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    Home»Pari opportunità»Parità di genere»Non siamo pezzi
    Parità di genere

    Non siamo pezzi

    simonasforzaBy simonasforza24/01/2016Updated:24/01/20165 commenti7 Mins Read
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    Fenomeni di sessualizzazione e auto-oggettivazione

    Mi piacerebbe che si riuscisse ad approfondire certi fenomeni, episodi che si affermano e dilagano sui social network. Ritengo che sia veramente triste se non riusciamo a scalfire la superficie, comprendendo cosa c’è a monte di certi comportamenti, di certe reificazioni a cui le donne sono sottoposte e a cui si sottopongono. Nulla accade per caso o è neutrale rispetto a qualcosa di pregresso, di sedimentato, di banalizzato, di rimosso.

    Ho già parlato di quanto siano sempre più precoci e diffusi i fenomeni di sessualizzazione e auto-oggettivazione, in donne, bambini, e anche per una porzione di uomini. Si tende a bruciare sempre prima l’infanzia, e le pubblicità sono un veicolo e un sintomo di questa tendenza preoccupante. Si somministrano messaggi che i bambini non sono in grado di comprendere e gestire pienamente, perché al di là di questi bombardamenti, sono immaturi a livello cognitivo, emotivo e fisico, sono e restano bambini.

    auto oggettivazioneSe poi pensiamo all’adolescenza, Brown e Gilligan in questo testo ci parlano di una fase ricca di “silenzi“, in cui si sperimentano le prime “perdite di sé”, smarrimenti, episodi di abbassamenti dei livelli di autostima, amplificati da un contesto che tende a soffocare il nostro vero io. Ne avevo parlato anche qui.

    Come sottolinea Chiara Volpato nel testo “Deumanizzazione. Come si legittima la violenza“: “Il rapporto con il corpo e le sue trasformazioni incide profondamente sull’identità degli adolescenti; autostima e percezioni fisiche sono strettamente legate”.

    Una bassa autostima sembra predisporre maggiormente a una auto-oggettivazione.

    “Durante la pubertà il corpo delle ragazze diventa «pubblico», viene guardato, valutato, commentato, fatto segno di richieste, molestie, abusi sessuali. In una cultura che propone in modo ossessivo modelli-inarrivabili, le ragazze imparano presto che il loro corpo appartiene sempre meno a loro e sempre più agli altri e che molti, troppi, intorno a loro, valutano l’aspetto fisico, non la persona. Le adolescenti vengono così iniziate alla cultura dell’oggettivazione sessuale: le esperienze precoci conducono all’interiorizzazione della prospettiva dell’osservatore e ai fenomeni ad essa collegati, con particolare rilevanza per l’emozione della vergogna.”

    Si perde il contatto con la percezione personale della propria persona, interiorizzando punti di vista di chi ci valuta, soppesa il nostro apparire, ci porta a perdere il nostro sentire autentico su noi stesse. Viviamo in base a una misura altra da noi.

    “Molte evidenze empiriche indicano come, in adolescenza, la sessualizzazione abbia accentuati effetti negativi sul funzionamento cognitivo, la salute fisica e mentale, la sessualità, gli atteggiamenti e le credenze.

    Come si è visto, una delle conseguenze più insidiose dell’auto-oggettivazione è la frammentazione della coscienza, che incide sulle prestazioni cognitive e fisiche. Pensare ossessivamente al corpo confrontandolo con gli standard culturali dominanti lascia poche risorse cognitive disponibili per altre attività mentali e fisiche. La sessualizzazione contribuisce quindi ad abbassare l’interesse,i risultati scolastici, le aspirazioni delle ragazze nei campi cognitivamente più impegnativi, limitando aspirazioni e opportunità di formazione e affermazione professionale.”

    Questi martellamenti hanno impatti gravissimi nel breve e nel lungo periodo, veniamo imbavagliate in un vortice che ci annienta. Oggi e domani.

    I messaggi dei media veicolano una immagine femminile molto stereotipata, consolidando anziché contribuire ad abbattere (come dovrebbe essere) i ruoli di genere. Modelli di corpi irraggiungibili, plastificati, oggettivati, generano ansie, perdita di autostima, disturbi dell’umore e alimentari. L’auto-oggettivazione mina anche una sana e serena vita sessuale, comporta meno consapevolezza di sé e dei propri desideri, meno attenzione ad affrontare adeguatamente situazioni legate alla vita sessuale, quali contraccezione e difesa contro le malattie sessualmente trasmissibili.

    Banalizzare temi come lo stupro, i femminicidi, gli abusi sulle donne, non solo sui media, ma anche nei videogiochi, significa distruggere le fondamenta valoriali e comportamentali dei futuri adulti. Considerare una donna un oggetto sessuale, significa cancellare ogni possibile forma di empatia tra le persone, nei confronti delle donne, di relazione paritaria e basata sul rispetto. Relazioni fragili, strumentali, consumistiche. Donne sostituibili, intercambiabili, sentimenti questi sconosciuti. Donne sezionate, esibite in pezzi, questo avviene, e non sempre siamo pronte e abbiamo gli anticorpi per leggere attraverso lenti intelligenti e non assuefatte. Segmentate come si fa con i capi di bestiame, oggettivate e deumanizzate per essere più fruibili e manipolabili.

    Insegnare, imparare a leggere i segnali che oggettivano i nostri corpi è possibile, per immunizzarci e chiedere che questi messaggi vengano banditi dai media tutti, “sottraendo lo spazio alle donne dell’apparenza a favore delle donne della realtà.” Formazione e informazione adeguate, quindi, che ancora stentano ad affermarsi e a decollare. Devono diventare la regola. Gli anticorpi vanno formati, a scuola, nei centri di aggregazione giovanile, nelle biblioteche, non è più possibile assistere a certe messinscene mediatiche, in cui le donne sono sempre associate al mondo animale, cagne e roba simile. Reiterare ruoli, gesti, comportamenti di un modello per anni veicolato attraverso i media, non ci rende libere, ma è come se ci ingabbiassimo da sole, icone di quel mondo che rappresenta la donna a pezzi (seni, sederi, frammenti senza volto, slegati dalla persona) che dovremmo rigettare. Trent’anni e più di tv e media commerciali, ci hanno immerso in un linguaggio e in una rappresentazione delle donne a pezzi, con inquadrature innaturali, beni di consumo, esposte per aumentare le vendite e gli inserti pubblicitari. Ci ingabbiamo da sole perché questo per anni ci hanno insegnato, ci hanno fatto vedere, ci hanno somministrato. Ci hanno insegnato che questa è la realtà, l’unica valida.

    Il nostro primo pensiero dovrebbe essere: occupiamoci una volta per tutte, seriamente, di fornire a tutte le donne gli strumenti per decodificare questa bomba che mina le nostre vite, la nostra percezione di noi stesse, delle nostre potenzialità, dei nostri punti di forza sui quali dovremmo investire, senza cadere nel trappolone di ruoli fissi e false rappresentazioni di libertà. Se solo ci domandassimo, ma io dove sono?

    E la nostra capacità di leggere attraverso dov’è? Questa la mia domanda principale, quando ci troviamo davanti a questi fenomeni.

    Infine, mi pongo una domanda, perché partecipare a un contest in cui manca significato e significante? Non riesco a immaginare il senso di una simile operazione, non vi è dentro niente, non ha alcun senso, non vi è vantaggio (se non per le pagine universitarie che la hanno lanciata), non viene trasmesso nessun messaggio, se escludiamo il pericoloso perpetuare l’oggettivazione della donna. Partecipare perché ci viene chiesto da una pagina, mi spaventa, perché non ci si pone alcuna domanda, si fa e basta. All’imperativo di un hashtag si risponde con un “sì”, un’adesione che non si pone interrogativi di sorta. Abbiamo bisogno di senso, che qualcuno ci spieghi il valore delle nostre persone, intere, non a pezzi. Eseguire senza filtrare, senza obiettare, senza ragionare, senza porci domande, questo ha ricadute anche su che tipo di cittadine/i saremo domani, sulle nostre scelte di vita e di lavoro, su che tipo di lavoratori saremo. Esecutrici passive di input? Analfabetismo funzionale è non saper filtrare e analizzare le informazioni e gli input che ci arrivano. Ma forse è ciò che in molti si aspettano da noi. È arrivato il momento di insegnare e di imparare ad analizzare la realtà, ciò che accade attorno a noi, pretendendo un’altra rappresentazione della donna. Le implicazioni sono tante, e travalicano il confine che riusciamo a individuare a prima vista.

    Dobbiamo capovolgere il mondo, iniziando a bandire le rappresentazioni stereotipate delle donne.

    Non c’è molto da ridere, dobbiamo rimboccarci le maniche per rimuovere le macerie e riparare i danni di questi messaggi.

     

     

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    Blogger, femminista e attivista politica. Pugliese trapiantata al nord. Equilibrista della vita. Felicemente mamma e moglie. Laureata in scienze politiche, con tesi in filosofia politica. La scrittura e le parole sono sempre state la sua passione: si occupa principalmente di questioni di genere, con particolare attenzione alle tematiche del lavoro, della salute e dei diritti.

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    5 commenti

    1. Vlad on 24/01/2016 21:28

      quel contest era una cosa goliardica, non aveva senso se non esibizionistico era una roba stupida a cui si sta dando una importanza eccessiva. Sui minori sono d’accordo che la sessualizzazione eccessiva va evitata ma per quanto riguarda gli adulti uomini e donne: la sensualità, l’eros anche esplicito fa parte della via ed è totalmente legittimo rappresentarlo nei film ecc.. non è di per sè degradante, nè “auto-oggettificante” se non in certe pubblicità o videogame

      Reply
      • Vlad on 24/01/2016 21:31

        una persona che adulta che esibisce il suo corpo per lavoro o per qualunque altro motivo non si “oggettifica” il sessismo è nella mente di chi giudica diversamente una stessa cosa a seconda del sesso di chi la fa

        Reply
    2. Vlad on 25/01/2016 20:39

      quanto alla bellezza va accettato che esistono corpi femminili e maschili fisicamente più belli di altri in linea di massima ma tutti possono piacercsi e piacere a qualcuno

      Reply
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La solitudine dei non amati, firmato e diretto dalla regista norvegese Lilja Ingolfsdottir, nella sua opera prima, con Oddgeir Thune, Kyrre Haugen Sydness, Helga Guren e Marte Magnusdotter Solem .
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