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    Home»Pari opportunità»Parità di genere»La spettatrice»L’infernale paradiso della D’Urso
    La spettatrice

    L’infernale paradiso della D’Urso

    Marta AjòBy Marta Ajò21/03/2019Nessun commento5 Mins Read
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    Barbara-DUrso-Live-Non-è-la-DUrso
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    Il 21 marzo, è andata in onda una delle peggiori pagine della nostra televisione il programma “Live – Non è la d’Urso”.

    Ieri sera, 21 marzo, è andata in onda ( mio avviso) una delle peggiori pagine della nostra televisione.
    Si trattava del programma “Live – Non è la d’Urso”, trasmesso da Canale 5 ogni giovedì sera.
    Un misto tra talk e varietà in cui vari ospiti vengono intervistati dalla conduttrice e messi a confronto con altre persone (del mondo dello spettacolo e dei media) che interloquiscono, criticano, accusano o difendono la persona in questione.

    La televisione in generale, sia pubblica che privata, non fornisce programmi di grande interesse e per chi non è appassionato di fiction o non voglia rivedere film ripassati decine di volta da una canale all’altro, le alternative sono veramente poche. L’attualità passa dai talk e più o meno a serate alterne questo genere viene garantito. Ma se una sera capita di non trovare quello che vorresti e “zappando” incappi in un’immagine paradisiaca è difficile sfuggire al suo richiamo.

    Una luce folgorante, che sprizza oltre lo schermo, accecante, mostra volti indistinti, emana sussurri, mostra sguardi luccicanti con espressioni alternate di gioia, emozione, meraviglia, allora si che l’estasi di quell’immagine ti avvolge e t’incolla almeno quel poco che serve per capire meglio dove siamo andati ad incappare.

    Poi, poco alla volta, le immagini prendono corpo, le voci si fanno più decifrabili e ci si trova “live” nel mondo di Barbara D’Urso. Che sembra più simile alla Campanellino di Peter Pan, fasciata da un abitino scintillante, strizzato fino ai fianchi per allargarsi a palloncino, anzi un tutù rimboccato che termina a metà coscia. Tutto sfocato da fari che la rendono evanescente, salvo i seni (che la stessa tiene molto a fare sapere che è tutta madre natura) e il nero contorno degli occhi. Senza contorni, le labbra si sfaldano e annullano in un tutt’uno con la luce attorno.
    Sembra quasi una visione! E quanti nel tempo e nella storia ne sono rimasti folgorati!

    Ma sono l’organizzazione che c’è dietro lo schermo, le macchine, i testi, le storie create che rendono questo paradiso live poco credibile, anzi infernale.
    Tutto quello che si vede, ci fanno vedere, si trasforma nella norma della vita e dietro quelle luminarie, i sorrisi, i baci, le finzioni emergono storie di persone a volte incredibilmente dolorose.
    Quello che è accaduto ieri sera.

    Fra i vari ospiti (ne vogliamo parlare?), l’unica di cui si può raccontare, anzi si deve, è una certa Paola Caruso.
    Premetto che non la conosco e non mi sono premurata di cercare in rete sue notizie. Mi è bastato vedere quello che ho visto.
    Questa giovane donna, si è presentata con un neonato di 15 giorni in braccio. La fatina D’Urso, quella “col cuore” come ama presentarsi, l’ha abbracciata prima di rigirarla come un pedalino ed è da quel momento che emerge il brutto copione che ben conosciamo nelle peggiori tradizioni.
    Lei e lui si amavano. Lei resta incinta e lui ne è felice. Il seme dell’amore cresce in pancia e la mamma, quella che dovrà partorirlo ed accudirlo smania, come anche tutti gli animali, per trovare un cuccia a protezione e la casa degli umani. Cresce la pancia e diminuisce l’amore. “Chi dice che sia mio figlio?” . Una nobile domanda su cui si sono fondate le più grandi mascalzonate di genere.

    Inutile dire che il padre scompare ma la madre decide di tenere il figlio comunque e inizia il cambio di pelle, diventando sempre più una leonessa che difende il proprio cucciolo.
    Ma la “leonessa” umana , che tale non è se non nel proprio immaginario, deve fare i conti con una società che presenta ancora anomalie tali da rendere la maternità un problema privato (salvo lamentarne il calo demografico).
    Allora, anche nel terzo Millennio, forse, andando dalla fatina D’Urso un miracolo può compiersi.

    Materna, spaventata, protettiva e sfacciata nell’esporsi (perché cosa non si fa per un figlio?) Paola chiede aiuto.
    Qualcuno potrà dire che non è nuova a mostrare sé stessa e il proprio corpo, come pare abbia fatto in altre circostanze, ma a me questo non è venuto proprio in mente.
    Perché ho visto una ragazza spaventatissima, che forse si accorge per la prima volta che il mondo in cui è incappata, dello spettacolo-televisione-commerciale non è bello-buono ma solo interessato.
    Ed anche venendo dalla D’Urso con la creatura, ignara di quanto si svolge attorno, non sei che questo. Uno sguardo ingiusto sui tuoi errori, la tua infelicità, disperazione, inutile bellezza.

    In questo paradiso televisivo, sotto la conduzione esaltata della fatina D’Urso, si è scatenato l’inferno e Paola è stata spolpata, usata, sfruttata, illusa che tutto si risolvesse per miracolo.
    La d’Urso ha usato tutto il potere che le viene dato da indubbi successi televisivi. Ha chiamato in causa il “mascalzone”, lo ha praticamente richiamato al dovere genitoriale ma esponendo l’altra alla morbosità del pubblico e dei media “gossip pari”.

    Infine non c’è che mandare a questa donna e a suo figlio auguri sinceri per il loro futuro (a prescindere dal “mascalzone” ), aggiungendo la speranza che, con loro, il destino sia meno cinico di come appare.

    Barbara D’Urso
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    Marta Ajo
    Marta Ajò
    • Website

    Marta Ajò, scrittrice, giornalista dal 1981 (tessera nr.69160). Fondatrice e direttrice del Portale delle Donne: www.donneierioggiedomani.it (2005/2017). Direttrice responsabile della collana editoriale Donne Ieri Oggi e Domani-KKIEN Publisghing International. Ha scritto: "Viaggio in terza classe", Nilde Iotti, raccontata in "Le italiane", "Un tè al cimitero", "Il trasloco", "La donna nel socialismo Italiano tra cronaca e storia 1892-1978; ha curato “Matera 2019. Gli Stati Generali delle donne sono in movimento”, "Guida ai diritti delle donne immigrate", "Donna, Immigrazione, Lavoro - Il lavoro nel mezzogiorno tra marginalità e risorse", "Donne e Lavoro”. Nel 1997 ha progettato la realizzazione del primo sito web della "Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità" della Presidenza del Consiglio dei Ministri per il quale è stata Editor/content manager fino al 2004. Dal 2000 al 2003, Project manager e direttrice responsabile del sito www.lantia.it, un portale di informazione cinematografica. Per la sua attività giornalistica e di scrittrice ha vinto diversi premi. Prima di passare al giornalismo è stata: Consigliere circoscrizionale del Comune di Roma, Vice Presidente del Comitato di parità presso il Ministero del Lavoro, Presidente del Comitato di parità presso il Ministero degli Affari Esteri e Consigliere regionale di parità presso l'Ufficio del lavoro della Regione Lazio.

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    Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo roman Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo romanzo, L’arte della gioia, uscito dopo la sua morte (nel 1996 a 72 anni) e solo grazie alla dedizione del marito, Angelo Pellegrino. Il libro vide la luce nel 1998 presso Stampa Alternativa (e poi nel 2008 da Einaudi). Tollerata dai salotti intellettuali del tempo, dove era entrata grazie alla sua lunga relazione con il regista Citto Maselli, Goliarda Sapienza fu sempre insofferente nei confronti del mondo intellettuale e borghese. Attrice, scrittrice, donna libera, più irregolare che anticonformista, chissà cosa penserebbe dell’interesse che sta suscitando in questo periodo non solo la sua opera ma anche la sua vita.

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Lo studio delle lingue straniere alimenta la curiosità e stimola la voglia di apprendere in molte discipline anche ben diverse, soprattutto se sostenute da una capacità imprenditoriale. Questo lo dimostra la storia qui di seguito riportata di Marialuisa Portaluppi da noi intervistata.
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