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    Home»Pari opportunità»Donne politica»Ma oggi cosa significa convocare gli “Stati generali”
    Donne politica

    Ma oggi cosa significa convocare gli “Stati generali”

    Marta AjòBy Marta Ajò05/11/2019Nessun commento7 Mins Read
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    statigenerali-DELLE DONNE
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     La denominazione di “Stati generali” è stata ‘esportata in un linguaggio più generico e non strettamente politico, conservandone però il significato di spazio aperto di dialogo, accessibile a tutti i portatori di interessi collettivi su una precisa tematica’.

    Con questa terminologia, “Stati generali”, si fa comunemente riferimento ad una istituzione che fu in vigore nel lungo periodo della monarchia francese (États généraux).

    Sebbene quest’assemblea fosse nata con la funzione di limitare e controllare il potere monarchico, da parte sua il re l’aveva di fatto esautorata non convocandola.
    Essa raccoglieva tutte le forze che avevano a che fare con lo Stato (clero, nobiltà e terzo stato) e il suo ruolo contemplava di riunirsi quando si fossero presentati pericoli per il paese. Ebbe il suo momento di apicale protagonismo durante la Rivoluzione francese del 1789 quando i suoi membri strinsero il “Giuramento della Pallacorda”che imponeva di non sciogliersi sino a quando il re non avesse concesso le libertà richieste. Come si svolsero poi i fatti li racconta la memoria storica.

    Oggi

    Nell’ epoca contemporanea, la denominazione di “Stati generali” è stata ‘esportata in un linguaggio più generico e non strettamente politico, conservandone però il significato di spazio aperto di dialogo, accessibile a tutti i portatori di interessi collettivi su una precisa tematica’.
    Tra il passato e l’oggi si evidenzia però una differenza sostanziale.
    All’inizio infatti essi furono una struttura (parallela al sistema feudale) che si basava sul riconoscimento degli interessi generali di tutti i gruppi sociali nel loro insieme, dunque di tutta la società civile, assumendo di fatto un valore politico imprescindibile.
    Gli “Stati generali” a cui ci si sente appartenenti oggi si configurano piuttosto come espressione di varie categorie, separate e portatrici di interessi diversi.
    Altresì esistono alcuni gruppi sociali definiti “fasce deboli”. In esse sono indicati donne-anziani-bambini, come si evidenzia da studi, ricerche e statistiche, senza una scala di priorità sostenibile. Due dei soggetti in questione, anziani e bambini, purtroppo non sono in grado di autoconvocarsi e rappresentarsi alla politica se non attraverso terzi ma, per quanto riguarda le donne la situazione assume connotati diversi.
    Più precisamente siamo in grado, come genere, di affermare che una morta non è “una donna morta” ma una persona uccisa.

    Ieri

    Nel passato remoto e recente, dopo gli anni del femminismo che ha avuto il merito di richiamare l’attenzione sulla questione di genere nella politica e nel mondo, dopo le battaglie referendarie ecc., le risposte della politica si sono tuttavia reiteratamente dimostrate insufficienti, piuttosto attente ad intestarsi, a volte arbitrariamente, i pochi successi.
    E’ stato solo grazie alla politica per la “parità e l’uguaglianza delle donne”, innescata e imposta dalla Comunità Europea a tutti gli Stati aderenti, che il nostro Paese ha intrapreso la strada istituzionale per la politica di genere.
    L’obbedienza alle raccomandazioni-linee emanate di volta in volta non ha dato purtroppo i frutti sperati.
    Le “donne” sono state di volta in volta usate impropriamente per ottenere un maggiore consenso elettorale dai partiti costringendole a mediare continuamente le loro richieste fino ad esautorarle di contenuto e a legarsi ad appartenenze garantiste quanto indifferenti. La politica “femminile” è rimasta monopolio della politica “generica” e delle sue convenienze.
    Decenni d’impegno delle donne nel politico, nel sociale, nell’associazionismo, nel sindacato, in ogni realtà professionale sono stati resi vani.
    “Conquiste” come le quote rosa, le azioni positive, le liste di genere, le rappresentanze numeriche come strumenti di rinnovamento hanno mostrato i limiti dell’obbligo al posto della consapevolezza.
    A causa di un cattivo uso di questi strumenti poche le donne che hanno conquistato spazi reali di rappresentanza. Ma non sono solo i numeri che possono fare la differenza.
    Certo che oggi le donne sono molto più presenti che in passato, grazie a queste norme, ma non per questo esse riescono a contaminare il profondo pregiudizio di genere che limita ancora la società.

    Le donne e la politica

    E’ la politica, quella che provvede all’organizzazione e amministrazione dello stato e della vita pubblica, che emana leggi e regolamenti, che esercita il diritto dovere di rapportarsi ai cittadini ed ai loro bisogni, che deve dare risposte adeguate. Per questo le richieste poste dalle donne non devono essere considerate l’esasperazione di un fenomeno già risolto, bisognoso forse di qualche aggiustamento. Perché le donne non sono una categoria di cittadine scomode e incontentabili ma un valore trasversale per il Paese.
    Non esistono argomenti di genere ma la complessità di genere.
    In questo millennio che volge verso un futuro dinamico e imprevedibile, accostarsi alla componente femminile mostrando maggiore interesse a tematiche che riguardano famiglia-maternità-sessualità piuttosto che lavoro-formazione-economia-ambiente ecc. come fossero cose distinte, non sviluppa politiche di avanzamento. Purtroppo anche nel recente dibattito politico si è manifestato questo atteggiamento “conservatore di genere”.

    In campo

    Dopo gli anni del femminismo, cui con orgoglio e spesso si fa riferimento, le donne non hanno mai cessato di rivolgersi alla politica considerandola interlocutore primario ma senza fare mai salire il livello del confronto. Anziché reagire in modo “rivoluzionario” hanno scelto la via della responsabilità limitata, troppo spesso esiliandosi in un posizionamento difensivo.
    Altre, come è il caso del movimento “Stati Generali delle Donne”, operante da cinque anni su tutto il territorio nazionale, ha sviluppato una rete che opera con energia straordinaria e grande competenza. Molte delle sue aderenti hanno svolto o svolgono incarichi prestigiosi.
    Riunitisi per la prima volta, su convocazione di Isa Maggi che ne stata l’anima il 5 dicembre 2014 a Roma presso il Parlamento Europeo, essi si sono sparsi a macchia di leopardo su tutto il territorio dando vita ad un percorso di modernizzazione del concetto di “stati generali” pur mantenendone la forza espressiva.

    Altre realtà e in diverse occasioni, anche culturali, hanno usato una terminologia simile per indicare la fine della pazienza e della resilienza femminile. Ma per divenire ed esistere come unica realtà sarebbe importante che tutti questi gruppi aderissero e convogliassero in un unico soggetto.

    Altri

    Le affermazioni che ultimamente sono venute da alcune forze partitiche per affrontare la politica del femminile inquieta. Nel merito, le forze di governo ma anche di opposizione che si sono succedute nel tempo, hanno mostrato scarso interesse salvo farne un vessillo elettorale.
    Forse è arrivato nuovamente il momento di rimescolare la metodologia politica al femminile per portare loro una ventata d’innovazione.
    I partiti tradizionali, che si sono avvalsi nel passato (forse ancora ma non se ne sente la presenza) di sezioni di lavoro specifiche al loro interno, “commissioni femminili”, hanno perso credibilità da tempo fra le loro stesse appartenenti e non è presente alcuna loro posizione nel dibattito.
    A loro volta gli organismi istituzionali predisposti ad operare e monitorare la politica di genere si sono adoperati a loro volta più in attività interne alla propria struttura che in azioni riconoscibili all’esterno. Tendenzialmente, nelle istituzioni preposte, ci si è adoperati alla realizzazione di progetti di ricerca, pur utili, piuttosto che in altri spazi di formazione e di comunicazione.
    Al contrario il movimento degli SGD, ha individuato differenti modalità d’intervento per convogliare forze e saperi verso un unico progetto.
    Questo dimostra che se “tutte” le forme di partecipazione delle donne trovassero forma, forza e volontà di aderire ad un progetto comune e se gli SGD ottenessero un riconoscimento istituzionale, tutte insieme potrebbero divenire il “soggetto” idoneo ad indire un tavolo d’incontro-confronto nazionale in cui concordare proposte comuni e divenire di fatto un organo consultivo permanente del governo fino alla realizzazione del progetto stesso.
    Gli “Stati generali” avrebbero così adempiuto al “perché” della loro chiamata.

    Ora

    In questo millennio potrebbe presentarsi l’ultima possibilità d’invertire queste tendenze. La “questione” di genere è un tema che travalica i confini di ciascuno stato nel mondo.
    Le donne sono ancora soggetti di terribili vessazioni contro le quali il nostro Governo dovrebbe assumere una posizione anche a nome di tutte le altre e in particolare delle sue cittadine.
    Attente alla contemporaneità, ai saperi scientifici, allo sviluppo delle tecnologie, il movimento delle donne deve contemporaneamente confrontarsi con antichi stereotipi, che ne limitano l’esistenza, per sconfiggerli e non per tollerarli.
    Si tratta infine di scrivere, tutti insieme, nuove regole di sopravvivenza e di convivenza.

    stati generali
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    Marta Ajo
    Marta Ajò
    • Website

    Marta Ajò, scrittrice, giornalista dal 1981 (tessera nr.69160). Fondatrice e direttrice del Portale delle Donne: www.donneierioggiedomani.it (2005/2017). Direttrice responsabile della collana editoriale Donne Ieri Oggi e Domani-KKIEN Publisghing International. Ha scritto: "Viaggio in terza classe", Nilde Iotti, raccontata in "Le italiane", "Un tè al cimitero", "Il trasloco", "La donna nel socialismo Italiano tra cronaca e storia 1892-1978; ha curato “Matera 2019. Gli Stati Generali delle donne sono in movimento”, "Guida ai diritti delle donne immigrate", "Donna, Immigrazione, Lavoro - Il lavoro nel mezzogiorno tra marginalità e risorse", "Donne e Lavoro”. Nel 1997 ha progettato la realizzazione del primo sito web della "Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità" della Presidenza del Consiglio dei Ministri per il quale è stata Editor/content manager fino al 2004. Dal 2000 al 2003, Project manager e direttrice responsabile del sito www.lantia.it, un portale di informazione cinematografica. Per la sua attività giornalistica e di scrittrice ha vinto diversi premi. Prima di passare al giornalismo è stata: Consigliere circoscrizionale del Comune di Roma, Vice Presidente del Comitato di parità presso il Ministero del Lavoro, Presidente del Comitato di parità presso il Ministero degli Affari Esteri e Consigliere regionale di parità presso l'Ufficio del lavoro della Regione Lazio.

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E’ assolutamente da vedere il nuovo film di Steven Soderbergh intitolato Black Bag – Doppio gioco, con Cate Blanchett stupenda, simbolo della lussuosa coolness londinese e Michael Fassbender, gelido, impeccabile, finanche cinico, Arabela, Tom Burke, Naomie Harris, Pierce Brosnan e Regé-Jean Page, scritto dal geniale David Koepp.
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Un libro che sorprende l’ultimo lavoro editoriale di Mariangela Gualtieri .
Poetessa, drammaturga, attrice, personaggio unico per sensibilità e grazia nel mondo culturale e teatrale italiano che stavolta ci stupisce facendoci ritornare tutti un pò bambini con un volume di grande formato fatto di rime e disegni da colorare.
Un gioiello per chi desidera donarsi momenti di lentezza e libera immaginazione.
Inizia proprio con il mio scoprire questo gioioso suo ultimo lavoro il dialogo con Mariangela , gentile e disponibile come sempre , in una intervista che non può non toccare anche i grandi temi del tempo complesso che viviamo.
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Adesso che hai sgranchito la penna e le idee, è il momento di creare qualcosa che potrà essere anche breve ma sicuramente più significativo dei semplici giochi linguistici. Lasciati suggestionare dalle citazioni e ispirare dai suggerimenti. Sperimenta con stili e generi diversi, e non aver paura di esprimere la tua creatività o le tue stranezze. Cosa aspetti? Scrivi!
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Quante volte, da immigrati, ci siamo sentiti dire: “Se tutti fossero come voi, così integrati, sarebbe diverso”? Quante volte il nostro valore è stato misurato in base alla capacità di adattarci, di “assomigliare” alla cultura dominante? Ma questa non è una dinamica esclusiva delle migrazioni o della religione. Ovunque, gruppi diversi si osservano con sospetto. Il “diverso” fa paura.

Se ci spostassimo in un villaggio del Togo, del Senegal, del Congo, del Tibet, della Birmania o del Perù, troveremmo le stesse dinamiche: anche all’interno della stessa etnia, le tribù si guardano con diffidenza. Come se l’altro fosse meno degno, meno umano. È un istinto antico, quasi animale, nato dal bisogno di proteggere il proprio spazio. Ma qui nasce il paradosso: gli animali conoscono il proprio territorio e lo rispettano. Noi esseri umani, invece, non facciamo altro che invadere, appropriandoci, giudicando, alimentando paure e pregiudizi grandi come montagne.
https://www.dols.it/2025/04/16/pregiudizi-paura-e-confini-invisibili-il-difficile-cammino-dellumanita-verso-laccettazione/

⸻
    Regia di Guido Chiesa Prodotto da Iginio Straffi e Regia di Guido Chiesa
Prodotto da Iginio Straffi e Alessandro Usai
Con Micaela Ramazzotti, Edoardo Leo, Gloria Harvey, Andrea Pisani, Anna Bonaiuto
Al cinema dal 17 aprile
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E’ la prima ampia mostra personale in Italia dell’artista iraniana; che attraverso le sue opere filmiche e fotografiche esplora le rappresentazioni identitarie del femminile e del maschile nella sua cultura.
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