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    Home»"D" come Donna»Letizia Ciancio e il tempo del cambiamento
    "D" come Donna

    Letizia Ciancio e il tempo del cambiamento

    Caterina Della TorreBy Caterina Della Torre23/10/2017Updated:23/10/2017Nessun commento18 Mins Read
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    Letizia Ciancio, manager e scrittrice. Scrivere è sempre stata la sua prima passione, anche se comprende benissimo che non avrebbe potuto essere uno strumento di vita… Scrive principalmente per condividere conoscenze, idee e ragionamenti che possano innescare nel lettore domande e riflessioni nuove.

     

    letizia-ciancio-fotoDalla tua prima intervista su Dol’s è passato molto tempo ma tu, vulcanica come sei, non sei stata ferma. Sei passata da ”Essere padre essere madre” a ”Il cambiamento possibile”. Cosa accomuna queste due esperienze?

    “Il cambiamento possibile” è il seguito di “Essere padre Essere madre” ed entrambi fanno parte di una ideale Trilogia Postmoderna, che ho in serbo per un’eventuale riedizione, da completare con il testo più difficile dei tre, “TEMPO! Riflessioni in lungo e in largo”. Oggi, infatti, dobbiamo fronteggiare sfide epocali e che implicano un radicale cambio di paradigma, ma restano inamovibili alcuni “fondamentali”, che fanno da comun denominatore ad ogni evento in ogni epoca storica e che mai verranno meno: la GENERATIVITÀ, sublimata nella genitorialità, il CAMBIAMENTO, come motore intrinseco della Vita in quanto tale, il TEMPO, come dimensione tanto essenziale quanto esclusivamente umana dell’esistenza. Ho voluto quindi esaminarli singolarmente, dedicando a ciascuno una monografia, ma preservando in ogni testo il legame profondo con gli altri. Ciò che li accomuna dunque è un approccio di tipo “sistemico”: osservo cioè ogni argomento dai punti di vista delle diverse discipline – antropologia, sociologia, psicologia, fisiologia – come fossi “poliglotta/interprete culturale” e ne osservo le intersezioni. Essere padre Essere madre si conclude, del resto, con un capitolo intitolato ”Danzare la complessità. Il tempo del cambiamento”, puoi quindi già osservare la presenza degli argomenti successivi, tempo e cambiamento… La sfida di oggi è gestire una complessità che aumenta rapidamente; così nei testi, a seconda dell’argomento, spiego cosa fare, perché e come, analizzando a fondo i meccanismi psichici individuali e collettivi che sono alla base delle dinamiche sociali che osserviamo quotidianamente, nel contesto famigliare come in quello aziendale o politico.

    Il cambiamento che stiamo vivendo dove ci porterà? Verso una risoluzione delle controversie o ad un sempre maggiore inasprirsi dei rapporti economici, culturali, religiosi, generazionali?

    Innanzitutto ricordiamoci che il cambiamento è un dato di fatto, non un atto di volontà, perché vivere comporta processi di adattamento continuo. La volontà si esprime dunque nella DIREZIONE/VERSO in cui dirigersi e nella VELOCITA’/RITMO con cui procedere. Ricorda anche che l’aumento di complessità di un sistema, comporta una maggiore difficoltà nella sua gestione, proprio perché si moltiplicano le interazioni tra le parti. Ciò significa che per guidare un risultato occorrerà una governance molto più impegnativa e coerente. Se dunque per “cambiamento” intendevi in generale l’aumentata complessità in cui siamo immersi, causata principalmente dalla rivoluzione tecnologica digitale, si potrebbero verificare entrambi gli scenari, a seconda di come verrà governata. Mi spiego meglio: non c’è una relazione diretta tra cambiamento/complessità ed esito positivo/negativo delle controversie, perché l’esito dipenderà dal modo in cui verrà gestita la complessità, dato che questa, in sé stessa, provoca “solo” una maggior difficoltà di governo. La tecnologia a sua volta, può aiutare questa gestione purché venga orientata da un fine chiaro e condiviso. Il punto quindi non è tanto il cambiamento in quanto tale, perché l’evoluzione umana è da sempre caratterizzata da stravolgimenti epocali; il punto è decidere DOVE vogliamo andare, che tipo di mondo vogliamo realizzare nel lungo periodo. Se questa VISIONE è chiara e gli strumenti tecnologici vengono usati a tal fine, le controversie si risolveranno meglio; se viceversa la visione è confusa, o non vi è accordo di visione, si tenderà ad invertire lo strumento con il fine, e la tecnologia diventerà lo scopo a cui asservire gli individui, con conseguenze catastrofiche.
    L’inasprimento dei rapporti, di qualsiasi tipo, è un dato evidente oggi e scaturisce dalla sostanziale incapacità di governare la complessità che noi stessi abbiamo generato. Questa incapacità deriva, prima ancora che dalla mancanza di una visione chiara e condivisa, dall’accelerazione esponenziale dei processi, conseguenza lampante della rivoluzione digitale. Non tutti i processi, infatti, possono essere accelerati, ovvero alcuni possono esserlo più di altri. Così, ad esempio, posso velocizzare l’apprendimento attraverso un metodo efficace e alcune agevolazioni logistiche, posso velocizzare la fabbricazione di un’automobile attraverso l’automazione, ma non posso accelerare oltremodo la costruzione di un rapporto di fiducia tra due individui, o la coesione all’interno di un gruppo, o la modificazione sostanziale di una Cultura: in generale i processi umani, le relazioni, la Cultura, sono fenomeni che si costruiscono molto lentamente, sulla base di relazioni ripetutamente confermate, che richiedono costanza e dedizione, un po’ come la crescita d un albero. Per questo, oggi più che mai, dovremmo porre maggior attenzione alla qualità dei rapporti umani… perché sono i più minacciati, a dispetto della velocità con cui li aumentiamo in quantità, dall’illusione di facilità cui la tecnologia ci ha abituato. Se vogliamo dunque (ri)orientare il cambiamento nel verso positivo, dobbiamo sviluppare ancora di più la capacità di SCEGLIERE tra le molteplici offerte di prodotti, come tra le mille possibilità affettive. L’incredibile ricchezza e varietà di opzioni che abbiamo creato, richiede infatti lo sviluppo di una altrettanto solida capacità di scelta all’interno di una libertà che pare infinita. Perché la libertà, se non racchiusa entro certi limiti, diventa la più feroce delle prigioni.

     

    essere-padre-madreEssere madre e padre oggigiorno è più difficile che in passato? E se sì, perché?

    Essere genitori oggi è terribilmente più difficile, oserei dire una vera sfida! Lo è perché siamo chiamati a governare una infinita molteplicità di stimoli che investono i nostri figli, con strumenti meno forti di prima e soprattutto con molto meno tempo a disposizione. Nell’analizzare il quadro, devi infatti tenere conto simultaneamente di vari fattori: da un lato la rivoluzione digitale, che ha aperto le porte indiscriminatamente e gratuitamente a qualsiasi tipo di informazione, dalla pornografia ai videogiochi, passando per la violenza e la cronaca, senza quasi alcuna possibilità di controllo sui contenuti cui essi accedono; dall’altro le classiche istituzioni educative – famiglia, scuola e parrocchia – vanno perdendo autorevolezza, in buona parte per l’affermarsi di nuovi contesti e mentori digitali (influencer, you tuber, etc.), d’altro canto i genitori, stretti dalla precarizzazione del lavoro e da un crescente impoverimento, hanno sempre meno tempo per offrire orientamento ai figli, e in prima istanza per orientarsi loro stessi. In pratica, un caos! E non si tratta di coccolare i figli per proteggerli nella nuova “giungla 4.0”… si tratta più semplicemente di essere in grado di sostenere i figli nel disegnare un loro progetto di Vita, una visione generativa e creativa del futuro. E questo è reso ancor più difficile dal fatto che, nel frattempo, gli stessi genitori hanno spesso perso il loro progetto di Vita strada facendo, o perché si sono ritrovati senza lavoro, o perché si sono separati dai rispettivi coniugi o perché magari è insorta una malattia grave che ha sconvolto i piani famigliari. Ad una complessità crescente, la società ha viceversa risposto riducendo le infrastrutture di supporto e sottraendo sempre più tempo… il che non mi sembra essere una risposta efficace!

    Sempre meno madri biologiche in Italia tra le connazionali. Sempre più donne assoldate ‘per fare un bambino’ nei paesi poveri e non. Un cambiamento etico quindi?

    Questo è un tema molto delicato e complesso, impossibile da sintetizzare in poche righe e sul quale, peraltro, riformulo spesso l’opinione in base alle interlocuzioni con persone di posizione differente. Detto questo, occorre prima precisare alcune note di metodo e una cornice di riferimento. Innanzitutto teniamo distinti (se pur correlati) il piano psicologico del Desiderio (sempre legittimo) dal piano sociale del Diritto (non sempre lecito); successivamente, facendo una sorta di “settaggio semantico”, accordiamoci prima di discutere, sul significato che attribuiamo a vari concetti in esame (paternità, maternità, famiglia, ecc.) per parlare tutti la stessa lingua; infine, definiamo l’ordine di priorità entro cui discutere di un tema così difficile, in un contesto gravemente offeso da problemi più urgenti e più diffusi. Sarebbe il caso, inoltre, di avere ricerche attendibili che possano indicare, nel lungo periodo, le eventuali ricadute sui figli nati da queste alchimie. Si tratta di indagini longitudinali molto complesse (e costose), sulla cui priorità mi interrogo, nella misura in cui a buona parte del pianeta mancano ancora i fondamentali per vivere dignitosamente. Infine, anzi a monte, mi pongo la domanda: cui prodest? A beneficio di chi va la GPA? Del figlio potenziale? Ho i miei dubbi…

    Oggi più che mai, credo che dovremmo smettere di guardarci l’ombelico e dovremmo viceversa pensarci tutti cittadini del mondo, consapevoli del disagio vissuto dall’altra parte del globo, inevitabilmente legato anche al nostro benessere. Non possiamo restare indifferenti, per egoismo o fragilità, attaccati ai nostri singoli bisogni/desideri. Un simile modello di sviluppo non è più sostenibile, né sul piano sociale né sul piano economico. La vera sfida oggi è armonizzare, governare, redistribuire, rigenerare… non inventare ulteriori modi per aggirare gli ostacoli che abbiamo creato da soli! Il problema del calo demografico nei paesi sviluppati (e l’Italia è nella top ten..) non può essere affrontato con le magie della scienza… ma va prevenuto intervenendo alla radice, per una più sana e bilanciata economia delle nostre risorse di energia, tempo e relazioni. Noi abbiamo rovesciato il fine con il mezzo: il lavoro, da strumento per costruire la propria identità e vivere adeguatamente alle proprie aspirazioni, è diventato fine in sé stesso, a cui sacrifichiamo ciò che è alla base della società, la famiglia, comunque la si voglia intendere. Così la tecnologia, da strumento per liberare tempo da dedicare alla cura delle relazioni e alla crescita personale/culturale/cognitiva, è diventata fine in sé stessa in nome di una innovazione “a prescindere”… e finiamo così per risparmiare tempo per poterlo occupare sempre di più e produrre una ricchezza che però non genera Valore Sociale condiviso, ma arricchisce al massimo una manciata di individui sull’intero pianeta. Così, se l’atto altruistico per antonomasia, la generatività biologica, viene associato alla produzione di un bene, né più né meno della produzione di un plum cake… allora davvero siamo al capolinea… Perché avremo perso ciò che di più magico distingue l’essere umano dall’animale, la sua capacità simbolica e immaginativa. Non si tratta quindi, a mio parere, di un cambiamento di etica, ma di una perdita di orientamento, d’incapacità di definire le priorità, di confusione tra fini e mezzi, più in generale di una mancanza di Senso e di Visione.

    il-cambiamento-possibileLa fluidità della vita e dei rapporti interpersonali è un bene o un male? O è semplicemente la realtà quotidiana?

    Anche qui, stiamo attenti a non sovrapporre i piani di analisi: un conto sono i fatti, un conto sono i giudizi di valore su quei fatti. La fluidità, come dici anche tu, è un dato di fatto, generato in prima istanza dalla rivoluzione digitale e poi esteso ai rapporti interpersonali. Se sia un bene o un male, dipende – ça va sans dire – dall’uso che se ne fa. Può essere un bene, se permette una maggior libertà nell’espressione delle differenze individuali, ma un male nel momento in cui crea confusione, rendendo più difficile definire con pochi semplici passaggi chi siamo e dove vogliamo andare. Di sicuro, comunque, la fluidità è più difficile da gestire, e impone a ognuno di noi un salto qualitativo dal punto di vista della maturazione personale e della consapevolezza di sé. Che si sia genitori o meno, oggi è sempre più difficile “indossare il vestito” del ruolo che abbiamo deciso di interpretare nel palcoscenico della vita, sia esso professionale o affettivo, perché la realtà in cui siamo immersi cambia continuamente i parametri di riferimento… Oggi non possiamo eludere l’impegno a riempire quel contenitore, di “sostanza muscolare” – identità, senso – affinché ci si possa all’occorrenza cambiare giacca senza per questo trovarsi improvvisamente privati dell’identità. Così, non solo dobbiamo dotarci, per così dire, di un guardaroba più vario e più adattabile alle varie circostanze (feste, serate tra amici, incontri professionali…), ma anche di curare il corpo che andrà ad indossarli, affinché possa, con altrettanto appeal e naturalezza, vestire in jeans quanto in abito da sera… Fuor di metafora, per governare, rimanendo psichicamente stabili, tale e tanta fluidità, dobbiamo diventare molto più consapevoli di noi stessi, dei nostri meccanismi psichici e comportamentali, mettendo sempre a fuoco il Senso che vogliamo dare alla nostra Vita e gli obiettivi attraverso cui vogliamo realizzarlo.

    Le donne di tutto il mondo stanno vivendo un momento difficile: Se da una parte hanno il coraggio di denunciare, dall’altre incontrano un muro maschile che non e aiuta. Cosa consiglieresti di fare?

    La difficoltà per la verità la stanno vivendo tutti, anzi, i maschi per certi aspetti molto di più… solo che lo sono su un piano diverso: esistenziale/archetipico e non sul piano del potere concreto, cui – evidentemente – tendono ad aggrapparsi… Il modo in cui impatta la complessità attuale, differisce infatti moltissimo tra uomini e donne nel tipo di risposta innescata. Nei secoli, le donne hanno dovuto combattere per ritagliarsi spazi fisici di autonomia, relegate com’erano tra le mura domestiche ed incastonate nel ruolo di madri e mogli; la loro fragilità era riconducibile al ruolo/stereotipo sociale, mentre sul piano esistenziale, in maniera più o meno inconscia, le donne possiedono una forza psicologica che deriva dal loro potenziale procreativo. Gli uomini viceversa, nei cambiamenti epocali, hanno dovuto affrontare un problema totalmente diverso che si colloca proprio sul piano simbolico esistenziale e che è legato all’archetipo che li vede maschi se forti e dominanti. Così la letizia-ciancio-raccontadolcezza, la cura dei figli, se da un lato valorizza meglio la persona e li completa, d’altro canto confligge intimamente e inconsciamente con un archetipo ancestrale legato alla loro natura originaria: il “maschio che non deve chiedere mai”… come recitava un noto slogan pubblicitario anni fa. Ad ogni modo, e per evitare distorsioni e riduzionismi del mio pensiero, invito a leggere il mio primo libro, “Essere padre. Essere madre. Storia di un’avventura”, dove analizzo punto per punto l’evoluzione di uomini e donne sul piano simbolico/archetipico e culturale/sociale, tracciandone un racconto attraverso la rilettura dei miti, delle religioni e dei fatti storici.
    Tornando alla tua domanda quindi, credo che l’unico modo per uscirne tutti vincenti, sia iniziare a giocare insieme sullo stesso tavolo: coinvolgere gli uomini, ex violenti o meno, deve diventare un must. Perché il loro punto di vista, alle prese con il mondo femminile attuale, è preziosissimo a capire i meccanismi psichici che la complessità attiva nel loro cervello. Poi, ogni caso è un caso a sé, frutto di una complessa serie di intersezioni che portano in gioco esperienze affettive remote, educazione ricevuta, situazione contingente, ecc… pertanto è impossibile tracciare facili conclusioni e relazioni lineari di causa-effetto. Ma è possibile definire cornice e metodo di riferimento. Tutti devono essere coinvolti, perché la sfida è gestire in armonia una relazione uomo-donna già difficile di per sé, in un contesto instabile e oggettivamente sempre più complicato. E al di là di quanto spetta alle istituzioni come soluzioni (cabine di regia, tavoli d’incontro tra enti, ecc.), ognuno di noi deve recuperare un po’ di sano buon senso, riportando i fatti alla loro oggettività, scevri dalle distorsioni mediatiche e spolverati da inutili generalizzazioni e strumentalizzazioni. La relazione uomo-donna è più difficile da governare oggi che in passato, perché il confine del campo di gioco si è allargato, in termini di ruoli e di libertà reciproche, di conseguenza va, in parte, riportato alla responsabilità dei singoli nel curare la RELAZIONE, approfondendo la conoscenza di sé e dell’altro in vista di un obiettivo comune, di un progetto di vita condiviso. Insomma, sarò ripetitiva, ma, al netto dei limiti imposti dalla legge ed entro i confini della “normalità”, dobbiamo soprattutto prevenire l’innescarsi di dinamiche violente, lavorando sin da piccoli sia sui maschi che sulle femmine, per apprendere meglio i reciproci linguaggi e codici comportamentali e imparare con ciò a conoscere meglio anche sé stessi.

    letizia-ciancio-foto-altraIl mondo maschile reagisce violentemente per paura? Quali elementi che non vengono quasi mai elencati influiscono sullo stupro?

    Certamente la paura è un fattore implicato: paura di perdere potere da un lato, ma soprattutto paura di perdersi… di perdere identità. Come ho approfonditamente analizzato nel libro, uomini e donne, nei secoli, hanno affrontato i cambiamenti epocali con presupposti archetipici e psichici diversi, di conseguenza con effetti diversi e, soprattutto, su piani logici diversi. A livello di ruolo sociale e di conquista di spazi decisionali reali, la donna; sul piano identitario ed esistenziale, l’uomo. Ciò che manca sistematicamente nell’analisi del complesso quanto eterno problema della violenza sulle donne, sono gli elementi archetipici che soggiacciono, inconsciamente, nel profondo della psiche maschile e femminile. Si tratta di immagini ancestrali e legate alle nostre origini animali primitive, che hanno favorito nel tempo il consolidarsi di strutture cerebrali e automatismi comportamentali funzionali alla sopravvivenza. Non descriverò qui tali aspetti, per esigenza di sintesi e perché li ho già sufficientemente delineati nel libro, che invito tutti a leggere; mi limito a ricordare che la complessità attuale, al netto delle cause affettive personali, educative e culturali, attiva più facilmente archetipi inconsci che possono aggiungere ulteriori elementi di complessità alla situazione. Semplificando il più possibile e per rendere visibile in parte il mio pensiero, l’essere maschio è da sempre legato all’archetipo del “mana”, la forza, il dominio; il femminile viceversa è legato ad un fortissimo archetipo, quello della Grande madre, colei che deteneva il triplice potere di nascita, morte e rigenerazione, in pratica la completezza del ciclo vitale. Il femminile quindi sorge, per via dell’ignoranza arcaica sui meccanismi riproduttivi, assieme ad un’autonomia totale della donna. Per questo le divinità femminili erano vergini…. Non certo perché non avessero rapporti, ma perché erano partenogenetiche, autogenerative cioè autosufficienti, autonome dall’uomo, quindi “forti” in senso lato. Il maschio, a livello simbolico, compare solo successivamente nei miti, parallelamente alla scoperta della ciclicità/temporalità dei fenomeni della natura; egli nasce dunque prima come figlio della dea, poi come padre… Insomma, non voglio svelare tutto, ma se andiamo a rileggere i miti e le favole, ricettacoli meravigliosi dell’evoluzione psicologica e cognitiva del genere umano, troviamo una parte delle risposte; certo non risolvono, ma aiutano ad inquadrare meglio il problema e a umanizzare gli uni e gli altri, riportando tutti alle proprie fragilità come individui, alle prese con la sfida per antonomasia: l’alchimia tra gli opposti maschile e femminile!

    Sei spesso occupata con associazioni in politica. Come mai le donne non sfondano?

    Ci sono vari elementi direi, che vanno dagli aspetti psicologici legati al rapporto che le donne hanno con il “potere”, molto diverso da quello che hanno gli uomini, ad aspetti meramente pratici, legati ai doppi e tripli ruoli che queste ricoprono nella società. Non voglio dilungarmi in sofisticate analisi psicologiche del primo aspetto, che risulterebbero necessariamente riduttive in questo contesto; mi limito a dire però, che, dove per gli uomini il potere è tendenzialmente un “prolungamento fallico”, cioè una estensione della loro “potenza” a conferma della propria virilità, per la donna – che possiede implicitamente il potere primo – dare la vita – l’affermazione di sé, è più spesso legata alla possibilità di generare realmente un cambiamento. Ovviamente con questo non voglio dire che tutti gli uomini cerchino solo il potere fine a sé stesso e che tutte le donne siano propense a salvare il mondo, ci mancherebbe! Ma voglio rendere consapevoli di alcune differenze archetipiche che soggiacciono alla psiche maschile e femminile, e che fanno da sfondo – a livello inconscio – ai comportamenti degli uni e delle altre.
    Detto questo e per quella che è la mia esperienza personale, trovo comunque che il principale ostacolo sia essenzialmente una CRONICA MANCANZA DI TEMPO in cui le donne, a qualsiasi livello – sono immerse, costringendole a ridefinire le priorità in una scala di valori in cui, se hanno figli piccoli, tenderanno ad assecondare il loro senso di responsabilità, sacrificando aspirazioni personali che pensano (sperano) di poter procrastinare. Il punto è che molto spesso, nel giovanilismo imperante che fa tanto “innovazione”, il procrastinare anche solo di pochi anni significa molto spesso uscire fuori dai giochi e perdere il posto. Detta in parole povere, le donne molto spesso non sfondano semplicemente perché, nell’economia del loro tempo e delle loro priorità, non gli restano spazi sufficienti per farlo…

    Infine il lavoro. Ti continua a dare soddisfazioni o preferisci dedicarti alla scrittura?

    Il lavoro come atto sociale mi darà sempre soddisfazione, perché rappresenta il mio piccolo contributo alla costruzione di un mondo migliore. Il lavoro per cui mi pagano al momento, sicuramente un po’ meno, visto il degrado generale che soprattutto in Italia sta subendo il mercato professionale. Scrivere resta sempre la mia prima passione, ma di certo non ci potrei vivere… Io scrivo principalmente per condividere conoscenze, idee e ragionamenti che possano innescare nel lettore domande e riflessioni nuove; in questo modo aspiro ad aiutare gli altri a meglio orientarsi nella complessità contemporanea. Sarebbe comunque meraviglioso se desiderio e necessità, passione e strumentalità potessero ricongiungersi… ma la storia insegna che chi vuole davvero essere innovatore e visionario, non avrà mai dalla parte i numeri, perlomeno nel proprio tempo. Nel lavoro dunque, qualunque esso sia, cerco sempre la possibilità di lavorare con passione, vedendo valorizzato il merito, e la possibilità di garantire alla mia famiglia uno stile di vita adatto alle proprie aspirazioni attraverso formazione, esperienze e contesto sociale corrispondenti. Insomma, l’ideale sarebbe un giusto equilibrio tra tempo e denaro che è poi la vera conquista…

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    Caterina Della Torre
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    Proprietaria di www.dols.it di cui è direttrice editoriale e general manger Nata a Bari nel 1958, sposata con una una figlia. Linguista, laureata in russo e inglese, passata al marketing ed alla comunicazione. Dopo cinque anni in Armando Testa, dove seguiva i mercati dell’Est Europa per il new business e dopo una breve esperienza in un network interazionale di pubblicità, ha iniziato a lavorare su Internet. Dopo una breve conoscenza di Webgrrls Italy, passa nel 1998 a progettare con tre socie il sito delle donne on line, dedicato a quello che le donne volevano incontrare su Internet e non trovavano ancora. L’esperienza di dol’s le ha permesso di coniugare la sua esperienza di marketing, comunicazione ed anche l’aspetto linguistico (conosce l’inglese, il russo, il tedesco, il francese, lo spagnolo e altre lingue minori :) ). Specializzata in pubbliche relazioni e marketing della comunicazione, si occupa di lavoro (con uno sguardo all’imprenditoria e al diritto del lavoro), solidarietà, formazione (è stata docente di webmarketing per IFOA, Galdus e Talete). Organizzatrice di eventi indirizzati ad un pubblico femminile, da più di 10 anni si occupa di pari opportunità. Redattrice e content manager per dol’s, ha scritto molti degli articoli pubblicati su www.dols.it.

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Appunti di viaggio.

Di Alfredo Centofanti

Bari. La città vecchia è un labirinto di vie che raccontano infinite storie. Inarrestabile è il vociare degli abitanti nel dialetto locale, dei tanti turisti stranieri, dei pellegrini che da secoli vengono qui per venerare San Nicola, amato tanto dai cattolici quanto dagli ortodossi.
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    Di cibo e di amore

    Di cibo e di amore - Marta Ajò - copertina

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