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    Home»Pari opportunità»Parità di genere»Civiltà versus violenza
    Parità di genere

    Civiltà versus violenza

    Marta AjòBy Marta Ajò23/11/2015Updated:23/11/2015Nessun commento4 Mins Read
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    violenza-domestica-schiavitù
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    In questo novembre, devastato da gravi fatti che ci colpiscono direttamente o indirettamente come persone e cittadini del mondo, appare difficile porre l’attenzione ad un discorso di mero genere.

    Eppure è necessario. Non solo perché non vogliamo disattendere l’impegno della comunità internazionale nella giornata dedicata a tale fenomeno ma anche per allargare la riflessione sui vari aspetti della violenza fra i quali, quello perpetrato sulle donne, pare quello più difficile da sradicare.

    Nel nostro Paese, dopo le due grandi guerre del secolo scorso, in particolare dopo la seconda ed ultima, sembrava che il desiderio di una ripresa avesse risvegliato la migliore cultura italiana. Ma non possiamo non tenere conto del terreno sociale e umano con la quale andava a confrontarsi. Dopo il 1945, la maggiore parte del Paese era ancora analfabeta, le scuole erano divise per genere e l’insegnamento delle materie ancora legato ai testi e agli ordinamenti scolastici del fascismo, l’economia in ginocchio. Nei decenni successivi si è avviata una ripresa che ha modificato principalmente gli aspetti economici mentre la politica sociale richiedeva un percorso più lungo e complesso.
    La società, le famiglie, i costumi erano ancora condizionati da quella che era stata la cultura fascista e solo molto dopo gli anni ’60, quelli del cosiddetto boom economico, con la lotta dei lavoratori e dei giovani del ’68 e di quella femminista del ’70, molti stereotipi sono stati messi in discussione e un soffio di cultura nuova e migliore si è diffusa nelle coscienze. Il vento di cambiamento che ha investito l’Europa e l’Italia, soprattutto proveniente d’oltreoceano, l’espansine mediatica, l’espansione della vendita di elettrodomestici, il cinema, hanno contribuito a modificare i comportamenti sociali.
    Una sola cosa ha conservato la stessa drammatica specificità di sempre, la violenza contro il genere femminile. Essa è rimasta inalterata nel tempo, nella storia, nella cultura che hanno mantenuto le discriminazioni e gli stereotipi che continuano tutt’oggi ad alimentare atteggiamenti violenti.

    Violenza. Nella nostra grammatica un sostantivo femminile, nel nostro vocabolario “una forza impetuosa e incontrollata”, “un’azione volontaria, esercitata da un soggetto su un altro, in modo da determinarlo ad agire contro la sua volontà”, un’azione che si esplica in varie forme: assoluta, morale, fisica, privata e carnale.
    Quella che si scatena contro le donne è una e tutte insieme. Donne schiave, sfruttate, abusate, malmenate, uccise. Da sempre come sempre.

    Se è vero, come lo si afferma, che la ‘metà del cielo’ è composta da genere femminile, essa non può permettersi di contare meno di niente. La lotta delle donne contro questa violenza non può essere però portata avanti solo da una parte e, in questa tessitura, manca una delle parti più importanti e più colpita, che è quello delle donne musulmane.
    Quale è, l’anello mancante per arrivare a vivere una società condivisa e paritaria.

    “E’ sempre stato così!”. Un modo per liquidare il problema e non è vero. Perché se la violenza può dominare un donna, una donna che si ribella può dominare la violenza. La violenza si combatte solo disinnescandola, qualcosa che non può avvenire solo perseguendola per vie legali che puniscono ma non modificano. E’ necessario riflettere sull’importanza di modificare la cultura di genere attraverso una ridefinizione collettiva che approfondisca le cause culturali e sociali che determinano il mantenimento, la diffusione della violenza sulle donne.

    Fare conoscere questi fenomeni, affrontarli con prospettive altre da quelle riportate dalle cronache, può sviluppare un’attenzione diversa, una chiamata in causa per i più giovani, creare un processo collettivo di maggiore consapevolezza.
    Offrire canoni culturali nella educazione e nella formazione scolastica, giovanile, familiare e sociale, è una forma anche di prevenzione che passa attraverso l’utilizzo di strumenti come quelli delle relazioni tra persone, di trasmissione del linguaggio e delle immagini all’interno di un processo di dimensioni più ampie del fatto singolo.

    Mai in come questo momento appare necessario fare crescere la coscienza, che passi dall’individualismo all’ altruismo sociale.
    Tramettere un messaggio culturale diverso infine, che spinga le coscienze tutte a considerare la lotta contro la violenza sulle donne, un importante segno distintivo di civiltà.

     

    donne musulmane violenza
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    Marta Ajo
    Marta Ajò
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    Marta Ajò, scrittrice, giornalista dal 1981 (tessera nr.69160). Fondatrice e direttrice del Portale delle Donne: www.donneierioggiedomani.it (2005/2017). Direttrice responsabile della collana editoriale Donne Ieri Oggi e Domani-KKIEN Publisghing International. Ha scritto: "Viaggio in terza classe", Nilde Iotti, raccontata in "Le italiane", "Un tè al cimitero", "Il trasloco", "La donna nel socialismo Italiano tra cronaca e storia 1892-1978; ha curato “Matera 2019. Gli Stati Generali delle donne sono in movimento”, "Guida ai diritti delle donne immigrate", "Donna, Immigrazione, Lavoro - Il lavoro nel mezzogiorno tra marginalità e risorse", "Donne e Lavoro”. Nel 1997 ha progettato la realizzazione del primo sito web della "Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità" della Presidenza del Consiglio dei Ministri per il quale è stata Editor/content manager fino al 2004. Dal 2000 al 2003, Project manager e direttrice responsabile del sito www.lantia.it, un portale di informazione cinematografica. Per la sua attività giornalistica e di scrittrice ha vinto diversi premi. Prima di passare al giornalismo è stata: Consigliere circoscrizionale del Comune di Roma, Vice Presidente del Comitato di parità presso il Ministero del Lavoro, Presidente del Comitato di parità presso il Ministero degli Affari Esteri e Consigliere regionale di parità presso l'Ufficio del lavoro della Regione Lazio.

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