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    Home»Donne digitali»Arte digitale»MARINA ABRAMOVIČ: PIANETA PERFORMANCE
    Arte digitale

    MARINA ABRAMOVIČ: PIANETA PERFORMANCE

    DANIELACALFAPIETROBy DANIELACALFAPIETRO24/04/2017Updated:24/05/2017Nessun commento12 Mins Read
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    marina-abramovic
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    “I’M THE GRANDMOTHER OF THE PERFORMANCE ART”- MARINA ABRAMOVIČ.

    TUTTO, VIDEO E FOTO, DOCUMENTATO. UNA VITA A CAPOFITTO NELLA ESPERIENZA SENSIBILE, NEL CONFRONTO TESO FINO ALLO SPASIMO TRA IDEA E REALTA’ , PERCEZIONE ED ESPERIENZA, RICORDO E FLUSSI VITALI, INFORMAZIONI E  VUOTI, CONTRASTI E SILENZI.ARTE, FILOSOFIA , RICERCA:É IL PIANETA ABRAMOVIČ.

    Cosa e’ la performance artistica? Ecco, questa domanda e’ , in un certo modo, qualcosa che porta la mente a produrre un atto performativo: una ricerca per ottenere una risposta.La vita può essere una sequenza di azioni, di tempi scanditi da contenuti; i contenuti parlano dei significati che portano con loro e parlano di momenti e del loro rapporto con l’ artista. Le azioni che l’artista concretizza in senso performativo sono in realta’ dei concentrati di sequenze logico-sensoriali che spingono il fruitore a seguire dei percorsi cognitivi inusuali per fare propria , anche condividendo, l’ esperienza  emotivo- sensoriale proposta attraverso la performance stessa.

    Joan Jonas e Marina Abramovič durante una sua famosa performance
    Joan Jonas e Marina Abramovič durante una sua famosa performance al MOMA del 2010

    LE PERFORMANCES

    Per comprendere il significato di queste
    “esplorazioni” bisogna “vedere”  prima i concetti che vi sono dietro.
    La ricerca e’ per l’ artista un elemento fondante.
    Le coordinate di questa ricerca sono lo spazio, il tempo , il corpo, l’ azione, il suo reiterarsi, il confronto tra le azioni, sia quando sono diverse , sia quando sono uguali.
    Parte attiva di questa ricerca diviene la sua registrazione,audio, o audiovisiva, sia come testimonianza, sia come successiva inclusione nella performance come parte di essa.
    Spesso queste azioni originano nella psiche, o nella storia .Oppure sono ossessioni, personali o collettive, cui l’ artista da un senso e una ” traduzione”.
    Marina Abramovič e’  si è autodefinita “Grandmother of performance art” nonna di tutta l’arte performativa, e la sua strada l’ ha portata nella direzione della ricerca:il suo lavoro esplora le relazioni tra l’artista, il suo corpo e il pubblico, ed il contrasto tra i limiti fisici e le possibilità della mente.
     Nelle sue opere, la Abramović afferma la sua identità attraverso la prospettiva degli altri, però, ancora più importante, cambiando i ruoli di ogni giocatore, l’identità e la natura dell’umanità in generale, ponendo interrogativi che si  sviluppano nel corso delle performance. In questo modo, l’esperienza individuale si trasforma in una collettiva e crea un potente messaggio.
    La sua famiglia era molto nota, lo zio fu un patriarca ortodosso, dichiarato santo , la madre, maggiore dell’ esercito, venne nominata verso la metà degli anni sessanta, direttore del Museo della Rivoluzione e Arte in Belgrado e il padre era un partigianodella guerra di Tito. Due eroi nazionali.
    La sua prima lezione di arte Marina la ricevette dal padre all’età di 14 anni: era il 30 novembre 1960; avendo chiesto al genitore di comprarle dei colori, lui si presentò con un amico il quale cominciò con il tagliare a caso un pezzo di tela, poi una volta steso a terra vi gettò sopra colla, sabbia, pietrisco, bitume, colori vari dal giallo al rosso, poi dopo aver cosparso il tutto con trementina collocò un fiammifero al centro della composizione e lo fece esplodere e disse: “Questo è il tramonto”.

    E’ nata a Belgrado il 14 novembre nel 1946. Attiva fin dagli anni ’60 , Dal 1965 al 1970 studia presso l’Accademia di Belle Arti di Belgrado . Ha completato i suoi studi post laure presso l’ Accafemia di Belle Arti di Zagabria, in Croazia nel 1972. Dal 1973 al 1975 ha insegnato presso l’Accademia di Belle Arti a Novi Sad, mentre acreava le sue prime performance.

    Dal 1990 al 1991 la Abramović è stata visiting professor presso l’ Academíe des Beaux Arts di Parigi e presso l’ Università delle Arti di Berlino.  Tra il 1992 e il 1996 E ‘stata visiting professor presso la Hochschule für bildende Künste di Amburgo e tra il 1997 e il 2004 era  professore per la prestazione tecnica al  Hochscule für bildende Künste di Braunschweig.  I suoi migliori studenti noti sono Sebastian   Bienek e Chuharu Shiota.

    Nel 1974  viene conosciuta anche in Italia, dove presenta la sua performance, Rhytm 4, esposta a Milano, nella Galleria Diagramma di Luciano Inga Pin.

    Nel 1976 lascia la Jugoslavia per trasferirsi ad Amsterdam. Nello stesso anno inizia la collaborazione e la relazione con Ulay, artista tedesco. Nel 1997 vince il Leone d’ Oro alla Biennale di Venezia con l’esecuzione, Balkan Baroque.

    Rhythm 10, 1973

    Nella sua prima performance esplora elementi di ritualità gestuale. Usando venti coltelli e due registratori, l’artista esegue un gioco russo nel quale ritmici colpi di coltello sono diretti tra le dita aperte della mano (il gioco del coltello). Ogni volta che si taglia, deve prendere un nuovo coltello dalla fila dei venti che ha predisposto, e l’operazione viene registrata. Dopo essersi tagliata venti volte, l’artista fa scorrere la registrazione, ascolta i suoni e tenta di ripetere gli stessi movimenti, cercando di replicare gli errori, mescolando passato e presente. Tenta di esplorare le limitazioni fisiche e mentali del corpo: “Una volta che sei entrato nello stato dell’esecuzione, puoi spingere il tuo corpo a fare cose che non potresti assolutamente mai fare normalmente” (Kaplan, 9).

    Marina Abramovič durante la sessione con i coltelli - Rhythm10 - 1973
    Marina Abramovič durante la sessione con i coltelli – Rhythm10 – 1973

    Rhythm 0, 1974

    In questa performance rimasta storica per il rischio cui si espose, la Abramovič presentó al pubblico di Napoli, su un lungo tavolo, diversi strumenti di “piacere” e “dolore”;  vi furono posti   72 oggetti che le persone potevano usare per darle piacere o dolore, a loro scelta,   fu detto ai presenti che per sei ore l’artista sarebbe rimasta passivamente priva di volontà e avrebbero potuto usare liberamente quegli strumenti.  Tra essi c’erano una rosa, una piuma, il miele, una frusta, olio d’oliva, forbici, bisturi, una pistola e un singolo proiettile. Il tempo prefissato rispondeva alla struttura della prova, secondo una strategia di John Cage, adottata da molti altri artisti dell’esecuzione, allo scopo di dare un inizio e una fine ad un evento non lineare.

    Il pubblico di Napoli posto davanti agli strumenti di pericolosità
    Il pubblico di Napoli posto davanti ai 72 strumenti scelti dall’ artista

    L’ evento iniziò  e per le prime tre ore, i partecipanti approcciarono agli strumenti, usandoli.Inizialmente, i membri del pubblico  reagivano con cautela e timidamente, ma col passare del tempo la gente cominciò ad agire in modo più aggressivo.

    Uno dei momenti sviluppatisi durante le prime 3 ore dell' evento
    Uno dei momenti sviluppatisi durante le prime 3 ore dell’ evento

    Vi fu in seguito una escalation di pericolosità incontrollata: tutti i suoi vestiti vennero tagliuzzati con le lamette; nella quarta ora le stesse lamette furono usate per tagliare la sua pelle dalla quale poter succhiare il suo sangue. Il pubblico si rese conto che la performer  non avrebbe fatto niente per proteggersi e parve possibile addirittura che venisse violentata;

    Alcune foto ormai storiche , tratte da Rhythm 0,1974
    Alcune foto ormai storiche , tratte da Rhythm 0,1974

    si sviluppò allora, tra il pubblico, un gruppo di protezione e, quando le fu messa in mano una pistola carica puntata contro se’ stessa, vi fu un un tafferuglio  tra il gruppo degli istigatori e quello dei protettori.

    Uno degli strumenti di pericolosità messi in mano all' artista a Napoli durante la performance
    Uno degli strumenti di pericolosità messi in mano all’ artista a Napoli durante la performance

     Mettendo dunque il proprio corpo e la sua sicurezza in balìa assoluta del pubblico,  la Abramovic aveva creato un’opera artistica molto seria sull’ -“Affrontare le sue paure in relazione al proprio corpo”  ma non solo.  L’arte della Abramović rappresentava anche l’oggettivazione del corpo femminile, mentre lei restava  immobile e permettendo agli spettatori di fare quello  volevano con il suo corpo, spingeva i limiti di quello che si considera accettabile. Interrogandosi sul rapporto tra arte, sessualità e sociologia, questa rappresentazione tipo,  invita a riflettere anche su questioni politiche chiave, e l’utilizzo sostanziale di tecniche come il BDSM  applicate alla sociologia, diventa la questione di fondo, esemplificata e resa comprensibile e visibile dalla struttura della performance stessa. Le attività e le relazioni all’interno di un contesto BDSM sono spesso caratterizzate dai partecipanti  assumendo ruoli complementari, eppure disuguali; in tal modo, l’idea di concorso informato di entrambi i partner diventa essenziale, quasi un contratto.  I termini “sottomesso” e “dominante” sono spesso utilizzati per distinguere questi ruoli: il partner dominante ( “dom”) prende il controllo psicologico sopra il sottomesso ( “sub”). Questo viene di fatto applicato dalla politica.  Questo é stato testato dalla performance, dimostrando quanto sia vulnerabile e aggressivo il soggetto umano quando messo al riparo da conseguenze legali e  sociali e quanto i regimi sfruttino questo aspetto della natura umana. Alla fine della performance, il suo corpo era stato spogliato,  attaccato, e svalutato in un’immagine che la Abramović ha descritto come la “Madonna, madre e prostituta”. Inoltre, i segni delle aggressioni erano evidenti sul corpo dell’artista .  Commentò in seguito la artista:”Quello che ho imparato è che … se si lascia al pubblico, possono arrivare persino a ucciderti … Mi sono sentita davvero violata: hanno tagliato i miei vestiti, conficcato spine di rosa nel mio ventre, una persona mi puntò la pistola alla testa, e un altro lo portò via. Si è creato un ambiente aggressivo. Dopo esattamente sei ore, come previsto, mi alzai e cominciai a camminare verso il pubblico. Ognuno corse via, per sfuggire a un confronto vero e proprio.”

    Ritmo 2, 1974

    La Abramović ideó in due parti la performance Ritmo 2 per incorporare uno stato di incoscienza in una performance. Effettuò i lavori presso la Galleria d’Arte Contemporanea di Zagabria, nel 1974. Nella parte I, che avrebbe avuto una durata di 50 minuti, ingerì un farmaco che descrisse come somministrato a pazienti sofferenti di catatonia per costringerli a cambiare le posizioni dei loro corpi. Il farmaco causò la violenta contrazione dei suoi muscoli e perso il controllo completo sul suo corpo, pur rimanendo consapevoli di quello che stava succedendo. Dopo una pausa di dieci minuti,  le fu dato un secondo farmaco, ‘somministrato a pazienti schizofrenici con disturbi del comportamento violento di calmarli’. La performance si conclusa dopo sei ore,quando il farmaco terminò il suo effetto.

    Ritmo 4 1974

    In questa performance, sempre nella linea di lavoro sui limiti, la Abramović si inginocchiò sola e nuda in una stanza con un ventilatore industriale ad alta potenza. Si avvicinò al ventilatore lentamente, cercando di respirare il più aria possibile per spingere i limiti dei suoi polmoni. Poco dopo  perse conoscenza.

     

    Rhythm 5, 1974

    Con quest’opera l’artista cercò di rievocare l’energia prodotta dal dolore, in questo caso utilizzando una grande stella intrisa di petrolio, che accese all’inizio della performance : restando fuori dalla stella, l’Abramovic iniziò a tagliarsi i capelli e le unghie di mani e piedi. Terminata ognuna delle operazioni,  gettava i ritagli nelle fiamme, creando ogni volta un crepitio di luce.

    Scatti eseguiti durante la performance Rhythm 5 , 1974.
    Scatti eseguiti durante la performance Rhythm 5 , 1974.

    Nel far questo intendeva rappresentare un concetto di purificazione fisica e mentale, includendo l’ appartenenza politica del suo passato. Al termine di questa purificazione,la Abramovič saltò le fiamme e si distese al centro della stella ma a causa del suo bruciare lì non vi era ossigeno e la performer perse i sensi. Non subito ma qualcuno  se ne accorse e dei presenti intervennero, portandola via.

    Durante questa fase della performance, ka Abramovič perse conoscenza
    Durante questa fase della performance, ka Abramovič perse conoscenza

    La Abramović più tardi commentò a riguardo: “Ero molto arrabbiata perché avevo capito che c’è un limite fisico: quando perdi conoscenza non puoi essere presente; non puoi esibirti.” (Daneri, 29).

     

    Lips of Thomas, 1975

    In questa esecuzione esplora all’estremo i limiti fisici del proprio corpo arrivando, tramite una serie di azioni, anche a superarli.

     

    l’azione diventa più violenta, e culmina in atti di autolesionismo, o piu’ semplicemente masochismo, come l’incisione di una stella a cinque punte che l’artista pratica con una lametta, sul proprio ventre: è un’immagine violentissima e cruda, che rompe una serie di schemi storici tra la performance art e l’ uso del corpo. Il dubbio che tutto valga, pur di restare nella memoria, da questo momento in poi, trova lecitamente posto anch’ esso nella storia della critica.

    Il meglio di questa esecuzione è il  dialogo, in  rapporto diretto tra azione e reazione, fra l’esecutrice e lo spettatore, che non può restare inattivo mentre assiste in prima persona all’azione ed è quindi psicologicamente costretto a reagire. La reazione dello spettatore diventa l’oggetto dell’esecuzione.

    1976

    Freeing The Body, Freeing The Memory e Freeing The Voice sono un vero e proprio trittico, una serie di esecuzioni in cui Marina Abramović si prefigge il fine di purificare il proprio corpo e la propria mente e di scivolare in uno stato di incoscienza; quindi nella prima muove incessantemente il proprio corpo fino a crollare a terra; nella seconda riprende parole dalla propria memoria fino a non ricordare più nulla e nella terza urla fino a perdere la voce.

    Imponderabilia, 1977

    In collaborazione con l’artista tedesco e suo compagno Ulay, Marina Abramovič mostra a Bologna presso la Galleria d’ arte moderna la performance. Entrambi sono in piedi, nudi, ai lati di una stretta porta che consente l’ingresso nella galleria. Chi vuole entrare è costretto a passare in mezzo ai loro corpi, decidendo con imbarazzo se rivolgersi verso il lato del nudo maschile o verso quello del nudo femminile.

    Marina Abramovič e Ulay
    Marina Abramovič e Ulay

    Questa performance fu replicata diversi anni dopo all’ ingresso di una versione della biennale di Venezia.

    continua

     

     

     

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    DANIELACALFAPIETRO

    Daniela Calfapietro, storica dell' arte, artista, pittrice, restauratrice, fotografa ,esperta del paleo e neo litico, delI'età del bronzo, esperta della cultura pelasgica e greca., delle Invasioni indoeuropee e delle loro produzioni artistiche.Esperta di storia e cultura romana e medievale. Rilevatrice OMS, Pres. Ass. Puglia d' Arte e d' Artisti, autrice pag.web"Puglia d'Arte e d' Artiste-Donne e Cultura, modi e luoghi di Puglia", Pres. Sez. Molfetta Ass. Naz. " Sentieri della legalità".

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