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    Home»Costume e società»IMMIGRAZIONE FEMMINILE IN ITALIA: DAI SOGNI ALLA REALTA’
    Costume e società

    IMMIGRAZIONE FEMMINILE IN ITALIA: DAI SOGNI ALLA REALTA’

    DolsBy Dols16/11/2018Updated:16/11/2018Nessun commento6 Mins Read
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    Il libro di Giusi Sammartino ”Siamo qui” raccoglie le storie di tante donne arrivate da lontano per trovare una nuova esistenza in Italia, spinte dal bisogno ma anche dalla voglia di cambiare, di crescere, di migliorare. Giusi le ha incontrate e conosciute una per una, quindi dà loro voce, commentando e soffermandosi sulle delusioni, i dolori, le amarezze, ma soprattutto sui successi e i traguardi raggiunti.

    di LAURA CANDIANI

    SIAMO QUI. Storie e successi di donne migranti, Bordeaux, 2018
    RECENSIONE al libro di Giusi Sammartino

     
    siamo quiIl libro di Giusi Sammartino raccoglie le storie di tante donne arrivate da lontano per trovare una nuova esistenza in Italia, spinte dal bisogno ma anche dalla voglia di cambiare, di crescere, di migliorare. Giusi le ha incontrate e conosciute una per una, quindi dà loro voce, commentando e soffermandosi sulle delusioni, i dolori, le amarezze, ma soprattutto sui successi e i traguardi raggiunti.
    Il libro si divide in quattro parti: il corpo principale (Siamo qui) espone le vicende di venti donne, il secondo riguarda alcune Rom e Sinti, il terzo le scrittrici di Lingua madre, l’ultimo tre testimo-nianze di ragazze della seconda generazione.
    Nella prefazione Piera degli Esposti giustamente fa riferimento al coraggio delle donne: la donna è una combattente, una guerriera senza armi, la “reggitora” della famiglia e della casa che – con polso fermo – guida e amministra. Le esperienze raccontate parlano di sogni da realizzare e della forza di lasciare tutto (patria, casa, famiglia, figli, lavoro…) per affrontare l’ignoto: una nuova terra, nuovi usi, nuova lingua, pregiudizi. Tuttavia molte hanno osato e ce l’hanno fatta, diventando le “regine” della loro stessa esistenza.
    Ricorda l’autrice che le donne costituiscono la maggioranza degli immigrati in Italia (53% del totale) e che – nella loro lotta per affermarsi – devono superare non solo le questioni legate all’etnia di provenienza, al colore della pelle, agli stereotipi più consolidati, ma anche le etichette relative al genere; combattono quindi su più fronti, facendo grandi sforzi per emanciparsi economicamente e far valere le proprie aspirazioni.
    Giusi racconta storie veramente interessanti e sarebbe bello citarle una per una, ma questo è il compito del libro a cui si rimanda. Le donne che ci fa conoscere arrivano dall’Oriente: India, Bangladesh, Nepal, Kerala, Cina, altre dall’Africa (Camerun, Marocco), dalle Filippine e dalla Colombia, la maggior parte dall’Europa dell’Est: Albania, Serbia, Croazia, Moldavia. Alcune sono state spinte dalla guerra o dalle difficoltà economiche, come Jugana, altre sono plurilaureate, conoscono varie lingue, sono professioniste affermate, come Ambili, Lidia, Silvia, costrette inizialmente ai lavori più umili. Sono tutte accomunate però dalla voglia di cambiare e di osare, a costo di sacrifici propri e dei familiari, a cui sperano sempre di riunirsi. Molte vicende sono toccanti: come quella di Maria, arrivata in Italia con l’inganno, costretta a vivere per strada, come una “barbona”, per due anni insieme alla famiglia, sottraendo cibo dai cassonetti. Riesce poi a lavorare come domestica in una famiglia che la aiuta, le insegna, la sprona a riprendere la sua attività: la creazione di abiti da sposa. Il sogno piano piano si realizza: ora ha un negozio tutto suo, una casa, sua figlia ha sposato un italiano e tutti sono ben integrati.
    In queste vicende emergono senz’altro dei pregiudizi, l’isolamento (soprattutto linguistico), la difficoltà a integrarsi, ma si trovano anche tante persone amichevoli e generose capaci di donare affetto, prestare denaro, dare consigli disinteressati; così ora possiamo verificare quei successi di cui parla il titolo del libro. Varie donne hanno negozi di stoffe e sartorie, c’è chi fa la cuoca a domicilio e chi ha messo su un ristorante, chi ha un proprio corpo di ballo, chi cura abbinando la medicina occidentale a quella tradizionale, altre sono imprenditrici come Hu Lanbo e Sonila, altre ancora si occupano di giornalismo, interpretariato, traduzioni e di inserimento dei propri connazionali: la filippina Charito è stata nominata Cavaliere dal presidente Ciampi per la sua attività di assistenza alle numerose donne provenienti dal suo Paese.
    Rom e Sinti hanno trovato sul loro cammino un ostacolo in più: essere “zingare” – anche se eleganti, colte, belle – rimane purtroppo un’etichetta da nascondere, di cui vergognarsi. E quanto dolore costa dover rinnegare le proprie origini. Saska è una ingegnera costretta per necessità a raccogliere kiwi e peperoni, oggi ben inserita e attiva nel favorire la scolarizzazione e nel combattere una piaga ancora diffusa nel suo popolo: i matrimoni precoci. Rebecca è riuscita a frequentare il liceo artistico, mendicando ai semafori, ma ha trovato due angeli custodi: il professore che l’ha incoraggiata nel suo percorso artistico, il celebre musicista che l’ha aiutatata a diventare violinista. Ivana, sfuggita alla guerra dei Balcani, ha fondato una sua compagnia di danza e intanto si occupa dell’educazione e dell’inserimento di giovani grazie a un doposcuola e a varie attività ricreative, alla periferia di Torino.
    Le scrittrici rappresentano esperienze diverse: la brasiliana Rosana era venuta in Italia per un breve periodo, e poi è rimasta conquistata dalla Romagna, dove alterna l’attività di gestione di un b&b alla scrittura. Valbona, albanese, è una poeta affermata, grazie all’incontro casuale con l’opera di Ungaretti, nella casa dove svolgeva lavori umili. La giovane Kerene ha un passato terribile alle spalle: la fuga dalla Costa d’Avorio e poi dalla Libia, fino a Pantelleria. Nelle onde del Mediterraneo ha visto scomparire la madre, ma il suo ricordo è vivo nelle sue parole.
    Le ragazze della seconda generazione sono nate o vissute fin da piccolissime in Italia, ma talvolta la burocrazia ha frapposto incredibili ostacoli, come nel caso di Ursula, ora residente a Pinerolo, moglie, mamma, commessa con la passione per il teatro. Anche Ashai ama esibirsi, ma preferisce la danza; nata a Genova, è vissuta a Londra e a Bologna dove si è laureata al Dams. Faticoso è stato per lei riconciliarsi con il padre assente e con la patria lontana e sconosciuta: l’Africa. La danza tuttavia è il ponte che unisce culture e genti diverse, in una meravigliosa contaminazione. Un altro ponte, fra Marocco e Italia, è quello creato dall’avvocata Kaoutar che con il suo lavoro tutela sia connazionali sia italiani, ma anche favorisce lo scambio fra le due popolazioni, nella conoscenza e nel rispetto reciproci.

    Leggere queste pagine è senz’altro un insegnamento e un ammonimento: il popolo italiano deve sempre ricordare il proprio passato di migrazioni, “quando gli albanesi eravamo noi” – come recita il sottotitolo dello straordinario libro L’orda di Gian Antonio Stella. E, a proposito di donne, quando le balie italiane viaggiavano per l’Europa e oltre a portare la loro unica ricchezza: il latte negato alla loro prole. Accoglienza dovrebbe essere la parola chiave per aprire le porte e per chiudere con i pregiudizi, gli stereotipi, le barriere, i muri – reali e immaginari.
    A Giusi Sammartino va il plauso per il suo lavoro di ricerca, così ricco di umanità.

    immigrazione femminile
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