebbe possibile, in quanto le macellazioni devono avvenire in luoghi asettici e sotto il controllo delle ASL. Col passare degli anni, penso che per questo la tradizione dovrà un po’ cambiare anche in luoghi di tradizione islamica, bisognerà recarsi in luoghi adatti per macellare il proprio agnello, in qualche foto nel web ho visto che in alcune grandi città già accade.
    Così, questa festa sarà sempre più un simbolo, bello, forte, se i fedeli sapranno mantenerne lo spirito, ma modificato nella forma, specie se comunità musulmane vivranno in città multietniche, dove tutti i fedeli di ogni religione si spera possano celebrare in pace le proprie feste, dire le proprie preghiere, manifestare la propria spiritualità, senza sovrastarsi gli uni con gli altri.

    Ok…poi ci sono le proteste degli animalisti. Per questi non dico niente. Ne riparliamo fra qualche secolo, quando caso mai il sacrificio degli agnelli, mi auguro, sarà solo un simbolo e si userà mangiare agnellini di pasta di mandorle, come molti già fanno a Bari a Pasqua. Un passo per volta sarei felice. Per esempio vorrei che i musulmani ricevano gli auguri dei cristiani e degli ebrei domani, e che li accettino, e li ricambino nelle feste belle di loro. Del resto il nostro Signore “E’ “. Per chi ci crede, ovvio. Non diciamo altro. Molte cose ci accomunano, come la fede di Abramo, molte cose ci distinguono, come il nome del figlio che doveva sacrificare, ma che fa? Poi non ha dovuto farlo…tutti e due sono vissuti, e hanno avuto discendenza…ci sarà un motivo? Non so. Che ognuno creda quello che vuole, la verità vera non è per gli umani, possiamo credere e sperare, e questo non ce lo toglie nessuno e a nessuno dobbiamo toglierlo. … Litigare fa solo arricchire i giornalisti e i media, che potranno scrivere articoli da gossip… non so quanti agnelli arrostiremo domani, ma se non ci saranno casini i giornalisti saranno molto tristi… e che dire? Meglio loro che noi!

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    Graziamaria Pellecchia

    Graziamaria Pellecchia. Nata a Bari nel1947. Ho frequentato l’Istituto commerciale e poi l’Università di Lingue a Bari. Nel 1973 mi sono sposata e ho raggiunto mio marito nel suo piccolo paese natale: Vaiano Cremasco in Provincia di Cremona . Ho lavorato a Milano negli anni settanta e poi a Monte Cremasco, per quasi trent’anni, come ufficiale demografico al mattino e bibliotecaria nel pomeriggio. Ho due figli. In pensione abbiamo deciso di stabilirci ad Adelfia, (BA) dove tutt’ora viviamo. Ho sempre amato scrivere. Penso che questo modo di raccontarci sia una delle migliori opportunità per condividere con leggerezza la nostra umana avventura.

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    torre.caterinadella

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    Luana Sciamanna è un’avvocata penalista nata a Luana Sciamanna è un’avvocata penalista nata a Genzano di Roma nel 1978 e vive ad Ariccia. È esperta di violenza di genere e relazioni abusive, e collabora con i centri antiviolenza dei Castelli Romani, fornendo consulenza e assistenza legale alle donne vittime di violenza. È anche docente per la Regione Lazio nella formazione degli operatori della rete antiviolenza territoriale, e fondatrice e Presidente dell’associazione di promozione sociale “Crisalide Donne per le Donne”, che si occupa di consapevolezza ed empowerment femminile.

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    Donne pronte al dialogo, ai trattati, a scavalcare Donne pronte al dialogo, ai trattati, a scavalcare barriere e confini, ai cambiamenti, alla PACE.
Protagoniste di una sfida femminile secolare che nessuna guerra potrà negare. Nessun futuro potrà prescinderne.

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La solitudine dei non amati, firmato e diretto dalla regista norvegese Lilja Ingolfsdottir, nella sua opera prima, con Oddgeir Thune, Kyrre Haugen Sydness, Helga Guren e Marte Magnusdotter Solem .
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