di Sean Byrne
con Hassie Harrison, Josh Heuston, Rob Carlton, Ella Newton
Quando si scrive un film ormai bisogna sempre mettere molta carne al fuoco. Può andare bene anche molta carne in acqua. Perché la storia di Dangerous animals ha come sfondo i paradisi oceanici del surf, sulle selvagge coste australiane. All’inizio sembra di stare dalle parti di Un mercoledì da leoni, paesaggi meravigliosi, barche che portano in giro i turisti e innamoramenti fra atletici surfisti. Zephyr è bella, bionda, indipendente e la notte d’amore che passa con Moses, un giovane surfista romantico, la vuole dimenticare subito: ha il suo van e insegue l’onda. Non ha tempo per le storie.

Ma le complicazioni sono in agguato perché Tucker, uno dei barcaioli con il pretesto di portare i turisti al largo per farli nuotare protetti da gabbie d’acciaio in mezzo agli squali, ha in realtà obiettivi diversi. Inevitabile che fra le sue vittime finisca proprio la tosta Zephyr. Non voglio raccontare troppo, perché un po’ di suspence va mantenuta anche se non è difficile immaginare quel che accadrà. Tucker si rivelerà molto più pericoloso degli squali e questo è disorientante per noi spettatori che dal mitico film di Steven Spielberg (a proposito per festeggiare i 50 anni dall’uscita torna in pompa magna e ancora godibile sugli schermi) eravamo convinti che il rischio maggiore per chi si avventura in certe acque fosse solo the Jaws!

Insomma, la povera Zephyr scompare, il suo van resta parcheggiato sulla spiaggia, Moses non si rassegna a essere stato abbandonato e indaga come può, senza sospettare quello che si sta consumando in mare aperto e quale lotta si trovi a sostenere la ragazza di cui si è innamorato.

L’idea di contaminare un film d’avventura con la commedia romantica e poi virare brutalmente su una storia di serial killer regge bene, anche perché i due protagonisti, Zephyr e Tucker sono azzeccatissimi. Davvero bravi e convincenti. Lei agguerrita, mai doma e atletica, lui ossessionato dalla bellezza degli squali, calunniati come l’upupa di Montale.

Comunque, fra una scena e l’altra si impara anche qualcosa di utile : se vi capitasse di trovarvi a pochi metri da uno squalo, sappiate che il modo migliore per evitare aggressioni è restare immobili. Pare funzioni. Nel film funziona, ma certo, è un film.

Un pizzico di ecologismo rende tutta la storia ancora più moderna e chi ama la natura e il mare può rilassarsi con questo horror moderatamente truce e con sprazzi di intelligenza. Fra l’altro l’ossessione di Tucker, il gigante assassino, ha un legame con la realtà: alcuni scienziati infatti hanno scritto una lettera aperta alla Columbia Picture criticando un film da loro distribuito, Paradise Beach – Dentro l’incubo, che alimentava a loro dire l’immagine degli squali come predatori assetati di sangue. Non è così vero. Ora l’abbiamo imparato anche noi: basta non muoversi.
