di Emilie Blichfeldt
con Lea Myren
In sala dal 30 ottobre
Dimenticate i film targati Disney, mettete da parte le dolcezze di Perrault. Sintonizzatevi piuttosto sulla crudeltà dei fratelli Grimm e confrontatevi con le fiabe storiche, traboccanti orrori, morti e mutilazioni. Mescolate tutto questo con i moderni horror, aggiungete un condimento splatter, ricordatevi di The substance e per finire come bella ciliegina sulla torta: l’ossessione dei nostri giorni per l’estetica.

La regista norvegese Emilie Blichfeldt, alla sua opera prima, ha già avuto un discreto impatto al Sundance Film Festival e alla Berlinale, dove la sua versione horror della fiaba di Cenerentola non è passata inosservata.

Il film si apre con un cambio di prospettiva, perché sceglie come protagonista la sorellastra, Elvira. Lei con la sorella Alma accompagnano la madre Rebecca nella casa del nuovo marito, che ha già una figlia, Agnes. Sia la futura sposa che il neomarito hanno deciso di accasarsi convinti che il partner disponga di grandi ricchezze e risolva i debiti che tutti e due hanno. Grosso errore, perché in realtà sia lui che lei sono rimasti senza un soldo.

L’uomo però non fa in tempo ad accorgersene perché si accascia alla prima cena, lasciando le quattro donne a cavarsela da sole. Agnes, bellissima, finisce a badare alla casa, come si addice a ogni Cenerentola. Fin qui tutto torna, la svolta si ha quando i messi del re passano di casa in casa annunciando il ballo a corte, dove il principe sceglierà la moglie.
Elvira già incantata dal sovrano (leggeva le sue poesie) pensa di realizzare il suo sogno romantico. Peccato che la madre, egoista e per niente amorevole, le dica senza mezzi termini che è troppo brutta per ambire a quel ruolo e che può farcela solo lavorando su se stessa, senza fermarsi di fronte a niente.
E non si parla di un cambiamento interiore. Il film prende il volo nei tormenti a cui deve sottoporsi la povera Elvira, da un intervento per ridurre il naso (senza anestesia!) a un dieta feroce che la costringe a ingoiare un verme solitario, fino a un doloroso intervento per ingrandire gli occhi e applicare ciglia permanenti.

La sorellina Alma assiste impotente e sgomenta, mentre la madre la guarda con disprezzo: è inutilizzabile “perché non ha neppure iniziato a sanguinare”. I dialoghi sono bruschi e mai edulcorati. Abituati a versioni purgate delle fiabe (nell’ultima Biancaneve siglata Disney il cacciatore neanche uccide il cerbiatto per rubargli il cuore) siamo colpiti dalla totale libertà creativa della regista norvegese, dalla sua indifferenza al politicamente corretto.
La madre è giustamente crudele e felice di accaparrarsi un possibile pretendente della figlia e di giacere con lui, anche in presenza delle figlie , i giovani nobile a corte si permettono commenti molto inappropriati sulle pretendenti al trono, l’ansia delle giovani donne di “sistemarsi” non arretra di fronte a nessuna umiliazione.

Elvira è disposta a tutto pur di raggiungere il suo scopo e se la scarpina non le entra, cosa di meglio che tranciarsi le dita dei piedi con una mannaia? Dettaglio che peraltro appariva anche nella fiaba originale dei Grimm.
Impianto lussuoso nelle scenografie, attrici talentuose, costumi così ricchi da far ricordare il Maria Antonietta di Sofia Coppola a cui di sicuro la regista ha pensato.
Mi raccomando, non portateci i bambini e, se vi spaventa la brutalità, il gore, il troppo sangue, le viscere esibite e l’humour macabro, siete avvisati: nel film abbondano. Se invece avete voglia di un Halloween creativo, questa è una buona occasione.

Ed è anche una boccata d’aria fresca in troppo cinema attento alle convenzioni, un modo brutale, estremo di mettere sotto accusa l’ossessione attuale che spinge tante giovani donne ad aderire agli standard di bellezza del momento, anche a costo di accantonare la loro identità.
