Dolci e gentili specialità torinesi.
A Torino vale la pena recarsi anche solo per le golosità dolciarie che offre, come zabaione e panna. Per Gloss, avvezza a rivalutare l’italiano aulico, la grafia è ‘zabajone’, ma ama più la panna montata. Predilige quella senza zucchero, come difficilmente si reperisce in negozio. A Torino ve n’è uno dei pochi che la fanno ancora artigianalmente. Locale storico aperto nel 1958, una latteria sabauda detta ‘delle sorelle’ a tre minuti da Piazza Castello, cuore di Torino, rappresenta il riferimento per chi ama i sapori antichi della tradizione. Famosa anche tra gli stranieri, non ha bisogno che Gloss le faccia pubblicità.
Una Bella Storia.
Prima Marta e Romola, Chiara poi, da ormai quasi sessant’anni propongono prodotti caseari di alta qualità, tra cui il dolce cremoso famoso come ‘panna da passeggio’, ottenuto dalla lavorazione del latte fresco insieme al burro a cui si aggiungono su richiesta gli aromi di zucchero a velo e vaniglia. Meglio gustare in purezza la boffice nuvolata di panna (boffice, sì, con la B: rende di più l’idea) oppure, per i golosi e le golose, è possibile farla decorare con gocce di cioccolato, granulato di biscotti tradizionali piemontesi, granella di nocciole. Gloss adora la cannella per aroma e proprietà antisettiche e digestive.
Il tuffo all’indietro nel tempo non lo si fa solo con panna montata e zabajone di uova fresche e marsala, ma con il primo saluto che viene pronunciato all’apertura della porta d’ingresso:
«Ceréa!»
É la voce allegra di Chiara, cui è passata la gestione nel 2016. Quanta gioia fa a Gloss il suo saluto piemontese, che simboleggia filosofia, cultura, stile di vita.
«Perché, Chiara, saluti chi entra con ‘ceréa’?» le chiese Gloss un giorno, tra una leccata e l’altra.
«Uso il ‘ceréa’ perché è il tipico saluto piemontese che risuona sulle acque del Po quando signorilità, educazione e fair play dei canottieri dello storico circolo torinese erano sinonimo di genuinità nelle relazioni sociali. Oggi è diventato un saluto raro almeno tanto quanto signorilità, educazione e fair play. Vedi, Gloss, sono cose che ormai si sono perse. Ma personalmente credo nella qualità dei rapporti tra persone, come credo nel gusto autentico del cibo. L’unica arma che ancora rimane ad attività come la mia è entrare in comunicazione con i clienti, facendo capire loro che scelgo sempre il meglio. Credo nei piccoli produttori, molto spesso sinonimo di genuinità. Cosa c’è di più bello d’altronde che sapere cosa si mangia?»
La Cultura Parte dal Cibo.
Passeggiando sotto ai portici della città, Gloss ripensa alle parole di Chiara:
«Il mio intento è quello di vendere e al tempo stesso divulgare una Vera Cultura del Cibo: una cultura tutta italiana che deve essere preservata, protetta e diffusa. In questi anni ho avuto modo di effettuare piccoli ma significativi cambiamenti in negozio, a partire dalle degustazioni di formaggi e salumi da asporto, alla comunicazione sui Social che mi hanno consentito di ampliare la mia clientela italiana ed estera, di coltivarla nel tempo e a distanza. Inoltre, ho attivato consegne a domicilio e spedizioni in Italia e all’estero. Ho fatto decollare collaborazioni con guide turistiche e piccole aziende locali.»
Ceréa.
Con la sua giovanile imprenditorialità, Chiara ha saputo rendere il negozio uno dei propugnacoli dell’eccellenza torinese, ricevendo negli anni diversi riconoscimenti fra cui ‘Impresa Storica d’Italia’ e ‘Maestri del Gusto’.
Adusa a penetrare le origini etimologiche della lingua, Gloss nota che la parola ‘cerea’ ha un’origine incerta e affascinante. Potrebbe derivare dal termine veneto ‘serèa’ (o ‘zerèa’), che significa ‘signoria’. In questo caso, ‘cerea’ sarebbe un’evoluzione di un saluto reverenziale, un modo per mostrare rispetto a qualcuno, come si faceva un tempo salutando la ‘signoria vostra’.
Un’altra teoria, però, collega ‘cerea’ al greco antico. La somiglianza con la parola greca ‘caireo’, che significa ‘gioire’ o ‘buongiorno’ suggerisce un’influenza della cultura greco-bizantina che si diffuse in Italia dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente.
E ‘cerea’ è anche un’erba aromatica, la santoreggia, dal gusto intenso e aromatico, pungente appena, come solo i torinesi sanno fare, in grado di occultare critica e pettegolezzi dietro a gentilezza e premura.
Cosa ne sarà stato delle scaffalature molto vecchie e del bancone tenuto su con dei mattoni?
La Storia del Negozio.
“Ai tempi, l’attività era un vero successo: come racconta spesso mia nonna, si arrivava a vendere oltre 600 litri di latte al giorno, consegnati a domicilio da mia zia Bruna. Il negozio non serviva solo clienti comuni, ma anche famiglie importanti e nobili della zona, come gli Agnelli. I loro cuochi e un ex cuoco della Casa Reale erano clienti abituali. Quest’ultimo in particolare aveva tramandato a mia nonna alcune ricette che lei, a sua volta, condivideva con gli altri clienti.”
Un Punto di Riferimento.
L’importanza del negozio è stata riconosciuta da molti giornali, tra cui “La Stampa”, “La Repubblica”, “Glamour” ed “Elle”, che hanno dedicato diversi articoli alla sua storia. Anche Carlin Petrini, fondatore di Slow Food, ha raccontato l’impegno delle fondatrici nel suo libro “Gente di Piemonte.”
«Le mie ave hanno comprato la licenza del negozio grazie ai sacrifici di tutta la famiglia. Hanno dimostrato la loro grande dedizione e io gliene sono grata, oggi, occupandomi al meglio dell’attività da loro avviata.»
Gratitudine.
La parola gratitudine è la chiave. Grata a Torino, alle sue invenzioni, e al torinese inteso come lingua, Gloss ha dedicato il romanzo ‘L’Isola nel Cielo’ in corso di pubblicazione. Racconta anche di un’anziana signora di Torino, Aonia, detta la nonna di tutti, nominata professoressa di italiano ad alta quota, il cui linguaggio è tenutario dei segreti significati di parole come crota o cioie. Il cosiddetto ‘Ponte delle Cioie’ di Bardonecchia, a esempio, è stato un luogo dove gli uomini privi di una donna con cui potevano reperire cioie da cui ottenere attenzioni a pagamento.
“Se non il patuà francoprovenzale, con Aonia si parlava il piemontese. A casa sua, l’insalata si mangiava nel grilèt. Quando scendeva a Torino, Aonia evitava i bar perché a suo avviso si beveva solo al torèt verde. Nelle sue relazioni femminili si trovavano, in ordine decrescente d’età, madame, madamine e tote. Ed era la conservatrice ufficiale delle ricette locali. A intrattenersi con lei, Argìa faceva un’immersione totale nella cultura piemontese, soprattutto gastronomica.’”
Estratto da ‘L’Isola Nel Cielo’ di Stefi Pastori Gloss.
Solo con la cultura salveremo il fair play.