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    Home»Donna e lavoro»Donne senza nome
    Donna e lavoro

    Donne senza nome

    Caterina Della TorreBy Caterina Della Torre13/08/2012Updated:06/08/2014Nessun commento7 Mins Read
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    DONNE-SENZA-NOME
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    In un paese emergente, dove però le donne continuano a contare solo per il nome del marito che portano.

    E per il resto sono niente. Ci racconta la loro storia Giovanna Gaiba, una cooperante che ha deciso di dedicare la propria vita ad aiutare le altre donne. Smarrendo talvolta anche se stessa e la propria identità.

    E’ cominciata con il tentativo di intervistarla via skype in audio e video e ci siamo ritrovate a chattare come due teen agers perchè la connessione internet con alcune zone dell’India è faticosa.

    Giovanna Gaiba. Quarantaduenne trevisana, cresciuta a Roma fin dalla tenera età di 3 anni. Da otto anni fuori dell’ Italia.

    Perchè ha deciso di intraprendere questo cammino di operatrice culturale? E con quali studi ti è stato possibile?
    Ho studiato giurisprudenza prima, poi in età matura ho seguito un master in diritti umani. L’idea di darmi alla cooperazione c’è sempre stata sin da giovane, infatti ho fatto già molto volontariato durante gli anni dell’università

    Dove sei già stata? Intendo, in quali paesi?
    A Roma  ho conseguito anche il master. Sono stata in Uganda prima (per un’esperienza di qualche mese) e poi 3 anni in Birmania.
    La scelta della cooperazione è stata maturata a lungo. Poi, una volta fatta, mi è sembrato che tutte le porte si aprissero, come se finalmente anch’io avessi trovato la mia strada …

    Ed ora dove ti trovi?
    Da due anni e mezzo mi trovo in India ad Ahmedabad (stato del Gujarat) per un progetto finanziato da PROGETTO SVILUPPO (CGIL) e il Ministero degli Affari Esteri. Il partner locale è un sindacato di donne (SEWA: Self Employed Women’s Association)

    Ci parli del tuo lavoro di supporto ai diritti delle donne ?
    Sono passata dall’Uganda dove le donne sono considerate (soprattutto nei villaggi) fonte di richezza, alla Birmania dove la struttura familiare è ancora salda (per cui la donna è considerata al pari dell’uomo), all’India (e qui viene alla mia attenzione ancora più forte alle questioni femminili), dove il lavoro della donna non è considerato per nulla,

    E cioè le donne lavorano e gli uomini non fanno nulla?
    No, non volevo dire questo. La donna che anche quando lavora il suo lavoro non contribuisce all’economia familiare. Qui, vi è un’altissima ancora percentuale di matrimoni combinati. Nello stato in cui vivo, nonostante il divieto di econografie prenatali vi è un’altissima incidenza di aborti e infanticidi nel caso di bambine. Basti pensare che dall’ultimo censimento del 2011 risulta che su 1000 bambini nati 826 sono le bambine, quando si sa che a livello mondiale nascono più bambine che bambini

    Ma le donne non portano la ‘’dote’’?
    Appunto la dote costituisce un problema per la famiglia che ha una figlia da sposare perchè deve prepararsi all’evento
    spendendo tantissimo in gioielli e altro da portare alla famiglia del marito. Sono pochissime le famiglie nucleari, nel senso che solitamente dopo sposate le ragazze vanno a vivere con la famiglia del marito ed indipendetemente dalla classe sociale sono – purtroppo – sottoposte il più delle volte a soprusi , vengono considerate alla mercè della suocera, del marito, delle persone più anziane.
    Mi ha colpito una cosa che mi è stata detta il mese scorso: sono andata a cena a casa dei miei padroni di casa, famiglia medio alta. La padrona di casa oltre ad avere un salone di bellezza, è affiliata al partito al potere qui in Gujarat.
    Mi raccontava di una ragazza di 22 anni  che lei ha preparato alle nozze. Dopo 6 mesi dal matrimonio ha bevuto dell’acido perchè non riusciva più a sopportare le angherie della famiglia di lui.
    In questi casi la famiglia d’origine fa pressione ma è rarissimo che una donna si separi.

    Ma non può tornare a casa paterna?
    E’  difficilissimo, solo nel caso si abbia una famiglia molto liberale, altrimenti no.

    Quindi la donna o si sposa o resta a carico della famiglia?: Non può restare celibe e lavorare?
    Per questo il sindacato con cui lavoro, oltre a proteggere le donne dal punto di vista dei loro diritti lavorativi, fa anche  un ottimo lavoro di formazione  delle ragazze. E provvede anche al finanziamento con il microcredito.

    Una donna celibe è un peso per la famiglia e per questo si deve sposare.
    Mi è capitato di leggere un articolo di un’antropologa inglese la scorsa settimana che diceva che le condizioni della donna in India vengono dopo quelle del Pakistan, Afghanista e Congo. Qui siamo al confine con il Pakistan e sono sia hindu che musulmani. Ma qui non è una questione religiosa.
    A merito di SEWA, nonostante la situazione di convivenza forzata delle due comunità (hindu e musulmana),va che  il lavoro comprende indistintamente ragazze/donne di entrmbi i gruppi

    Ed anche per questa sua imparzialitàò che SEWA  viene  tacciato dal governo locale (ultrnazionalista) di favorire la comunità musulmana.

    Parlaci del tuo sindacato
    E un ‘organizzazione molto radicata qui ad Ahmedabad e nel Gujarat. E’ noto soprattutto a livello internazionale
    La Clinton ha definito alla fine di giugno di quest’anno la fondatrice (Ela Bhatt) una delle sue eroine, per il suo operato in favore delle donne. E molto complessa come struttura, basti pensare che è l’unico sindacato che ha una banca propria (che eroga presititi solo a donne) , è  rivoluzionario questo in una società dove la donna conta meno sempre dell’uomo
    Hanno all’interno diverse categorie di lavoratrici ma si tratta soprattutto di lavoratrici autonome.
    Questo è normale in India considerato che il 93% della forza lavoro è impiegata nel settore informale.
    Non vi è dunque un datore di lavoro come da noi inteso. Questo vuol dire una tutela nulla non solo dal punto di vista contrattuale, ma anche sociale. Niente contratto, niente diritti (maternità, malattia, ferie, assicurazione, ecc.). La cosa che meraviglia di più è che l’India è ormai considerata un paese emergente, per tanto non più prioritario per le agenzie internazionali (in primis l’Unione Europea)
    Ma credimi lo sviluppo va solo a vantaggio della classe medio alta.
    La cosa che mi ha colpito la prima volta che sono andata in un villaggio: quando ho accompagnato alcune mie colleghe indiane in un corso di formazione in un villaggio/slum di Ahmedabad, è stato vedere come le donne abbiano avuto – grazie alla presenza dell’organizzazione – la capacità di riappropriarsi della propria identità, è come se fossero state capaci nuovamente di “parlare”
    Le donne sopratutto in contesti del genere, oltre a coprirsi il volto in presenza del marito, degli anziani e di persone al di fuori della propria famiglia non hanno un nome, nel senso che vengono sempre chiamate in funzione di un membro maschi della famiglia, figlie di, sorelle di, mogli di, madri di, ecc
    Per loro era difficile ricordare il proprio nome.
    Durante i corsi viene dato loro un microfono e chiesto loro di presentarsi, solo dopo pochi incontri è possibile sapere realmente chi sono!!! Il nome=la loro identità

    Donne senza nome!
    Sì, mi ha fatto davvero tenerezza quella volta vedere un’anziana analfabeta che si presentava con imbarazzo e diceva che lo faceva per le sue figlie e per le sue nipoti, non esistevano per se stesse…

    Giovanna, mi parli di te? Sposata, figli, obiettivi di lavoro e famigliari?
    Qui è un pò difficile credo farsi una famiglia. Sto attraversando, scusa se te lo dico, ma forse è per farti capire che anch’io per dove sono,  un periodo un pò difficile personalmente.
    Amo il mio lavoro, anche troppo e questo mi ha portato negli ultimi mesi a rendermi conto di quanto abbia sacrificato la mia vita personale
    Non sono sposata, non ho figli e al momento non ho una relazione, il mio lavoro che mi porta di qua e di là del mondo e mi pare che una persona che mi possa seguire sia difficile da trovare.

    Comunque io sono contenta di essere qui, sento che per me è un onore conoscere queste donne
    Ho lasciato l’Italia da  8 anni con intervalli vari di pochi mesi l’uno dall’altro

    Vorresti tornare?
    No, ma  me lo sono chiesta seriamente qualche mese fà.
    Però ti dico la verità non saprei vedermi se non così. Io credo che bisogna rimanere in contatto con sè stessi per capire che cosa si vuole e chi si è.
    E’ faticoso talvolta riconoscerlo perchè mi manca il fatto di non avere qualcuno (un’ umana debolezza!) che ti aspetta a casa, qualcuno con cui parlare, condividere anche le sfide giornaliere e via dicendo. Ma Giovanna è questa.

    Donne Donne identità India matrimonio combinato solitudine
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    Caterina Della Torre
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    Proprietaria di www.dols.it di cui è direttrice editoriale e general manger Nata a Bari nel 1958, sposata con una una figlia. Linguista, laureata in russo e inglese, passata al marketing ed alla comunicazione. Dopo cinque anni in Armando Testa, dove seguiva i mercati dell’Est Europa per il new business e dopo una breve esperienza in un network interazionale di pubblicità, ha iniziato a lavorare su Internet. Dopo una breve conoscenza di Webgrrls Italy, passa nel 1998 a progettare con tre socie il sito delle donne on line, dedicato a quello che le donne volevano incontrare su Internet e non trovavano ancora. L’esperienza di dol’s le ha permesso di coniugare la sua esperienza di marketing, comunicazione ed anche l’aspetto linguistico (conosce l’inglese, il russo, il tedesco, il francese, lo spagnolo e altre lingue minori :) ). Specializzata in pubbliche relazioni e marketing della comunicazione, si occupa di lavoro (con uno sguardo all’imprenditoria e al diritto del lavoro), solidarietà, formazione (è stata docente di webmarketing per IFOA, Galdus e Talete). Organizzatrice di eventi indirizzati ad un pubblico femminile, da più di 10 anni si occupa di pari opportunità. Redattrice e content manager per dol’s, ha scritto molti degli articoli pubblicati su www.dols.it.

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La solitudine dei non amati, firmato e diretto dalla regista norvegese Lilja Ingolfsdottir, nella sua opera prima, con Oddgeir Thune, Kyrre Haugen Sydness, Helga Guren e Marte Magnusdotter Solem .
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    Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo roman Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo romanzo, L’arte della gioia, uscito dopo la sua morte (nel 1996 a 72 anni) e solo grazie alla dedizione del marito, Angelo Pellegrino. Il libro vide la luce nel 1998 presso Stampa Alternativa (e poi nel 2008 da Einaudi). Tollerata dai salotti intellettuali del tempo, dove era entrata grazie alla sua lunga relazione con il regista Citto Maselli, Goliarda Sapienza fu sempre insofferente nei confronti del mondo intellettuale e borghese. Attrice, scrittrice, donna libera, più irregolare che anticonformista, chissà cosa penserebbe dell’interesse che sta suscitando in questo periodo non solo la sua opera ma anche la sua vita.

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