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    Home»I racconti di dols»Appunti di un cacciatore di mosche di D. Voliani»Appunti di un cacciatore di mosche – Capitolo I
    Appunti di un cacciatore di mosche di D. Voliani

    Appunti di un cacciatore di mosche – Capitolo I

    DolsBy Dols14/06/2019Updated:26/07/2019Nessun commento8 Mins Read
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    Al mio muso ispiratore, Pakum

    di Deborah Voliani

    Quando gioco con il mio gatto,
    chissà se sono io che mi diverto con lui,
    o lui con me.
    Michel Eyquem de Montagne

     

    Salve, o forse dovrei dire, MIAO; ma ho deciso che userò il vostro linguaggio per narrare la mia storia; linguaggio che peraltro ho appreso vivendo con i miei due padroni, di cui vi parlerò più avanti.
    Che sbadato che sono, non mi sono ancora presentato.
    Mi chiamo Pakum e sono un persiano.
    No, non sono un tappeto persiano. Sono un gatto e vivo a Monfalcone.
    Se dovessi descrivere la mia situazione attuale, come del resto lo è sempre stata, direi che sono molto felice.
    Qua, nella casa in cui vivo e che considero ormai il mio territorio, non mi manca niente.
    Ho tanto cibo, tutte le comodità, ma soprattutto, cosa da non sottovalutare, ricevo tante coccole.
    Da parte di chi? Ma è ovvio, da parte dei miei padroni, Giuliano e Deborah.
    Ora voi vi chiederete “Come mai un gatto si mette a scrivere, non ci sono già abbastanza scrittori in giro?”.
    Soddisfo subito la vostra curiosità.
    Arrivato alla mia veneranda età di11 anni (che per voi umani corrisponderebbero a 63 anni, circa), ritengo sia arrivato il momento di fare una riflessione sulla mia situazione e dare la mia testimonianza di come anche una bestia come me può essere grata per quel meraviglioso dono che è la vita.
    No, non sono un romanticone o un sentimentalista. Sono solo realista.
    Quando si ha la fortuna di entrare a far parte di una famiglia, lo dico per me ma sono sicuro di interpretare anche il pensiero di altri animali domestici, si entra soprattutto nel cuore delle persone che vi fanno parte.
    Credetemi, quello che dai, alla fine, è nulla rispetto a quello che si riceve.
    Ora proverò a descrivermi:
    Sono biondo (ed ogni volta che Deborah parla di me, so che aggiunge sempre “ha preso da me… mi assomiglia…” e poi ride, ride sempre lei.
    Scusate ho perso il filo del discorso ma per Deborah mi ci vorrà un capitolo intero per descriverla.
    Allora dicevamo… sì, ecco sono biondo, peloso come si conviene a tutti i gatti persiani di razza. Sono schivo con gli sconosciuti, anche se mi compri con due carezze.
    Non ho amici in quanto, essendo un gatto da appartamento, sto sempre a casa.
    Quando raramente mi portano in giardino, dove spesso transitano anche i gatti dei vicini, appena i miei simili mi vedono, prima mi puntano e poi scappano.
    Fino a prova contraria il territorio è mio. Se poi i miei padroni li fanno razzolare anche nel nostro giardino è tutta grazia per loro, ma il posto è mio.
    Sono egoista… come potete vedere. Ma mi sono sempre chiesto, è essere egoisti difendere i propri diritti?
    E poi sono soprattutto bello.
    Sì, ho capito a cosa state pensando “Ogni scarafone è bello a mamma sua”.
    È importante, sapete, che in una famiglia non manchino mai i complimenti e i miei padroni non me ne fanno mancare.
    Ho sempre pensato che se un figlio lo fai sentire bello, se gli ripeti ogni giorno che è buono e bravo, ecco questo figlio, crescendo, lo diventerà veramente. Avrà ricevuto, cioè, quel rinforzo positivo che lo aiuterà ad avere un buona autostima di sé ed affronterà così le difficoltà della vita con maggior sicurezza.
    Sono castrato… e, vi prego, toglietevi quel sorrisino dalle labbra. Non è poi così grave.
    Ti ci abitui insomma, soprattutto se l’operazione l’hai subìta da cucciolo.
    Sì, ho detto subìta, perché non è stata comunque una mia scelta. Lo hanno deciso per me. Per il mio bene, hanno detto.
    Essendo un gatto da appartamento e non potendo andare in giro a cercarmi la morosa, avrei potuto soffrire di più chiuso in casa. Insomma mi avete capito. Così tolto il dente (anche se non si trattava proprio di quello) tolto il dolore.
    Ho sentito dire che per voi umani la cosa sarebbe comunque più problematica.
    Nel mio caso comunque non c’e’ stata violenza.
    La rabbia che spinge l’uomo a compiere certe azioni mi lascia spesso perplesso.
    Se un’azione non è orientata a procacciare il cibo, se non lo è per difendersi, allora quale altro motivo ci può essere?, mi chiedo.
    Sì, lo so. Anch’io mi diverto ad acchiappare le mosche che mi ronzano intorno. Provate voi a mangiare in una ciotola dove pochi minuti prima una mosca ci ha lasciato… sì insomma ci ha fatto la cacca.
    Ed è anche vero che rincorro le lucertole. Ma nessuno, vi sfido, ha mai chiesto loro se sono felici o meno di essere rincorse. Non ho mai visto una lucertola ferma. Pertanto suppongo che con me si divertono ed anche tanto.
    Non ho figli (vedi sopra la motivazione) ma mi intenerisco quando vedo un qualsiasi cucciolo di animale o umano che sia.
    Ne sento tante di storie tristi sui bambini. Ma mi chiedo, come si fa a fare del male alla propria creatura?
    Nel mondo animale c’è un grande rispetto per la vita dei propri cuccioli, proprio perché sono piccoli ed indifesi.
    Ho un ricordo vago della mia mamma, a dire il vero, ma, senza niente togliere ai miei padroni per l’affetto che mi danno ogni giorno, se oggi sono quello che sono, sereno e felice, è anche un po’ merito suo.
    Mi piace pensare che, nella cucciolata, il latte era sufficiente per tutti noi micini e che nessuno era il preferito della mamma, al contrarioi che tutti noi piccini eravamo amati in ugual misura.
    I miei fratellini non li ho più rivisti. Quanti croccantini darei per sapere dove vivono adesso!!!
    Se non ricordo male, oltre a me, ce ne erano altri quattro di cuccioli.
    Ricordo molto bene quel giorno che Giuliano, che allora era fidanzato con un’altra ragazza, giunse in negozio, dove eravamo esposti in vetrina.
    Fu amore a prima vista. I miei fratellini stavano dormendo ed io, come sempre, non riuscivo a stare fermo. Rivedo la scena che mi è rimasta impressa dopo tutti questi anni.
    Giuliano si avvicina alla nostra cesta e mi tira su.
    Oddio che emozione!. Lo ricordo quel momento come se fosse successo ieri.
    Avvicina il suo viso al mio musetto e comincia a grattami la testa.
    Io sono ormai in un brodo di giuggiole. Sento che c’è feeling tra noi. Mi tiene nella sua mano con tanta dolcezza ed io mi lascio accarezzare. Ma sono anche un giocherellone ed allora il suo pollice è un invito a mordicchiarlo e Giuliano a quel punto è come impazzito. “È lui, lo prendiamo”.
    Capito gente? Ha detto è lui. Non mi ha solo scelto, mi ha anche riconosciuto tra tanti.
    Questa decisione mi ha cambiato la vita.
    Visto e preso. Mica male!!!
    La cosa più difficile, però, è stato lasciare la mia famiglia naturale.
    In quel momento avevo sentimenti contrastanti. Mi dicevo tra me: quest’ uomo cambierà la mia vita, mi ha scelto. E questa è una bella cosa.
    Ma la mia mamma, fino a che punto ci credeva che andavo a star bene?
    I miei occhi incrociarono i suoi, lo rammento. Quel momento mi parve durare un’ eternità.
    Avrebbe voluto dirmi “rimani con me”, ma non lo fece. Anzi, come solo le mamme sanno fare, mi sorrise trattenendo le lacrime e fece finta di niente.
    Il dolore delle donne spesso è vissuto nel silenzio. Sapeva che non mi avrebbe più rivisto ma continuava a sorridermi.
    Dopo di me avrebbe visto allontanare da sè anche gli altri quattro cuccioli e fino all’ultimo istante che rimase con noi ci amò tanto.
    Ricordo che si avvicinò a me e mi disse “avrai un futuro bello, cucciolo mio, non temere mai niente, io sarò con te”.
    Quelle frasi, insomma, che ti mettono ko anche se pensi che si dicano così tanto per dire.
    Niente affatto e ve lo posso assicurare. La mia mamma ci credeva così tanto che la profezia si è avverata. Da quel giorno ho capito che se si desidera veramente una cosa, quella cosa prima o poi accade.
    Ogni volta che devo affrontare un’avversità, che nel mio caso può essere rappresentata dalla visita dal veterinario o il collirio che devo subire nell’occhio, mi vengono in mente quelle parole e, credetemi, hanno un effetto miracoloso su di me.
    Sì, mi calmano.
    Per quanto riguarda il futuro bello, insomma, se fossi infelice, avrei voglia di scrivere un racconto, secondo voi?
    Volete sapere qual è la prima cosa che ho imparato in tutti questi anni: l’amore ti dà una carica che neanche i croccantini, quelli che pubblicizzano in tv, ti possono dare.

    continua

    debora-volianiDeborah Voliani –  49 anni. Assistente sociale. Mi occupo di prevenzione solitudine e promozione socialita a  favore degli anziani a Trieste presso Televita s.p.a. Sposata. Vivo a Monfalcone. Sono livornese d.o.c. .Toscanaccia nel sangue. Ho un gatto persiano che si chiama Nemo. Scrivo racconti e poesie. Ho scritto con mio marito un romanzo giallo Male minore ambientato a Livorno e pubblicato da Manidistrega nel 2010. Amo la vita e la fede in Dio

    gatto mosche pakum
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