“Chi di violenza vive forse ha quella soltanto” è la frase di una vecchia canzone di Renato Zero capace di portarci direttamente nel cuore del discorso. La violenza è una compagna di vita, una modalità di relazione con gli altri per alcuni l’unica modalità: non sto giustificando ma solo analizzando.
La guerra, le cattive azioni e la violenza che a vario titolo pervadono il mondo e le nostre vite conducono ad una domanda ricorrente: “Perché il male sembra predominare sul bene?”. Da questa si giunge a riflettere, per chi crede, su che ruolo abbia Dio, il bene supremo ed eterno, in questa dinamica distruttiva e difficilmente accettabile. Il filosofo Leibniz ideò il termine Teodicea (lett. Giustizia di Dio) dove nella sua opera omonima egli inserì la libertà nel disegno divino.
Ancor prima la religione cattolica ci insegna che l’uomo possedendo il libero arbitrio può quindi scegliere se fare il male o il bene, del resto ce lo dice la Genesi dove Adamo ed Eva potevano scegliere se commettere o no il peccato originale… sappiamo come è andata a finire. Sappiamo anche, sempre dall’Antico Testamento, che i figli di Adamo, Caino e Abele, rappresentavano gli opposti: Caino uccise Abele decretando la vittoria del male sul bene. Egli fece una scelta, il libero arbitrio glielo permise.
Il caso del genitore della provincia di Torino che qualche giorno fa è sceso in campo per aggredire intenzionalmente il portiere tredicenne della squadra di calcio in cui gioca suo figlio è l’esempio di una scelta. Un fatto che ci fa interrogare sul perché questo genitore abbia picchiato un coetaneo del figlio. A quanto pare tra le due squadre in campo è partito un diverbio canzonatorio, si prendevano in giro, tanto è bastato per scatenare la furia del padre in questione.
La prima considerazione è che la violenza è un cattivo esempio, come può crescere un ragazzo se il proprio genitore mette in atto una modalità relazionale aggressiva per risolvere le controverse? In campo erano presenti gli allenatori che in qualità di educatori sarebbero intervenuti, del resto un gioco a squadre implica già l’accettare la sconfitta rappresentando la vita stessa; lo sport è competizione non guerra, è accettare la vittoria dell’altro perché è più bravo, lo sport è maestro di vita.
Non è la prima volta che un padre interviene anche se non così violentemente, anche se le brutte parole sono violenza e non solo i gesti, non è la prima volta infatti ci sono diversi esempi che ci conducono tutti ad un’unica conclusione quella della esautorazione delle figure educative. Entrare in campo e picchiare un ragazzino oltre ad essere un atto deplorevole e inaccettabile, è un comportamento lesivo per i ragazzi: l’allenatore non ha valore, è un incapace, etc.
Un genitore deve dare il buon esempio, la violenza si compatte con l’eduzione sentimentale: lo affermo da sempre. Se il padre in questione sentiva il bisogno di difendere il proprio figlio poteva farlo una volta a casa e spiegargli, magari, che ci sono le parole senza giungere alle mani per proteggere se stessi. Purtroppo quel adulto poteva scegliere se essere violento oppure no, ma ha scelto la via peggiore. Resta il fatto che il bene è prevalso perché tra tanti genitori solo uno si è comportato perseguendo il male.