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    Home»Donna e lavoro»Donne e arte»ARTEDIPARTE. LA PIANISTA PERFETTA AL LITTA
    Donne e arte

    ARTEDIPARTE. LA PIANISTA PERFETTA AL LITTA

    loredana mettaBy loredana metta03/02/2020Updated:03/02/2020Nessun commento5 Mins Read
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    pianista-perfetta-al-litta
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    Terminata ieri una rappresentazione dedicata a Clara Wieck Schumann (1819 – 1896) al Teatro Litta di Milano. Con l’interpretazione di Guenda Gori.

    In quel meraviglioso, intimo e accogliente spazio che è il Litta, lì dove si conserva, giusto nel cuore di Milano, tutta la sua fascinosa tradizione culturale, un grande evento, davvero un piccolo miracolo, si è verificato nelle fredde giornate di questo fine gennaio/inizio febbraio: sul palcoscenico, accanto a un pianoforte gradevolmente scordato come da esigenze di scena, si è ripresentata, viva e frusciante nel suo elegante abito, e in tutta la sua abbagliante bellezza, Madame Schumann, al secolo Clara Wieck, nell’interpretazione dell’attrice e pianista Guenda Gori, su testo di Giuseppe Manfridi e con la regia di Maurizio Sciaparro.

    Potete immaginare quali aspettative si siano accese in noi (Artediparte è nata per riflettere sulla questione di genere nell’arte), anche soltanto per l’idea di questo spettacolo: un tentativo d’ibridazione fra concerto e spettacolo di prosa, che fa sperare interessanti innovazioni per gli appassionati di entrambi i generi di spettacolo e costituisce un promettente filone, quanto mai benvenuto se si propone, come fa questo testo, di mettere al centro dell’attenzione del pubblico – che può essere fecondamente coinvolto nel doppio ruolo di pubblico “reale” e “in scena” – ridandole protagonismo, una delle stelle della cultura europea dell’Ottocento. E così, Clara, elegante e radiosa, ha preso la parola, è tornata ad eseguire la musica che amava, e ci ha lasciati pieni di desiderio e di nostalgia.

    Lapianista-perfetta
    Guenda Gori

    Interpretare uno dei miti e nello stesso tempo una delle figure centrali del Romanticismo musicale è operazione delicata, che richiede saggezza ed equilibrio. A vaste possibilità, davvero appassionanti, e a molteplici aperture invogliava questa pièce, che richiedeva attenzione e sapienza e doveva rispetto tanto alla parola quanto alla musica, evitando sovrapposizioni troppo capricciose e scelte casuali e ingiustificate di repertorio, che tradiscono l’amore che si deve a entrambe le forme espressive.

    La generosità di questa attrice di ammirevole versatilità (non è certo facile, né comune, presentarsi in scena in due diversi e complessi ruoli, come attrice e come musicista), con la sua eleganza, il suo esprit e il suo palpabile entusiasmo, non è riuscita a salvare un testo confuso, pieno di buona volontà, ma poco lucido, con continui, rapsodici e imprevedibili scarti fra la presentazione del personaggio pubblico e quello privato di Clara, fra la donna e l’artista, fra introspezione e rêverie, proprio come fra musica e parola. L’autore ha volenterosamente aperto molte piste, senza davvero perseguirne alcuna con reale efficacia scenica, accennando a tanti eventi storici, a tanti umori e sentimenti, seguendo capricciosamente ora l’uno ora l’altro filo, senza mai dipanare il racconto in modo completo e convincente.

    L’inquadramento nel maggio 1856, due mesi prima della morte di Robert Schumann, annunciato sin dalle primissime battute, predispone lo spettatore e la spettatrice avvertito/a al desiderio di penetrare nei sentimenti reali di questa donna, che affronta il momento più nero e disperato della sua vita e, in effetti, si coglie qualche avvisaglia di questi sentimenti, frammista a segnali pesantemente contraddittori: atteggiamenti divistici, assurde civetterie, ripetitive osservazioni da borghesuccia. Occhiolini, gridolini e mezzucci…

    Siamo spinte a chiederci se sia stato fatto un serio approfondimento del carattere e delle inclinazioni di Clara Wieck, sulle tante, abbondanti, fonti disponibili e se le sia stato riconosciuto uno spessore culturale, e un vero ruolo: di compositrice, di musicista e intellettuale, capace di influenzare la scena del concertismo europeo della sua epoca, o se piuttosto ci si sia voluti fermare a quegli aspetti, tradizionali e rassicuranti, di moglie, madre e amante che tanto piacevano ai vecchi libri di Storia della musica per le Scuole medie. Confermare pregiudizi e luoghi comuni, anziché dare presenza e vivacità alla nuova interpretazione di un personaggio che, per la prima volta, è solo al centro della scena; tentarne una veste inusitata, invece che la conferma di una personalità già banalmente nota. Una individualità così alta e complessa, così piena di sogni e ideali, di sensibilità e di talenti, che ha vissuto accanto a molte personalità dotate di genio, ma che era geniale lei stessa, deve davvero continuare a risentire in modo tanto insistente di dicerie e pose che poco la riguardano? Ci sono così tante lettere e testimonianze della sua esistenza, che avrebbero potuto essere meglio sfruttate per raccontare Clara Wieck in modo convincente e anche commovente, com’è richiesto in teatro. Ci chiediamo se davvero il pubblico presente, numeroso ed entusiasta, sia andato a casa con qualche conoscenza in più su questa donna straordinaria o non ne abbia piuttosto concluso la solita solfa: musa ispiratrice, moglie, madre di una numerosa nidiata di fili e figlie, e sì, d’accordo, anche pianista virtuosa. Ma il pubblico colto di Milano già conosce questa storia, non è vero? O era piuttosto questo che si cercava: dare ai salotti buoni, di Milano e altrove, la conferma di ciò che conoscono già. No, troppo poco davvero. E non lo crediamo.

    Uno spettacolo dedicato a Clara Wieck Schumann, degno di lei, della sua grandezza, è ancora da realizzare, ma siamo grate a questa rappresentazione di aver tentato un esperimento, brillante e appassionante, sebbene sia un frutto ancora immaturo. Lo metteremo nel settore della nostra libreria in cui conserviamo, non ciò che abbiamo già letto e concluso, e consideriamo realizzato, ma fra i libri e gli spartiti che ancora non abbiamo avuto il coraggio, la voglia e la determinazione di leggere. Nel reparto “sogni da realizzare” “cose non ancora compiute”, “aspirazioni” ed “esperimenti da tentare”.

    Chissà se anche Clara aveva un ripiano così nella libreria di casa sua…

    E voi, ne avete uno?

    Potremmo ben considerarlo il più importante e prezioso di tutti. Non siete d’accordo?

    Guenda Gori
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    loredana metta

    Loredana è una che da tutta la vita si ostina a definirsi musicista e lo è, o meglio, continua a desiderare di diventarlo con tutte le sue forze. Ama insegnare musica, nonostante i diplomi di Conservatorio e i numerosi corsi di specializzazione. Perché fare musica è trovare una via alla conoscenza di sé e il pianoforte è una palestra per la relazione con se stesse, con gli altri e le altre… Insegna Pratica e lettura pianistica al Conservatorio di Vicenza. La sua più grande emozione: vedere due mani inesperte toccare il pianoforte per la prima volta. Vive a Milano, con 9 piante, che hanno tutte un nome, e un certo numero di pupazzi, fra cui Fabio, il suo amato compagno. Adora il cinema, l’arte, la filosofia . É laureata a Bologna in discipline semiotiche.

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    Caterina Della Torre

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    La solitudine dei non amati, firmato e diretto dal La solitudine dei non amati, firmato e diretto dalla regista norvegese Lilja Ingolfsdottir, nella sua opera prima, con Oddgeir Thune, Kyrre Haugen Sydness, Helga Guren e Marte Magnusdotter Solem .
    https://www.dols.it/2025/06/06/la-solitudine-dei-n https://www.dols.it/2025/06/06/la-solitudine-dei-non-amati/

La solitudine dei non amati, firmato e diretto dalla regista norvegese Lilja Ingolfsdottir, nella sua opera prima, con Oddgeir Thune, Kyrre Haugen Sydness, Helga Guren e Marte Magnusdotter Solem .
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    Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo roman Per anni nessuno ha voluto pubblicare il suo romanzo, L’arte della gioia, uscito dopo la sua morte (nel 1996 a 72 anni) e solo grazie alla dedizione del marito, Angelo Pellegrino. Il libro vide la luce nel 1998 presso Stampa Alternativa (e poi nel 2008 da Einaudi). Tollerata dai salotti intellettuali del tempo, dove era entrata grazie alla sua lunga relazione con il regista Citto Maselli, Goliarda Sapienza fu sempre insofferente nei confronti del mondo intellettuale e borghese. Attrice, scrittrice, donna libera, più irregolare che anticonformista, chissà cosa penserebbe dell’interesse che sta suscitando in questo periodo non solo la sua opera ma anche la sua vita.

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