E’ emergenza sociale questa patologia colpisce più donne che uomini. Malformazioni, i rischi in gravidanza
Le malattie reumatiche (poliartriti, connettiviti, vasculiti) – nell’immaginario collettivo – sono affezioni di cui soffrono gli anziani. Non è così! È perentorio il prof. Giovanni Lapadula, direttore dell’Unità operativa di reumatologia del Policlinico universitario di Bari, quando spiega che ‘sono patologie che aggrediscono anche i giovani, donne e uomini, che – nella maggioranza dei casi – non sanno di avere tale malattia, la quale è diagnosticata, molto spesso, dopo tre anni dall’insorgenza del dolore, una sofferenza che il più delle volte non è diagnosticata correttamente e in tempo utile. E i giovani pazienti si ritrovano a convivere con un dolore che evitano persino di denunciare perché i pregiudizi sociali lo assegnano ad una età della vita che non è la loro. Quando invece si interviene nei primi tre mesi dall’insorgenza dei primi sintomi, la malattia guarisce fino al 90percento dei casi’.
L’artrite cronica è una infermità invalidante, incomincia a 25/30anni e non ha possibilità di guarigione se non si fa una corretta e tempestiva diagnosi. È una vera emergenza sociale perché chi ne è colpito è inevitabilmente portato alla restrizione dei rapporti sociali che è il principale fattore riconosciuto di invalidità. ‘L’isolamento al quale ci si consegna – spiega Lapadula – porta a non programmare più la propria vita e a perdere il futuro. Si finisce per vivere in un eterno presente dal quale è esclusa ogni pianificazione personale e relazionale: viaggi di lavoro o divertimento, esami, carriera. L’insorgenza del dolore e la deformazione degli arti alla quale si va incontro inesorabilmente, preclude la realizzazione dei sogni: chi è affetto da artrite reumatoide agli arti superiori – per esempio – non riesce a scrivere la propria tesi di laurea. E a non laurearsi mai. Si fa imboccare perché non può usare le posate. Anche l’igiene personale è affidata ad altri’.
I reumatici in Italia rappresentano l’1percento della popolazione complessiva con un rapporto di 3 a 1 per le donne. In Puglia si stimano 42mila persone affette da poliartriti, di queste, 21mila hanno l’artrite reumatoide. I dati provenienti da registri ufficiali rivelano che soltanto 7mila sono esentati dal pagamento del ticket. Del resto, 14mila malati, non si sa nulla. È addirittura possibile che non sappiano di avere una malattia così importante.
Questi dati sono emersi durante un convegno organizzato dal prof. Lapadula che si è confrontato con i medici ginecologi intervenuti, i quali – ciascuno per le proprie competenze – hanno spiegato le complicanze riscontrate nelle donne affette da malattie reumatiche croniche.
Esistono forme che colpiscono prevalentemente le donne ‘soprattutto in età riproduttiva perché correlate all’andamento ormonale, riferisce il prof. Giuseppe Loverro, direttore della 1^ Unità operativa di ostetricia e ginecologia del Policlinico universitario di Bari, il quale aggiunge che ‘il desiderio di una maternità in queste giovani donne è molto forte che purtroppo mal si concilia con i farmaci aggressivi utilizzati per tenere a bada l’artrite reumatoide e che non sono compatibili con una gravidanza. A noi medici tocca informare e individuare un contraccettivo che le faccia vivere tranquille e che faccia giungere la gravidanza non solo quando la desiderano ma soprattutto quando la malattia lo permette’.
‘In un passato non molto lontano – sottolinea la prof.ssa Antonella Vimercati, referente per le gravidanze a rischio materno-fetali del Dipartimento di Scienze biomediche e oncologia umana del Policlinico universitario di Bari – alle donne affette da lupus eritematoso sistemico (maggiore prevalenza nel sesso femminile con un rapporto femmine/maschi di 9 a 1 con un picco in piena età fertile fra 25 e 35 anni) era categoricamente sconsigliato di intraprendere una gravidanza o, addirittura, qualora questa fosse già in corso, si consigliava l’aborto terapeutico per timore – da un lato – di complicazioni materne e fetali, dall’altro di un peggioramento significativo della malattia. Oggi fortunatamente la situazione è cambiata. La maggiore conoscenza della malattia e le sempre più precise metodiche di laboratorio permettono diagnosi più precoci prima che si verifichino danni d’organo permanenti. I migliori risultati perinatali dipendono certamente dal corretto counselling preconcezionale e dall’approccio multidisciplinare nella gestione della gravida malata. Insomma, un attento monitoraggio ostetrico aiuta a diagnosticare tempestivamente anche patologie del feto, come nel caso del lupus neonatale, una rara evenienza che si verifica nei neonati da madre portatrice di particolari anticorpi che possono determinare il blocco cardiaco congenito già durante la vita intrauterina, con esito spesso letale’.
‘Il futuro diagnostico e terapeutico ci vede impegnati – continua Lapadula – a fermare l’evoluzione della malattia, favorirne il recupero e restituire il malato alla vita. Nel caso delle donne si devono affrontare tre aspetti: sessualità, maternità e farmaci. Le donne affette da patologie reumatiche hanno una vita sessuale non proprio semplice a causa del dolore che le accompagna nel quotidiano, trattato con farmaci immunosoppressori che inevitabilmente incidono in un organismo già immunodepresso. Ne consegue un trattamento contraccettivo lungo e in molti casi la preclusione della maternità’. ‘A meno che – sottolinea il prof. direttore della 2^ Unità operativa di ostetricia e ginecologia del Policlinico universitario di Bari – forme non proprio aggressive o periodi nei quali la malattia non è eccessivamente attiva, la permettano. In tal caso, si sospende la contraccezione e in collaborazione con i colleghi reumatologi si riduce il dosaggio degli immunosoppressori e si tenta la gravidanza in sicurezza facendo molta attenzione a possibili conseguenze, quali: aborti, ritardi di crescita nel bambino, trombosi nella madre e cardiopatie’.
Le donne affette da malattie reumatiche autoimmuni possono avere problemi di infertilità. ‘Lo dimostrano i dati epidemiologici e clinici – spiega la dr.ssa Raffaella Depalo, responsabile del Centro di procreazione medicalmente assistita del Policlinico di Bari – che evidenziano la difficoltà a procreare soprattutto nelle fasi acuta della malattia e di produzione di autoanticorpi. Queste donne impiegano più tempo per concepire rispetto alla popolazione sana, hanno meno figli ed un periodo riproduttivo più corto. Quelle colpite da malattia prima dei 25 anni hanno minore probabilità di concepimento rispetto a quelle in cui la malattia è insorta in età più avanzata ed un tasso abortivo spontaneo precoce più alto e di aborto ricorrente specialmente in presenza di lupus eritematoso associato a sindrome da anticorpi antifosfolipidi. Gli ormoni sessuali femminili (estrogeni) sono un importante fattore di rischio per l’insorgenza e il decorso della malattia, infatti un menarca precoce o l’uso di farmaci estrogenici aumenta il rischio di malattia nelle donne con un rischio pari a 1,5/2,1, così come l’utilizzo di ormoni (gonadotropine) per l’induzione dell’ovulazione aumenta il tasso di recidiva di malattia e di lupus eritematoso. Queste donne hanno un rischio aumentato di complicanze della gravidanza e del puerperio. I trattamenti di procreazione medicalmente assistita sono, per queste pazienti, a maggior rischio di complicanze tromboemboliche a causa dell’aumento nel sangue degli estrogeni che sono indotti dalle stimolazioni ovariche a base di gonadotropine. In questi casi, occorre – per esempio – adottare protocolli poco aggressivi, trasferire in utero gli embrioni in un ciclo ovulatorio spontaneo successivo per evitare gli effetti dell’iperestrogenismo. L’alterato equilibrio degli ormoni sessuali compromette la funzione riproduttiva anche nel maschio, e il diminuito potenziale di fertilità dipende anche dall’azione degli agenti alchilanti (farmaci antitumorali) utilizzati come terapie per le malattie reumatiche autoimmuni. In questi pazienti si osserva un diminuito numero di spermatozoi ed un incremento degli anticorpi antispermatozoo responsabili della loro immobilizzazione o agglutinazione che blocca l’interazione spermatozoo/ovocita’.
Il trattamento farmacologico con metotrexate (C19H23N5O3) prescritto alle donne affette da malattie reumatiche autoimmuni incide oltre che sulla loro salute anche su quella del feto perché molto aggressivo (è paragonabile agli antitumorali) e procura gravi malformazioni sul nascituro. Infatti, ‘prima della gravidanza è consigliabile modificare la terapia, selezionando i farmaci meno dannosi per il feto’, aggiunge la Vimercati.
Esistono farmaci biologici di ultima generazione dei quali – si sa – precisa Lapadula – ‘essere ben tollerati dall’organismo umano, ma nessuno di questi è consigliato in gravidanza, sebbene i dati osservazionali in nostro possesso, dopo più di quindici anni di esperienza clinica, siano decisamente tranquillizzanti’. Gli antinfiammatori possono essere somministrati soltanto in alcuni periodi della gravidanza perché anch’essi possono dare alterazioni agli organi fetali interni in alcune fasi dello sviluppo intrauterino.
Le malattie sin qui illustrate sono – da sempre – studiate dall’Unità operativa di reumatologia del Policlinico universitario di Bari guidata dal prof. Giovanni Lapadula il quale ha contribuito a creare con l’ultimo governo Vendola un Osservatorio regionale: una rete di assistenza territoriale con centri aventi funzione di prescrizione farmaceutiche di alto costo e di alto rischio e di garanzia del tempo di assistenza sufficiente per sopperire alle carenze dei tanti ambulatori dislocati sul territorio. La deliberazione di questi hub prevedeva la creazione di un registro (in fieri) di patologie reumatiche atto a fornire elementi di conoscenza e monitoraggio della patologia utile a guidare la spesa medica verso farmaci con un buon rapporto costo/beneficio, pianificare una concreta governance sanitaria regionale per eliminare le inefficienze e le violazioni etiche con somministrazioni di farmaci inappropriati.