Memoria e dignità al Parco di via Giambellino
A Milano, nel cuore di via Giambellino, oggi è stato inaugurato un murale dedicato ad Alan Kurdi, il bambino curdo del Rojava (Siria) la cui immagine senza vita sulla spiaggia di Bodrum è diventata il simbolo universale delle migrazioni negate. L’opera si trova nel parco che porta il suo nome, uno dei più grandi della città, aperto appena un anno fa.
La cerimonia non è stata solo un momento artistico o commemorativo. È stata un’occasione collettiva di memoria e resistenza. Sono stati ricordati i 28.000 uomini, donne e bambini morti nel Mediterraneo, i bambini di Gaza e la popolazione palestinese, vittime quotidiane di un massacro che l’Occidente troppo spesso osserva in silenzio. È stata evocata la condizione di chi fugge da guerre, repressioni, dittature, e cerca, con coraggio, di attraversare il mare in cerca di una vita degna.
Le parole di chi ha vissuto sulla propria pelle l’esperienza migratoria hanno reso il momento ancora più intenso. «Io sono stata una bambina immigrata, so cosa significa essere migranti»
Ho raccontato durante la cerimonia. «L’immigrazione non è la piaga che viene descritta, anzi. Basta pensare a chi assiste i nostri anziani, a chi cresce i figli che i genitori, spesso per inseguire il lavoro o la carriera, non riescono a seguire. Senza i migranti, questo Paese si fermerebbe».
Il discorso si è allargato a una riflessione più universale. «Tutto migra: l’acqua, l’aria, i pesci, l’ossigeno. Migriamo noi, esseri umani. Eravamo una manciata di persone partite dall’Africa tanti anni fa e oggi siamo sparsi nel mondo. Il pianeta non appartiene a nessuno: siamo tutti di passaggio. Il mondo è di tutti».
Il richiamo al poeta e mistico Rumi ha dato al ricordo un respiro spirituale: «Tutto morirà, anche l’uomo morirà. Ma ciò che non morirà sarà l’umanità». Una frase che oggi, di fronte ai confini chiusi e al ritorno dei muri, suona come monito e promessa insieme.
Il ringraziamento finale al Comune di Milano per aver intitolato il parco ad Alan Kurdi non è stato formale, ma vissuto. «Noi immigrati serviamo a questo Paese. I miei figli sono figli di questa terra e io voglio lasciare qualcosa di importante all’Italia. Restituire il bene che ho ricevuto, aiutare gli ultimi. Ma senza mai togliere dignità a nessuno. L’immigrato è umano quanto lo è l’autoctono».
Il murale inaugurato oggi non è dunque solo un’opera d’arte pubblica: è un grido di dignità e un atto politico. Ricorda che i nuovi italiani saranno figli di migranti, mentre l’Europa continua a erigere confini e a contare cadaveri in mare.
Alan Kurdi, bambino curdo del Rojava, non è morto invano se il suo nome e la sua immagine continueranno a interrogarci, nelle piazze, nei parchi e nelle coscienze.