Quando, come e perché si determina il sesso

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Maschio o femmina? È intuitivo: per sapere il sesso di un neonato basta guardarne i genitali. Eppure, essere maschi o femmine non dipende solo dall’aspetto dei genitali esterni. Essere maschi o femmine dipende da diversi fattori: la maggior parte di questi fattori sono  biologici, altri sono per lo più familiari, sociali e ambientali.

Fattori biologici: l’Y che fa la differenza.identità biologica

Il primo elemento a determinare il sesso biologico di un individuo è il suo corredo cromosomico che viene stabilito al momento del concepimento. E la diversità tra maschi e femmine è scritta in ogni cellula del nostro organismo, non soltanto in quelle dell’apparato sessuale.

I nostri primi 40 giorni di vita.

Il nostro corredo cromosomico possiede 23 coppie di cromosomi (cariotipo), tra cui la coppia di cromosomi sessuali – XX per la femmina e XY per il maschio – determinano il “sesso genetico”.

Il sesso genetico viene determinato già nel momento della fecondazione, però per i primi 40 giorni di vita l’embrione, indipendentemente dai cromosomi che possiede, è neutro: come dire che fino a quel momento sono gli elevatissimi livelli di estrogeni della nostra mamma a renderci tutti democraticamente femminili.

Dal secondo mese di gravidanza…

Solo a partire dalla sesta settimana di gravidanza la comparsa dei caratteri sessuali, le gonadi, dà inizio a ciò che saremo di lì in poi: uomo oppure donna.

Diventare maschi o femmine non dipende soltanto dal “sesso genetico”, cioè dalle «informazioni» iscritte nei cromosomi XY o XX, ma anche dall’emergere di un “sesso gonadico”, cioè dalla comparsa, nel corso dello sviluppo dell’embrione, di genitali di tipo maschile o di tipo femminile: questa comparsa è indotta da un gene, chiamato SRY (sex determining region Y). Nei maschi la presenza della Y fa sì che le gonadi si trasformino in testicoli, viceversa nelle femmine l’assenza della Y promuove la formazione delle ovaie.

Sotto l’azione del gene SRY, i testicoli hanno il compito di produrre gli ormoni sessuali maschili o androgeni, che sono appena diversi come formula chimica da quelli femminili, gli estrogeni.

Poi è una questione di ormoni.

Fino alle sette settimane di gestazione, i genitali esterni maschili e femminili sono indistinguibili. Da quel momento in poi e fino alla 12^ settimana prende forma il “sesso genitale”.

Nel maschio gli androgeni, l’ormone testosterone, promuovono lo sviluppo del pene, dello scroto e di altre parti degli organi genitali.

Nelle femmine le ovaie secernono gli ormoni femminili, estrogeni e progesterone.

Gli ormoni quindi determinano la struttura degli organi genitali maschili e femminili, interni ed esterni.

E dopo il parto?

Le differenze si faranno sentire ancora di più immediatamente dopo il parto, quando l’improvvisa mancanza del flusso estrogenico materno porterà le bambine a una sovrapproduzione compensatoria (di estrogeni, appunto) e i bambini a una nuova vitalità di quelli maschili (testosterone), liberi per la prima volta dall’azione inibente degli estrogeni della mamma.

Perciò succede che per i sei mesi a seguire (che sono cruciali) riconosciamo nei neonati un comportamento biologico ormonale molto simile a quello dell’età adulta (si pensi, ad esempio, che il ph dell’ecosistema genitale di una neonata dagli 0 ai 6 mesi ha gli stessi valori di una donna adulta!).

A sei mesi poi la produzione ormonale cessa e comincia l’infanzia, un periodo che rimanda alla leggerezza e alla spensieratezza, come se la natura dopo avere concentrato alacremente i suoi sforzi per assemblare i “mattoncini” della nostra sessualità nei 15 mesi successivi il concepimento (9+6), si prendesse infine una lunga tregua.

Attenzione, però: sarà pure una tregua, ma si tratta sempre di un periodo fondamentale. Gli ormoni sono a riposo (pronti per l’esplosione della pubertà che verrà), al contrario i ricettori psicologici sono dinamici e attivissimi. Accanto ai fattori biologici entreranno allora in gioco fattori familiari, ambientali e sociali che accompagneranno e influenzeranno il bambino nella sua scoperta della sessualità e in lui entro i primi tre anni di vita comincerà a prendere forma l’”identità di genere”

Cos’è l’identità di genere?

Innanzitutto, parlando di identità sessuale bisogna distinguere tra IDENTITA’ LEGATA AL SESSO, IDENTITA’ LEGATA AL RUOLO e IDENTITA’ DI GENERE

L’identità sessuale è quella biologica, quindi il fatto di avere un assetto ormonale a prevalenza di testosterone o di estrogeni e caratteri sessuali primari e secondari morfologicamente maschili o femminili.

L’identità legata al ruolo è l’insieme dei comportamenti che una persona adotta per comunicare a sé e agli altri la propria femminilità o virilità: il modo di vestire, di gesticolare, gli hobby. In seno a un dato contesto storico-culturale ci sono comportamenti ritenuti maschili, come l’essere rudi mentre l’essere comprensive e dolci è un ruolo attribuito al mondo femminile.

L’identità di genere, invece, coincide con la percezione intima e profonda, la convinzione permanente e precoce di essere uomo o donna. L’identità di genere quasi sempre coincide con l’appartenenza al sesso biologico, ma in una minoranza di soggetti si verifica un’identificazione con le caratteristiche del sesso opposto: questo significa che è possibile sentirsi una donna anche se si ha il corpo di un maschio o viceversa.

Due sessi sono pochi.

Una donna imprigionata nel corpo di un uomo” oppure “un uomo nel corpo sbagliato di una donna”: così si definiscono i transessuali, persone che non hanno alcuna ambiguità genitale, ma che soffrono invece di un disturbo dell’identità per cui si sentono di sesso opposto rispetto a quello biologico. Per questo, la persona transessuale cerca di adeguare il suo aspetto esteriore, l’abbigliamento e il comportamento a quelli del sesso desiderato e in genere prova attrazione sessuale verso persone del proprio sesso anatomico, anche se vive questa attrazione come se fosse eterosessuale e non omosessuale.

Come si sviluppa l’identità di genere?

Essa si definisce in un periodo che va dalla nascita fino ai tre anni di età, ed è il risultato dell’interrelazione tra il bambino e i genitori (le identificazioni parentali), l’educazione ricevuta e l’ambiente socioculturale in cui il bambino si sviluppa fisicamente e psichicamente.

Ci sono due momenti molto importanti in questo percorso di sviluppo:

1) Intorno ai tre anni, quando il bambino acquisisce il linguaggio e parla di sé al maschile o al femminile. In questa fase, se un bambino si definisce continuamente come femmina, pur essendo maschio o viceversa, non bisogna lasciarsi angosciare dall’idea che ci sia qualche problema nello sviluppo dell’identità di genere.

2) Intorno ai sei-sette anni, è questa la fase cruciale in cui si struttura la “costanza di genere”: i bambini prima di questa età non hanno ben chiara l’idea temporale, per cui possono pensare di essere maschi, ma di potere diventare successivamente femmine, o al contrario. Quando invece la costanza di genere è strutturata, i bambini sanno che se sono maschi saranno sempre maschi e così per le femmine.

Una chiara presa di coscienza sulla propria identità di genere e ancor più una scelta consapevole del proprio orientamento sessuale sarà comunque un’acquisizione tipica della fine dell’adolescenza.

Fino a quel momento, all’interno del percorso di costruzione dell’identità di genere di ciascun bambino, esistono una serie di comportamenti che i genitori tendono a considerare più o meno appropriati e pertanto incoraggiano o scoraggiano a seconda dell’identità biologica del bambino, cioè rispetto al suo essere un maschio o una femmina. Ad esempio, certi capricci e certe moine sono generalmente considerate normali in una bambina, mentre vengono rimproverati al maschietto. Esiste cioè fin dai primissimi anni di vita un’inclinazione dell’identità di genere da parte del contesto familiare e sociale in base all’appartenenza biologica del bambino ad un sesso o all’altro.

E’ corretto sgridare un bambino che preferisca i giochi femminili o viceversa?

Sgridare un maschietto perché preferisce giocare con le bambole piuttosto che con i soldatini, o criticare il bambino che esprima la curiosità per la danza solo perché è considerata una prerogativa femminile, crea in realtà un forte carico di aspettative circa il modo in cui sarebbe lecito o meno comportarsi, solo in virtù del proprio genere sessuale, non facendo altro che provocare confusione e incertezza nei piccoli soggetti.

Aspettarsi da un figlio maschio un super-macho può portare al risultato opposto: quello di alimentare i dubbi, i complessi e le fragilità di chi deve obbligatoriamente identificarsi con un modello esterno irraggiungibile, con conseguenti tematiche relative all’inadeguatezza, all’ansia performativa, alla paura dell’esposizione, del deludere le altrui aspettative – sofferenze profonde dell’anima che si potrebbero evitare insegnando ai figli il valore assoluto di essere soprattutto se stessi.

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Profilo Autore

Aura Fede

Aura Fede. Siciliana ma ora abita a Treviso. A Padova ha fatto gli studi pre-universitari e universitari. Docente nel corso post-laurea (per psicologi e specialisti ginecologi) di psicoprofilassi ostetrica dell’Università di Padova E' sessuologa clinica (altre a consulente) e Formatore dell'istituto Internazionale di Sessuologia di Firenze diretto dalla prof. Roberta Giommi. Ha frequentato il corso di Mindfulness presso l’AISPA di Milano, autrice di lavori scientifici su vari argomenti legati alla specializzazione. Coautore di volumi sul benessere delle donne e sul benessere dei ragazzi.

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