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      La solitudine dei non amati

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    Home»Pari opportunità»Parità di genere»La spettatrice»Uno sguardo altrove
    La spettatrice

    Uno sguardo altrove

    Daniela AstreaBy Daniela Astrea06/10/2017Nessun commento8 Mins Read
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    donne-giappone-oggi
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    Tra tradizione e tecnologia ecco come è cambiato il mondo nipponico, al di fuori degli stereotipi occidentali.

    La spettatrice

    Di ritorno da tre settimane trascorse in Giappone, ho avuto modo di mettere ordine tra le foto, i biglietti e i vari oggetti portati con me al rientro.
    Mi sono soffermata su alcuni appunti che avevo preso in treno e negli aeroporti, tutti contenenti riflessioni sulla condizione delle donne. Salta agli occhi subito una situazione che non sempre è scontata: le donne giapponesi fanno figli. Tra donne incinte e madri di neonati ho fatto lo slalom in metro, nei locali, in strada. Tutte piuttosto giovani e equipaggiatissime. Neonati in fascia e marsupio e quasi sempre una sorellina o un fratellino al seguito. Eppure il Giappone resta il Paese con la natalità più bassa, seguito dall’Italia. Altro appunto: spessissimo ad uscire coi bimbi al parco, in bici o semplicemente a passeggio sono i padri. Tutto mi sarei aspettata tranne questa immagine molto gioiosa di gite fuoriporta e giochi rumorosi soprattutto di sera e nei fine settimana, ciò in parte conferma la mia idea stereotipata dei salary men ingessati e stressati ma apre il mio immaginario all’evidenza che avere dei figli modifica la vita anche dei mariti per nulla restii a cambiare pannolini nelle zone apposite allestite in ogni bagno pubblico o a rincorrere i pargoli nei centri commerciali. Mi sono informata e gli asili nido sono costosissimi anche da loro ed entrare nei migliori è fonte di grande apprensione per le famiglie, tuttavia la scuola appare ben differente dalla nostra. Meno aggressiva nei primi anni, durante i quali si pensa poco a trasmettere nozioni e più ad inculcare un senso sociale diffuso, un’idea di “cosa pubblica” che poi resta come un marchio tutta la vita, diventa competitiva nelle tappe successive alimentando tutta una serie di differenze che appaiono come stigmatizzanti. Selezione durissima, doposcuola fino a notte fonda, impegno massimo per garantirsi una prestigiosa università. Sport obbligatori e strumenti musicali per ragazze e ragazzi che vedevo anche di domenica in divisa agli allenamenti o alle prove.

    Le divise sono quello che impariamo a riconoscere nei cartoni animati e nei manga: sono realmente alla marinara, tutte identiche e non rappresentano l’unica forma di omologazione che vige: le ragazze devono portare i capelli lunghi alla stessa maniera o corti (se fanno sport), i maschi tutti con lo stesso taglio e con dei pantaloni in cui si trovano a galleggiare (costano molto e le famiglie li comprano più grandi per farli durare) o che arrivano molto sopra la caviglia (indice che ci sono cresciuti dentro ma non li cambiano), gli zaini tutti identici, come le scarpe.
    Forse per sfuggire a questo senso di spersonalizzazione estrema, appena è possibile le ragazze cercano di cambiare i loro connotati con un trucco molto teatrale e duraturo: ho visto donne che si truccano nei posti più impensabili e cambiano radicalmente aspetto tra il prima e il dopo. Altra parte su cui intervenire sono i capelli: tinture di ogni gradazione di colore, sia per maschi che per femmine, vani tentativi di sembrare occidentali e vero terrore delle calvizie per gli uomini anziani, rossicci e con capelli posticci in quantità.

    Questo aspetto mi ha fatto molto pensare e l’ho riscontrato pure in Corea, dove sono stata di passaggio: moltissime donne si sottopongono all’intervento che allarga i loro occhi, privandoli della tipica forma a mandorla. E non parlo di una o due: ne ho viste a decine, se non centinaia e mi è sembrato così brutale, unito all’uso smodato di lenti a contatto colorate (in ogni drugstore se ne possono comprare decine di tipi a pochi yen) che conferiscono improbabili riflessi blu o gialli agli occhi di commesse, manager e universitarie.
    Stesso trend negli spot e nei manifesti pubblicitari: ne ho osservati molti e posso dire con certezza che in Giappone l’uso del corpo femminile è differente. Innanzitutto, non si mostrano donne nude, ma ci si concentra sui loro volti. Da essi deve emanare sicurezza, calma, fiducia e una certa intelligenza. Sono ragazze molto attive, ma se si vende un phon, vedi lei che si spazzola i capelli e non che sculetta mezza nuda; se pubblicizzi un antiacido per lo stomaco, lei ti mostra la pillolina ma non la ingoia né ammicca; persino una depilazione completa (altra cosa per cui sono fissate) ha come testimonial una ragazza che gioca a tennis, molto accollata e felice di poter fare sport perché ha braccia e gambe depilate, ma lo devi intuire dal viso allegro, non dal nudo.
    Una mezza spallina calata per reclamizzare un casinò, ma ci sono una donna e un uomo e lei ha una posa divertente, dunque poco sessualizzata. I centri massaggi hanno grossi cartelloni ma si vedono piedi da massaggiare, colli e non donne in posizioni sessuali.
    Ancora, alcune star del cinema locale sono bionde, con gli occhi operati e nulla hanno della tipica bellezza nipponica, però sono testimonial eccellenti e i loro prodotti si vendono. In più, ho guardato spot di divi di Hollywood estremamente modificati: capelli scuri per le attrici americane bionde, occhi a mandorla per attori rinomati che dovevi guardare con attenzione per riconoscere.
    Altra novità, almeno per me che sono italiana: gli elettrodomestici hanno uomini come testimonial! I famosi idol (cantanti di notissime boyband, quindi molto giovani) prestano il loro volto per reclamizzare frigoriferi, ferri da stiro, lavatrici. E si unisce ad essi un noto travestito Matsuko (simile a Platinette ma con la parrucca nera) che piace tantissimo e invoglia le donne a comprare ciò che reclamizza.
    In questo idilliaco quadro fanno eccezione i cinema porno situati in vicoli strategici e con cartelloni censurati in cui si coprono i seni rifatti delle attrici, alcuni locali di squillo cui si accede tramite scalinate minuscole a scomparsa e i fumetti porno: è questo il mercato migliore, aver reso cartacea la pornografia! Si tratta di una forma di cultura, tuttavia lascia molto pensare questa esplosione di erotismo sotto forma di fumetto che non trova espressione nella vita comune, visto che maschi e femmine nemmeno si guardano.

    Ma qualcuno deve pur venire meno al rigido protocollo dei comportamenti sociali giapponesi e l’ho dedotto dall’attenzione fortissima contro le molestie sui treni. Sia con cartelloni stile manga giganti, sia attraverso il reiterato invito a rivolgersi alla polizia, si condanna fermamente la presenza di pervertiti (così li indicano) che toccano le donne quando c’è calca. Non si mostrano donne vittime, ma attive e sollecite nel denunciarli, anche perché si chiede di non chiudere un occhio e di non pensare che quello che hanno subito sia normale e non vada raccontato. Ho appreso di linee metro molto frequentate da maniaci e sulle quali le donne si scambiano informazioni.
    Anche se non mi sono informata su una normativa apposita vigente, non ho visto mai nei manifesti bimbi e nemmeno foto di minori nei negozi di abbigliamento: pochi manichini anonimi e un profluvio di cartoni animati (Doraemon, Hello Kitty etc.) o figure umane rese con la tecnica del fumetto.
    Mi pare un buon compromesso per tutelare le minorenni e i minorenni e ciò stride fortemente con la sessualizzazione precoce che guardiamo nei manifesti italiani dei brand più o meno famosi. Qui sì che si rasenta la pedopornografia e l’indignazione di molte attiviste si sta facendo sentire da un certo numero di anni.

    Infine, uno sguardo sulle anziane, davvero capaci di attirare l’attenzione. Indipendenti e tanto allegre, anche se con handicap fisici restano parecchio autonome, escono spesso in gruppi vocianti che infrangono la legge del silenzio sui mezzi pubblici, vanno a pranzo fuori nei locali più in (e non solo quelli tradizionali dato che le ho viste mangiare hamburger e patatine) e vestono in maniera varia: si passa da quelle in kimono classico, con tanto di parrucca e trucco, a quelle stra-sportive con sneakers e berrettini da baseball, mi pare che loro possano essere uno specchio ottimale delle condizioni di vita nipponiche, sempre in bilico tra tradizione e super innovazione, tra il rispetto della loro immensa cultura e i richiami delle sirene occidentali.
    Piccola nota sulla comunità lgbt, di cui so poco ma credo che una apertura maggiore si stia verificando, visto che ho incontrato in metro delle trans e visto qualche gay che non si nascondeva, come era in uso fino a pochi anni fa. La strada per avere riconosciuti i diritti è stata aperta, da quanto apprendo leggendo alcuni articoli in merito e mi pare un buon segno per un Paese che spesso si fa fatica a raccontare e che poco svela di sé al di là di immagini note e abusate entrate già nell’immaginario collettivo di noi occidentali.

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    Daniela Astrea

    Daniela Astrea - laureata in Filosofia con un tesi in Studi di genere, si occupa da anni di studi femministi in vari campi: cinema, letteratura, arte. Ha organizzato eventi, fatto parte di collettivi, lavorato in un’agenzia pubblicitaria come copywriter, pubblicato saggi e articoli sulla storia delle donne.

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    Caterina Della Torre

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    Redattora del sito internet www dols.it

    La solitudine dei non amati, firmato e diretto dal La solitudine dei non amati, firmato e diretto dalla regista norvegese Lilja Ingolfsdottir, nella sua opera prima, con Oddgeir Thune, Kyrre Haugen Sydness, Helga Guren e Marte Magnusdotter Solem .
    https://www.dols.it/2025/06/06/la-solitudine-dei-n https://www.dols.it/2025/06/06/la-solitudine-dei-non-amati/

La solitudine dei non amati, firmato e diretto dalla regista norvegese Lilja Ingolfsdottir, nella sua opera prima, con Oddgeir Thune, Kyrre Haugen Sydness, Helga Guren e Marte Magnusdotter Solem .
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