Per quanto formalmente illegali dal 1963, i matrimoni precoci continuano a essere largamente tollerati in Nepal.
Le rilevazioni effettuate dall’Unicef (Children’s Rights & Emergency Relief Organization) nel 2011 avevano contribuito a delineare un quadro alquanto indicativo: il 37% delle ragazze era costretto a convolare a nozze prima di aver raggiunto la maggior età, a fronte di un 10% con meno di 15 anni.
Dati che avrebbero dovuto focalizzare l’attenzione globale e indurre alla riflessione. Invece da allora nulla è davvero cambiato, tanto che nel loro ultimo rapporto (Our Time to Sing and Play) gli osservatori di Human Rights Watch hanno deciso di lanciare un preciso monito:”La polizia non interviene quasi mai, nemmeno su esplicita richiesta delle interessate. E i funzionari statali persitono indisturbati a covalidare certificati criminosi“.
La realtà sarebbe però più complessa e articolata. Del resto, la semplice acquisizione di consapevolezza circa una pratica controversa ma pur sempre profondamente radicata nel tessuto sociale non è certo sufficiente per comprenderne appieno la genesi.
“Le lamentele sono estremamente rare“, ha precisato Rashmila Shakya, membro di Child Worker, associazione locale per i diritti minorili. “Sebbene sappiano che sia una pratica non consenita dalla legislazione vigente, le minorenni tendono ad acconsentire agli sponsali perché temono di danneggiare economicamente i rispettivi genitori. D’altro canto il sistema è latitante; ha altre priorità da affrontare“.
Emblematica tra l’altro l’appartenenza quasi esclusiva delle giovani coppie alla comunità Dalit (ossia quella dei cosiddetti intoccabili): la più discriminata ed emarginata su scala nazionale, afflitta da povertà, scarsa scolarizzazione, sfruttamento infantile. Fattori determinanti alla sopravvivenza di unioni che esulano dalla razionaltà.
Ad aggravare la già precaria situazione è subentrato il sisma registrato nell’aprile del 2015: quattromila individui in balìa degli eventi atmosferici e totalmente privi di risorse, a fronte di novemila vittime attestate.
“Nelle zone terremotate le famiglie erano disperate e quindi molti non vedevano l’ora di accasare le figlie per avere una bocca in meno da sfamare. E’ sconcertante constatare che anche in quell’occasione non sia stata condotta alcuna indagine per sondare l’enorme portata del problema“, ha osservato l’agguerrita attivista.
Eppure i vertici insistono a declinare ogni responsabilità, rivendicando anzi l’attuazione di interventi drastici e decisivi: “Abbiamo innalzato a 20 anni l’età anagrafica degli aspiranti consorti, senza alcuna eccezione“, si è difeso Kiran Rupakhetee, sottosegretario presso il Ministero preposto alle questioni femminili, infantili e sociali. “Se in precedenza bastava il consenso parentale per ottenere la celebrazione di un matrimonio, ora ai trasgressori verranno comminati tre anni di carcere, ai quali va aggiunto il pagamento di un’ammenda pari a 10mila rupìe (circa 95 dollari, somma decisamente superiore allo stipendo medio mensile di un lavoratore nepalese, n.d.r.). Esiste una specifica norma costituzionale in tal senso. Stiamo in procinto di varare un piano strategico che dovrebbe contribuire a scongiurare la prosecuzione di questa incresciosa consuetudine”.
A supporto della tesi governativa, l’analisi fornita dal National Demographic Health Survey, che tende a evidenziare un netto calo percentuale del fenomeno su scala nazionale: attestate intorno al 40% nel 2001 e al 32,2% nel 2006, le adolescenti rappresenterebbero ora il 28,8 delle spose.