Lezioni di felicità

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Ti lascia il tuo compagno per la tua migliore amica, sei costretta a fare un trasloco pesante, cominci a dirti che non vali una cicca e devi cambiare tutta, dalla cima dei capelli all’unghia del mignolo dei piedi. Tristezza, risentimento, rabbia, sensi di colpa e poi a poco a poco la grande scoperta: si può essere felici sempre, basta imparare a vivere come cani. O per dirla alla greca, con la scrittrice milanese Ilaria Gaspari (32 anni), da cinici.

Non ci credete? Buttate un occhio al suo “Lezioni di felicità” – Esercizi filosofici per il buon uso della vita”, pubblicato di recente da Einaudi. Scoprirete che è possibile. Certo, non si arriva su due piedi. Serve un percorso interiore, sulle orme di Socrate e del motto delfico Conosci te stesso per trovare le nostre di impronte. Ma alla fine, lei ne è convinta, la felicità su questa terra è impossibile solo se ci ostiniamo a confonderla con uno stato di esaltazione permanente. L’importante, però, è farsi aiutare dalle guide giuste. Ilaria, per esempio, il suo percorso introspettivo l’ha fatto con i filosofi dell’antica Grecia. Con i libri impolverati su cui ha studiato per ottenere il dottorato in filosofia alla Sorbona di Parigi e che ritrova per caso in una mega scatola da svuotare nella casa nuova. Prima Pitagora, poi Parmenide, Sesto Empirico e Pirrone, Epitteto, Epicuro e infine Diogene. Con ognuno di loro decide di trascorrere un’intera settimana per svolgere un bizzarro esercizio esistenziale.
“Per fortuna – spiega Ilaria – ho potuto scegliere maestri di scuole antiche che hanno saputo più di tutti i filosofi successivi mescolare pensiero e azione, corpo e mente, anticipatori in questo senso del mio grande maestro spirituale, Spinoza, che ha parlato per primo di affetti al posto di passioni. Pensa se avessi dovuto seguire Cartesio – il suo dualismo anima-corpo mi avrebbe distrutta completamente!”

Ma tra chi consiglia l’imperturbabilità, chi di diventare fachiri di fronte al dolore, chi di pensare che il male non esista in sé, ma sia solo un’apparenza, non ti saranno capitati quelli sbagliati, quelli che hanno un atteggiamento troppo passivo di fronte alla sofferenza, e insomma non sarebbe stato meglio ritrovarsi un Nietzsche?
“Niente affatto – ci dice Ilaria – intanto il filosofo tedesco deve tanto ai prearistotelici, si è formato con loro e poi sai che infelicità farsi sopraffare dal dolore? Loro, quelli negli scatoloni, invece, mi hanno insegnato che bisogna vivere il dolore, entrarci, ma senza farsi schiacciare. E ognuno di loro – preparandomi sempre al successivo – mi ha aiutata in questo percorso. I pitagorici mi hanno fatto superare la mia pigrizia ai limiti del patologico. Gli eleatici mi hanno insegnato che il tempo può correre in una direzione diversa da quella che scelgo io. Senza effetti collaterali. Con gli scettici ho appreso, invece, a diffidare delle mie sensazioni, con gli stoici a sopportare l’idea che certe cose non si possono cambiare. Con Epicuro ho cominciato a trattare i miei desideri con una familiarità scanzonata e a non essere avara di quello che provavo, come bisogna essere con gli amici. Ma chi ha dato il colpo di grazia al mio male – o ai miei mali, visto che qualcuno ci ha intravisto una mappa dei sette vizi capitali – è stato Diogene di Sinope, che si era dato il soprannome di Cane, il cinico, dove per cinismo si intende letteralmente l’imitazione del cane. I cinici misero al centro della loro dottrina un obiettivo: vivere, appunto, come cani, trasformando con foga quasi artistica ogni aspetto dell’esistenza in una professione di randagismo e ostentata fedeltà al dovere morale. Vivere per loro era vivere senza costrizioni sociali, senza orpelli, secondo la propria natura. Il cane è l’esempio di una vita così. Il nostro amico a quattro zampe vive con il corpo nel presente, perché non ha la percezione del tempo. Ignora il passato ed il futuro. E’ se stesso. Non finge. Noi, invece, sentiamo la necessità di apparire forti, sorridenti e sempre vincenti. Con Diogene ho scoperto che la felicità è una sorta di fedeltà alla propria vocazione, è avere il coraggio di apparire tristi quando lo siamo, di non inseguire modelli, è la consapevolezza che non si deve per forza lasciare una traccia e che si può pure scialacquare un po’ il tempo, tra hobby e amici. Ho scritto questo libro perché vedo troppa gente triste e arrabbiata. Non più di quanto doveva succedere anni fa, certo. La tristezza ha sempre le stesse radici. Solo che oggi forse la percepiamo in modo diverso. E siamo forse un po’ più frustrati. Abbiamo maggiori possibilità di vivere al meglio, ma avere tante possibilità non significa automaticamente poterle realizzare tutte anzi. Vorremmo avere il controllo di tutti gli aspetti della nostra vita: le tecnologie ci illudono che sia possibile, ma siamo umani. E allora? Proviamo intanto a rivedere l’idea che abbiamo di felicità, che non deve essereeuforia, esaltazione – uno stato d’animo alla lunga insopportabile – ma assomiglia a quella letizia di cui parlava Spinoza, ad un equilibrio silenzioso, ad una armonia pacifica. Dopo esserci conosciuti e aver scoperto la nostra essenza, potremo aspirare davvero alla felicità permanente e non solo a entusiasmi passeggeri ”.

La fede può essere una via alla felicità?
“Certo – risponde Ilaria – ma è alternativa a quella che ho scelto io. Se avessi avuto una fede assoluta non avrei forse provato tanto dolore. Ma sono un po’ panteista, credo in un dio che identifico molto nella natura e vivo uno strano e molto privato percorso spirituale – per questo ho scelto la filosofia”

Credi che soffrire sia più naturale che essere felici?

“No – ci chiarisce – ritengo che dolore e felicità in molte circostanze convergano. Pensa alla nostalgia. C’è la sofferenza per qualcosa che si è perso, ma c’è anche la consapevolezza che una cosa vada fatta e che quindi si sia dalla parte giusta”.

Ilaria oggi è felice. Ha capito che la fine di un mondo non corrisponde alla fine del mondo. Sarà stato Diogene? Il suo nuovo compagno? O, per paradosso, il suo ex ad offrirle la “facoltà di dare un nuovo inizio”, per dirla con la Arendt? Non si sa. Nel frattempo, la nostra amica ha lasciato il mondo della moda (ha lavorato per la maison Valentino dove vestiva i modelli per sbarcare il lunario) e quello accademico per diventare scrittrice. Nel 2015 è uscito per Voland il suo primo romanzo Etica dell’acquario e nel 2018 per Sonzogno Ragioni e sentimenti, un conte philosophique sull’amore. Collabora con alcune testate e tiene corsi di scrittura alla scuola Holden. Risiede a Roma.

Ci lascia con un consiglio: “Se non avete raggiunto la felicità, state lontani dal dualismo cartesiano: ricordatevi che siete una cosa sola fatta di mente e corpo. E che il tempo per vivere con il corpo e con la mente è qui e ora”

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Profilo Autore

Cinzia Ficco

Pugliese, classe ‘69, laureata in Scienze politiche, giornalista pubblicista, è responsabile del magazine www.tipitosti.it, il blog di chi non molla. Sposata, ha una bambina che si chiama Greta, si diverte a scrivere per lei racconti. Ha pubblicato Josuè e il filo della vita, Il re dalle calze puzzolenti, Tina e la Clessidra, con la casa editrice Edigiò. L’ultimo è Mimosa nel regno di sottosopra, pubblicato da Intermedia.

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