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    Home»Costume e società»AFGHANISTAN E LA VIOLENZA SULLE DONNE
    Costume e società

    AFGHANISTAN E LA VIOLENZA SULLE DONNE

    Rita CugolaBy Rita Cugola29/08/2016Updated:29/08/2016Nessun commento4 Mins Read
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    donne afghane-diritti
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    AFGHANISTAN. LA VIOLENZA SULLE DONNE ESULA DAL CONTESTO GIURIDICO

    Oltre che all’esautorazione dei regime Taliban, la spedizione in Afghanistan – promossa dagli Usa in seguito all’attentato terroristico dell’11 settembre 2001 – avrebbe dovuto contribuire ad alleviare le annose sofferenze della popolazione femminile locale, costantemente oggetto di soprusi ed emarginazione sia in ambito sociale che tra le pareti domestiche (aspetto rimarcato con particolare enfasi anche dall’allora first lady statunitense Laura Bush). Ma così non è stato.

    Contravvenendo a ogni aspettativa, il capo di stato Hamid Khan Karzai, eletto nel 2004 con l’appoggio occidentale, non ha saputo infatti varare quelle riforme drastiche e incisive passibili (forse) di incidere significativamente sul futuro del paese. Il risultato è che a dispetto dei precetti costituzionali di uguaglianza e tutela, le afghane hanno continuato a incarnare un simbolo di negazione dell’esistenza stessa. Lapidate, incendiate, aggredite con l’acido, bastonate, torurate, barattate a saldo di un debito, incarcerate per aver cercato di sfuggire a un marito violento e vendute (magari in tenera età) a scopo matrimoniale.

    “Purtroppo gli abusi persistono perché tali reati esulano dal contesto giuridico“, ha confermato Veeda Saghari, militante a favore della causa femminista. Il netto aumento del tasso di violenza sulle donne – recentemente denunciato dal governo britannico – è stato avvalorato da un rapporto dell’Afghanistan Independent Human Rights Commission, in base al quale “solo nel primo semestre del 2016 sono stati registrati 5.132 casi di maltrattamenti e 241 femminicidi“.

    Eppure, rispetto al quinquennio caratterizzato dall’oscurantismo talebano, qualche timido progresso è stato compiuto.

    Circa nove milioni di ragazzine hanno ripreso la frequenza scolastica (interdetta per una decade) e il beneficio dell’assistenza sanitaria (in precedenza riservato quasi esclusivamente agli uomini) è stato esteso all’intera cittadinanza, fattore che ha consentito di ridurre notevolmente il numero dei decessi dovuti al parto (dai 1.340 attestati nel 1990 a fronte di 100mila nascite ai 396 del 2015).

    In costante crescita invece il tasso occupazionale, almeno nei maggiori agglomerati urbani. Se alcune afghane hanno optato per una carriera professionale autonoma, altre sono state inglobate nei settori sociale, didattico (la percentuale delle insegnanti è pari al 33%) giudiziario (240 i giudici di sesso femminile) e della sicurezza.

    Tra l’altro, proprio all’attuale presidente Ashraf Ghani Ahmadzai (in carica dal 21 settembre 2014) va attribuito il merito di aver incentivato la partecipazione femminile alla realtà politica nazionale: sotto la sua egida, undici donne (di cui sette viceministri) sono state ammesse nel Gabinetto istituzionale, mentre quattro hanno ricevuto la nomina di ambasciatrici.

    Tuttavia le insidie sono sempre in agguato. Le lavoratrici si ritrovano spesso oggetto di minacce da parte dagli estremisti, poco propensi alla loro emancipazione. E nelle aree rurali, la condizione in cui l’altra metà del cielo (equiparata agli animali) è costretta a vivere continua a riflettere quel triste copione già incoraggiato dall’assuolutismo dei Taliban, tanto che a Herat è stata istituita un’apposita unità operativa a sostegno delle aspiranti suicide, sopravvissute a una morte indotta per combustione.

    Nelle carceri di Kabul e delle principali città languiscono tuttora centinaia di vittime della perdurante tradizione misogina. Malcapitate renitenti a nozze combinate con uomini generalmente anziani o gravate da pesanti accuse di adulterio (reato punibile con l’esecuzione capitale) per aver intrattenuto relazioni extraconiugali.

    “Le autorità sarebbero propense a vagliare simili problematiche, ma la diffusione del radicalismo preclude ogni mossa“, ha osservato Phumzile Mlambo-Ngcuka, direttore esecutivo di Women, associazione attiva nel contesto delle Nazioni Unite. “Nell’insistenza con cui l’Occidente ha esortato il riconoscimento dei diritti civili da parte dell’establishment alcuni hanno individuato una coercizione“.

    A complicare ulteriormente la situazione, il quarantennio di incessanti conflitti: “Da un lato abbiamo una generazione che ha conosciuto unicamente gli orrori della guerra, dall’altro ci sono donne acculturate, consce di se stesse e dell’oggettività circostante”, è la considerazione dell’esperta. “La confusione subentra allorché si tratta di mediare su entrambi i fronti. Il bicchiere è ora mezzo pieno insomma, ma ciò non implica che alle afghane spetti un trattamento privilegiato. Lo stupro e gli abusi fisici hanno ovunque la medesima valenza. Ovviamente, gli sforzi evolutivi non vanno né sminuiti né sopravvalutati, poiché il rispetto della dignita umana è un principio universale. D’altronde, l’Afghanistan ha omai assimilato quell’insieme di valori comuni al resto del mondo è quindi inconcepibile che non ottemperi agli obblighi di protezione ed educazione vigenti altrove e ritardi a imporre il divieto di convolare a nozze troppo precocemente“.

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    Rita Cugola
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    Milanese del ‘59 è giornalista professionista da molti anni. Nel periodo universitario si è dedicata alle recensioni musicali e cinematografiche su istanza di Amica, Cosmopolitan, NoiDonne, Il Borghese). In seguito si è però specializzata in questioni di politica estera e problematiche sociali internazionali (con peculiare attenzione all’universo femminile islamico e al fenomeno discriminatorio globale), scrivendo per svariate testate nazionali, tra cui Panorama.it, La Padania, La Stampa e Il Fatto Quotidiano. Già autrice e conduttrice di programmi giornalistici di approfondimento in emittenti private e tv locali ha deciso di creare un blog su tematiche di geopolitica internazionale (LOOK BEYOND, ritacugola.wordpress.com). Appassionata di egittologia, sufismo e filosofia ha lavorato a lungo con (Sp)Hera, mensile di storia, archeologia ed ermetismo. Per un triennio è stata condirettore di Alganews (magazine online fondato da Lucio Giordano). Attualmente scrive per Dol’s Magazine e il mensile Storica (gruppo RBA). Grazie alla conoscenza di quattro lingue (oltre all’Arabo che sta studiando nel tempo libero) collabora attivamente con la Libreria Islamica/Edizioni Al Hikma, traducendo testi ancora inediti di carattere filosofico/religioso.

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    Donne pronte al dialogo, ai trattati, a scavalcare Donne pronte al dialogo, ai trattati, a scavalcare barriere e confini, ai cambiamenti, alla PACE.
Protagoniste di una sfida femminile secolare che nessuna guerra potrà negare. Nessun futuro potrà prescinderne.

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La solitudine dei non amati, firmato e diretto dalla regista norvegese Lilja Ingolfsdottir, nella sua opera prima, con Oddgeir Thune, Kyrre Haugen Sydness, Helga Guren e Marte Magnusdotter Solem .
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    Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo roman Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo romanzo, L’arte della gioia, uscito dopo la sua morte (nel 1996 a 72 anni) e solo grazie alla dedizione del marito, Angelo Pellegrino. Il libro vide la luce nel 1998 presso Stampa Alternativa (e poi nel 2008 da Einaudi). Tollerata dai salotti intellettuali del tempo, dove era entrata grazie alla sua lunga relazione con il regista Citto Maselli, Goliarda Sapienza fu sempre insofferente nei confronti del mondo intellettuale e borghese. Attrice, scrittrice, donna libera, più irregolare che anticonformista, chissà cosa penserebbe dell’interesse che sta suscitando in questo periodo non solo la sua opera ma anche la sua vita.

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Lo studio delle lingue straniere alimenta la curiosità e stimola la voglia di apprendere in molte discipline anche ben diverse, soprattutto se sostenute da una capacità imprenditoriale. Questo lo dimostra la storia qui di seguito riportata di Marialuisa Portaluppi da noi intervistata.
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