EMANUELA NICCOLI e GIULIA TURANO

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Giulia condivide lo studio con Emanuela Niccoli e dentro si percepisce un’atmosfera di estrema sintonia e condivisione. Ne è nato un tributo interessante e da qui si intuisce il “cemento” che lega la loro storia professionale.

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Conobbi Giulia a Roma mentre coordinavo i lavori di allestimento della mostra Homo Sapiens nell’ormai lontano 2012; lei era presente ogni giorno in cantiere come referente di una delle ditte che collaboravano alla realizzazione del percorso espositivo. Certo non era la dimensione più tranquilla e ideale per uno scambio amicale  ma comunque andò così che ci incontrammo e, sebbene distanti, non ci siamo più perse di vista. Quando ho invitato Giulia a dare il suo contributo alla rubrica dedicata al rapporto donne/architettura la sua proposta è stata quella di dedicarsi all’intervista a due voci con Emanuela Niccoli, con cui condivide lo studio dentro una atmosfera di estrema sintonia e condivisione. Ne è nato un tributo interessante e da qui si intuisce il “cemento” che lega la loro storia professionale.

Siete state incoraggiate dalle vostre famiglie nella scelta di studiare architettura?

  1. In realtà sarei voluta andare all’Isia a Urbino e studiare grafica, ma all’epoca la mia sembrava una scelta troppo bohemien, la facoltà di architettura invece, la scelta più ortodossa.
  2. La mia decisione è stata accolta con entusiasmo. Mio nonno, tre zii e tre cugini erano e sono architetti: un vizio di famiglia!

Architetto o architetta?

G&E. Serenamente architetto, senza connotazione di genere

Cosa significa per voi fare architettura oggi?

  1. Lo studio si occupa prevalentemente di ristrutturazioni d’interni. Un ramo della professione che considero particolarmente impegnativo perché ogni incarico vuol dire accompagnare il committente verso un nuovo capitolo della sua vita: il nostro lavoro è dare forma ai desideri più intimi e le aspettative non sempre espresse; vuol dire essere disposti ad intraprendere un percorso condiviso che io continuo a considerare romanticamente “un’avventura” fatta di certezze ma anche dubbi, ripensamenti e a volte conflitti necessari per arrivare al risultato finale, sempre inaspettato, sempre gratificante. Un lavoro difficile, che ci piace molto.
  2. L’architettura ha una ricaduta diretta sul benessere delle persone in termini di qualità dello spazio. Fare architettura per me significa innanzitutto essere consapevoli di questa responsabilità e sapersene fare carico, ciascuno nella misura della propria sfera d’azione e delle proprie capacità.

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A chi vi ispirate?

  1. Personalmente Charlotte Perriand, per me rimane un esempio sempre attuale di donna e professionista
  2. Bruno Munari, per la sua sistematica ricerca volta a far confluire il gioco nella tecnica, l’eccezione nella regola.

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E cos’è per voi la Bellezza?

G-E. La bellezza è nella semplicità, quando questa è il frutto di un processo di sintesi, un punto di arrivo. La stessa risposta univoca è la ragione che ci ha portato a lavorare insieme.

Come contestualizzate la sensibilità femminile in architettura?

  1. La sensibilità femminile ha a che fare con l’ascolto, l’accoglienza e la creatività.
  2. La femminilità dal mio punto di vista trova piena espressione nell’esercizio della dimensione più intima e “minima” dell’architettura, quella degli interni. Non rinuncio all’archetipo del focolare.

Affermarsi professionalmente è più difficile per le donne architetto?

  1. In ogni campo professionale le donne sono chiamate a mediare tra la propria affermazione professionale e le esigenze in ambito familiare
  2. Certamente. Lo è nella misura in cui noi donne viviamo in un sistema di ruoli estremamente più articolato.

Siete mai state discriminate nel corso della vostra carriera?

  1. Solo il tempo da dedicare al lavoro è stato un fattore discriminante. Per diversi anni ho condiviso lo studio con quattro colleghi uomini. A fine giornata ero sempre la prima a dover scappare via, e comunque in ritardo per chi aspettava il mio rientro.
  2. Il vero fattore discriminante, negli ultimi anni, anche per me è stato ed è tuttora il tempo; considero tuttavia un grande privilegio la possibilità di dedicare il resto del mio tempo alla cura della mia famiglia.

Com’è nata la scelta di aprire uno studio insieme condividendo la vostra attività progettuale? E da quanto tempo lavorate insieme? E prima di quest’esperienza comune svolgevate la libera professione?

G & E. Solo da due anni. Prima avevamo avuto modo di collaborare insieme in occasione di Open House Roma e alcuni incarichi professionali occasionali e capito di avere delle affinità di vedute. Poi…

  1. …Poi ci siamo ri-conosciute: entrambe libere professioniste da anni, abbiamo deciso di unire i nostri percorsi individuali. Le nostre affinità? Un comune senso etico ed estetico del lavoro e la capacità di cogliere gli aspetti spesso comici del nostro lavoro e della vita in generale.

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Qual è il progetto architettonico che vi è rimasto nel cuore?

  1. Per ora il progetto realizzato nel 2014, per casa mia e di Emma, mia figlia. E’ stata l’occasione per mettere in atto scelte che nessun cliente mi consentirebbe mai, soluzioni dal carattere sperimentale e non convenzionali. Naturalmente non è ancora finita.
    E. Il più imperfetto: quello con il quale ho trasformato la casa in cui sono nata e cresciuta nella casa dove far crescere la mia nuova famiglia.

 Cosa pensate dell’attuale situazione professionale delle donne architetto?

  1. Non è un problema di genere piuttosto di numeri. Siamo troppi!! Chi di noi non ha un architetto in famiglia?
  2. Ci muoviamo in uno scenario dagli orizzonti molto incerti. Vedo la professione come una sfida quotidiana dal carattere eroico, in fondo una rappresentazione della condizione umana.

Che rapporto avete, nel vostro lavoro di architetto e nel quotidiano, con la tecnologia?

  1. Oramai mi sono adeguata, l’importante è non farsi dominare e relegarla a mero strumento. E’ Emanuela che rilancia sull’utilizzo diversificato di programmi e sull’organizzazione in rete del nostro lavoro.
  2. E’ uno strumento imprescindibile sul quale investo personalmente tempo e dedizione. La tecnologia ci solleva dagli automatismi, facendosene carico e ci consente di dedicare le nostre migliori energie alla qualità del progetto.

Come è organizzato il lavoro, cosa riuscite a delegare e cosa seguite personalmente? Ricoprite ruoli diversi all’interno del vostro studio?

G – E. La delega richiede un grande impegno volto alla rinuncia del controllo, non solamente sul piano del lavoro in sé e per sé, ma anche su quello delle relazioni interpersonali: lo consideriamo uno dei temi cruciali di questa fase del nostro sodalizio professionale; ci stiamo lavorando.
Per quanto riguarda i ruoli all’interno dello studio, questi si sono delineati naturalmente. Giulia è abituata a curare i rapporti con i clienti, ha un’attitudine innata per tessere reti invisibili tra le persone. Emanuela è più schiva e incline a dedicarsi all’organizzazione del lavoro.

Quale è stato l’approccio nella guida dello studio?

G-E. Lo studio si configura come un luogo dove convogliare liberamente le nostre competenze e contestualizzarle in una griglia condivisa. C’è spazio per le iniziative virtuose, rispetto per le idee altrui e grande tolleranza. Anche i nostri interessi personali hanno trovato convergenza in una serie di iniziative che spesso travalicano i confini della disciplina architettonica, dimostrandosi terreno fertile per alimentare nuovi progetti. Il nostro studio è sempre a disposizione per mostre ed eventi che troviamo affini con il nostro modo di vedere le cose. Da un anno abbiamo intrapreso la collaborazione con la fotografa Severine Queyras per un progetto in divenire tra moda e architettura. Poi un impegno a cui teniamo molto, curare il rapporto con gli artigiani locali in quanto convinte che l’ottimizzazione del prodotto sia sempre frutto del lavoro collettivo tra saperi diversi.

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Che suggerimento dareste alle giovani colleghe? Consigliereste ad una ragazza di iscriversi ad architettura?

  1. Mi succede spesso che i ragazzi mi chiedano consigli. Il mio suggerimento è di andare via da Roma per studiare, all’estero per lavorare, avere grande passione e forte determinazione. Zaha Hadid una volta ha detto: “ If you want an easy life, don’t be an architect”
  2. A una giovane consiglierei di investire le proprie energie innanzitutto nella comprensione delle proprie passioni e poi nella loro piena dedizione al meglio delle proprie possibilità. Non il cosa ma il come, insomma.

Un oggetto di design e un’architettura a cui siete particolarmente affezionate

  1. La casa di Walter Gropius a Concord negli Stati Uniti. Un capolavoro di sintesi tra l’insegnamento della Bauhaus e l’architettura vernacolare del New England
  2. L’abitacolo di Munari è un esempio di design che esprime in maniera eccellente i temi della personalizzazione di uno spazio attraverso la modularità e il gioco.

Sul vostro tavolo da lavoro non manca mai….

  1. liste, liste, liste, ma senza mai una penna
  2. Carta, penna e una lista senza fine di cose da fare

Una buona regola che vi siete date?

G-E. Sdrammatizzare e non prenderci troppo sul serio

Il vostro working dress?

  1. Mi piacerebbe rispondere qualcos’altro, ma la verità è che il look è abbastanza casuale, in questo periodo poi lo studio è gelato quindi il mio dress code è quello da alpinista
  2. Ogni mattina mi sveglio e combatto contro il rischio di uscire di casa in pigiama per aver messo le esigenze di altri davanti al (poco) tempo a disposizione da dedicare alla cura della propria persona. Un buon risultato per me? Conquistare entro le h 9:00 am un aspetto ordinato e un abbigliamento sobrio, informale e al tempo stesso professionale.

 Città o campagna?

  1. Città per lavorare, la montagna per la rigenerazione e il riposo
  2. Considero la prossimità con la natura come un punto d’arrivo e l’immersione nella nostra Roma come una dipendenza che nutre lo spirito con la sua bellezza ma non sempre è salutare per via delle sue innumerevoli contraddizioni.

Qual è il vostro rifugio?

G-E. Casa dolce Casa

Ultimo viaggio fatto?

  1. Sono stata a Boston per Natale, ma l’ultimo vero viaggio è quello della scorsa estate in Russia. Mia figlia Emma è andata per un campo di volontariato nella regione dell’Arcangelo a 18 ore da Mosca. Io l’ho raggiunta e abbiamo fatto un viaggio fantastico, oltre le aspettative.
  2. Un coast to coast nostrano: Puglia-Basilicata-Calabria-Sicilia e ritorno in macchina con mio marito e mio figlio. Non era la prima volta e la sensazione è sempre la stessa: amiamo avere il Tirreno alla nostra destra e rispondere al richiamo del profondo Sud.

Il difetto maggiore di ciascuna di voi?

  1. Io sono cronicamente in ritardo…
  2. Sono una maniaca del controllo, in fase di pentimento.

E la cosa che apprezzate di più del vostro carattere? E dell’altra?

  1. Io sono più estroversa, Emanuela è una persona molto equilibrata…una cosa ci accumuna però, l’ironia. Stemperiamo tutto con grandi risate liberatorie…
  2. Il mio punto di forza è la perseveranza: messo a fuoco un obiettivo, senza fretta costruisco le vie per raggiungerlo. Di Giulia apprezzo esuberanza e determinazione, mitigate da uno stile “british” irresistibile.

Un rimpianto?

  1. Non aver avuto esperienze di vita in altre città. Ma non è ancora detto…
  2. Ne ho uno, e lo affronto godendo pienamente di tutto ciò che ho di più caro.

Work in progress ….?

G-E. Non perdere di vista il vero obiettivo: adoperarsi per essere felici!

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Profilo Autore

Marisa Coppiano

Marisa Coppiano, architetto | concept designer | exhibit designer Dopo un master alla Domus Academy con Gaetano Pesce nell’ambito dei Nuovi Modelli Abitativi, Marisa Coppiano è stata per dieci anni responsabile dell’attività espositiva della Regione Piemonte. Ha progettato gli spazi deputati all’exhibit e l’allestimento di mostre e grandi eventi organizzati dall’ente in Italia e in altri paesi europei. Ha collaborato con diversi istituti, in qualità di docente nella disciplina Allestimenti. Dalla passione che Marisa Coppiano nutre per il “progettare” è nato N4STUDIO;

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