La mia vita come in un romanzo VI

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di Caterina Della Torre

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L’italiana guardava la sua vecchia amica di un tempo e cercava di rintracciare quei morbidi tratti tipici delle donne russe. Non c’erano più. Le palpebre erano appesantite, mal mascherate dall’ombretto verde sovrapposto frettolosamente senza l’ausilio di uno specchio. La pappagorgia sottostante il mento raccontava di libagioni e stravizi culinari, accompagnati da una vita senza orari e freni. Lara le appoggiò la mano sull’avambraccio, quasi a volerla rassicurare che era proprio lei e non un’altra.

Carlotta le propose di spostarsi in un bar vicino alla piazza per scambiarsi ricordi e novità, ma Lara sembrava essere di fretta e le suggerì invece di accompagnarla all’appuntamento che aveva in fondo al viale. Con un amico, diceva, un caro amico. L’italiana acconsentì e ritornando sui suoi passi accompagnò la giovane russa fino all’albergo che un tempo era l’Intourist, ma scoprì con suo immenso stupore che era stato sostituito da un altro di una catena internazionale

Da lontano vide una sagoma familiare: era il ragazzo incontrato sotto il tunnel della metropolitana.
Si chiese improvvisamente cosa ci fosse di casuale in quegli incontri e quanto di combinato. Ma ormai era lì e non poteva fuggire. I due russi si misero a parlare velocemente tra di loro, in modo così gergale che lei non riuscì a capire la situazione se non dagli sguardi.
La invitarono ad entrare nell’hotel con la scusa di bere qualcosa insieme e si sedettero uno da una parte ed uno dall’altra del tavolo. Quasi a volerle sbarrare qualsiasi via d’uscita.

Le chiesero quando sarebbe ripartita e se aveva molti bagagli. Rispose che avrebbe lasciato Mosca il giorno dopo e di bagagli ne aveva solo uno, ma era stracolmo di abiti. Lo aggiunse quasi a voler confermare che di posto per altre merci non ce ne era.

Lara le suggerì dolcemente che un angolino per un piccolo oggetto avrebbe potuto trovarlo. Disse di sì, ma voleva sapere di cosa si trattasse. Un CD le dissero, per un loro amico italiano. Carlotta annuì e chiese a chi avrebbe dovuto consegnarlo e quando e soprattutto quando glielo avrebbero dato. Quando ebbe tutte le risposte, si alzò e fece per andar via, ma i due la fermarono proponendole di lasciarla lì a bersi un caffè e consigliandole di andar via dopo di loro

Così fecero e rimasta sola nella caffetteria del grande hotel, l’italiana cominciò a sentire le mani che le sudavano, la febbre che saliva agli occhi e la testa che ronzava…Avrebbe acconsentito a quel trasporto che percepiva chiaramente sarebbe stato illegale?

continua

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